6
Mag
2009

I 7 miti dell’economia verde: fantastici!

Sia lode e gloria ai seguenti ricercatori. Andrew P. Morris, dell’University of Illinois College of Law, nonché del Property and Environment Research Center, George Mason University; William T. Bogart, dello York College of Pennsylvania; Andrew Dorchak, della Case Western Reserve University Law Library; infine Roger E. Meiners, della University of Texas at Arlington. Hanno appena scritto due papers fa-vo-lo-si che smantellano gran parte della mitologia sulla quale viene edificata la tesi secondo la quale l’unica vera risposta alla crisi economica attuale è un colossale shift, guidato dallo Stato, verso l’economia e le tecnologie “verdi”. I papers s’intitolano “7 Myths About Green Jobs”, e “Green Jobs Myths” (Illinois Law & Economics Research Paper No. LE09-007, e No. LE09-001). Consiglio di divorarveli per benino, e di sicuro la loro lettura farebbe un gran bene a politici e giornalisti che su questi temi rischiano di prendere lucciole per lanterne, creando consenso intorno a massicce allocazioni di risorse del contribuente assolutamente distorsive.
Quali le loro tesi dimostrate? Scrivono che negli ultimi tempi una crescente mole di letteratura a forte popolarità si prodiga a convincere che maggiore sarà l’intervento statale pro ambiente, più consistente sarà la crescita di occupati, unica vera salvezza al downsizing della manifattura “tradizionale” cioè energivora. Saranno impieghi che non faranno solo un gran bene all’ambiente, ma ben pagati, ricchi di soddisfazione per chi li svolge, e naturalmente tali da favorire un ritorno in grande stile all’adesione sindacale di massa. Senonché queste tesi, scrivono i nostri eroi, si fondano appunto su sette veri e propri miti, che investono orizzontalmente l’economia e la tecnologia, oculatamente alimentati da gruppi d’interesse che puntano ai maggiori vantaggi, dall’implementazione di tali postulati.
Mito numero uno, il lavoro “verde”: nessuna sua definizione standard è comunemente accettata. Mito due: col lavoro verde cresce la produttività; quando invece i settori e le tecnologie interessate richiedono un più alto numero di addetti a prassi amministrative e regolatorie. Mito tre: le previsioni di crescita del lavoro verde sono attendibili; quando invece i loro modelli previsivi sono risultati totalmente disattesi, da 35 anni a questa parte. Mito quattro: il lavoro verde accresce l’occupazione; quando invece esso risulta assai human intensive, dunque a bassa produttività, bassa remunerazione e basso standard di prestazione per gli addetti; la crescita economica non può essere “ordinata” dal Parlamento o dalle Nazioni Unite, la restrizione di tecnologie mature a favore di tecnologie ancora speculative attraverso stanziamenti di risorse pubbliche e incentivi fiscali ha spesso generato stagnazione, in passato. Mito cinque: dalla crisi si esce accettando come positiva la diminuzione degli scambi commerciali planetari, per tornare a puntare maggiormente su produzioni “locali” senza che ne consegua diminuzione degli standard di vita; quando invece si è SEMPRE confermata vincente la tesi della Ricchezza delle Nazioni di Adam Smith, che attraverso la specializzazione produttiva e scambi crescenti e più liberi sempre maggiori aree del pianeta innalzano più rapidamente i propri standard di benessere. Mito sei: i governi possono e devono agire come efficaci sostituti dei mercati; quando sempre le aziende libere si sono rivelate meglio in grado di interpretare e soddisfare domanda e desideri dei consumatori. Mito sette: imporre cambi di direzione tecnologica attraverso la regolazione pubblica è auspicabile e positivo; quando invece molte delle tecnologie verdi sin qui indicate come addirittura “risolutive” non hanno mai raggiunto la scala di attuabilità e di costo necessaria a soddisfare efficacemente la domanda alla quale si suppongono rivolte.
Altro che il mitico 20-20-20 dell’Europa e i fantastici obiettivi verdi promessi da Obama: noi preferiamo i fantastici quattro che numeri alla mano fanno a pezzi la teologia ambientalista e i suoi improvvisati dottori della legge.

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5 Responses

  1. Davide

    Oltre a smontare questi miti, sarebbe anche il caso di battagliare un po’ meglio il presupposto su cui oramai si basano tutte le fesserie degli ambientalisti, ovvero il global warming di origine antropica, che è una cosa inventata di sana pianta e che viene sempre più smentita ogni giorno che passa.

  2. Ivan

    Interessante, andrebbe divulgato il più possibile. Bello anche il fatto che finalmente Giannino abbia inserito un post meno kilometrico del solito, come si addice ad un blog…

  3. Carlo Lottieri

    E’ certo un mondo un poco triste, il nostro, se siamo costretti a occuparci di quanto viene quotidianamente propagandato da una cultura confusamente ecologista e antiliberale, capace di “imputare” al mercato (alla libertà individuale, insomma) la crisi economica in atto e – al tempo stesso – orientata a proporre una “felice decrescita”, senza preoccuparsi minimamente delle conseguenze di tutto ciò, ad esempio, sui più poveri e sui più malati. Si accusa il capitalismo di non riuscire a generare quello sviluppo che, però, si rifiuta.
    Fossero coerenti e fossero davvero persuasi che il -4% o il -5% che si profilano per il 2009 siano da imputare alla supposta “anarchia di mercato” conseguente alle liberalizzazioni, dovrebbero farsi tutti promotori di ogni liberalizzazione possibile e immaginabile…

  4. Franco Bocchini

    C’è sempre stata, nella storia dell’umanità, una diffidenza nei confronti del cambiamento – che, per sua natura, si presenta come generatore d’incertezza e, quindi, destabilizzante – e, di conseguenza, le attività umane capaci di apportare modificazioni. In parte, tale atteggiamento dipende anche da banale ignoranza – nel senso pieno e non offensivo del termine – giacché ciò che non si conosce, e non si capisce, non può che spaventare. Un tempo fiorivano mistiche di tipo religioso e timori millenaristici, oggi i sentimenti di questo tipo trovano facile sponda nelle “teologie” ambientaliste, con le loro facili e falsamente scientifiche colpevolizzazioni che si traducono inevitabilmente in promesse catartiche, cavalcate – spesso, come del resto avveniva con le passate reazioni – a fini politici ed economici. Ecco perché, vincendo il fastidio che la ragione prova per un compito che sembrerebbe superfluo, non bisogna smettere di promuovere l’approccio razionale – e sperimentale – alla lettura della realtà.

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