“Hunger Games” e i sacrifici umani allo Stato padrone
È da poco uscito nelle sale cinematografiche “Hunger Games”, film tratto dal romanzo di fantascienza di Suzanne Collins. E’ la storia, ambientata in un’epoca futura non meglio identificata, di un gruppo di giovani sudditi di uno Stato molto potente, Panem, in nome del quale vengono sorteggiati per un sacrificio esemplare che serve ad allietare con uno spettacolo crudele gli abitanti della capitale e per manifestare l’incondizionata potenza del governo centrale sulle comunità periferiche e dissuaderle dal ribellarsi.
Il film trasmette un messaggio libertario: se ne è discusso molto negli Stati Uniti.
La storia ha una particolare rilevanza e familiarità per gli americani perché evoca e, in un certo senso, capovolge la loro storia, in particolare con un’immagine all’inizio del film in cui ai sudditi riuniti per la “mietitura” (il sorteggio degli abitanti dei distretti periferici destinati al sacrificio) viene mostrato su dei maxischermi il mito fondante della loro nazione: la nascita dello Stato di Panem dopo la repressione di una rivolta dei cittadini del Nord America contro il governo, occasione in cui viene trasmesso il messaggio che la libertà ha un prezzo e il sacrificio annuale dei giovani sudditi serve a ricordarlo alle comunità periferiche che dipendono dalla capitale. Inoltre il film è piaciuto in Usa perché sollecita il sentimento americano più genuino di orgogliosa difesa della libertà del “fare da sé” in opposizione al big-government e perché associa la povertà e la guerra alla mancanza di libertà.
Ma anche noi italiani possiamo riconoscere il messaggio libertario del film.
Nel film le vittime scelte per il sacrificio sono chiamate “tributi”. I “tributi” partono per i “giochi” del titolo: alcuni di loro sono onorati del sacrificio a cui sono chiamati mentre altri, tra cui i protagonisti, sfidano la sorte senza rinunciare alla propria dignità e identità che cercano di preservare nei momenti di riflessione lontani dal potere e dalle telecamere che riprendono le loro avventure. Costretti a fare i criceti sulla ruota di un potere crudele, cercano in se stessi la forza di resistere da uomini liberi.
La vita dei cittadini dei distretti periferici, il cui sistematico sfruttamento garantisce l’opulenza della capitale, è un’estremizzazione della condizione di assoggettamento al potere dello Stato.
Nel caso di “Hunger Hames”, la rappresentazione di dove può arrivare la violenza statuale può essere un modo per chiedersi se alcune sue manifestazioni che non hanno (o non ancora) conseguenze estreme siano comunque legittime e, anche qualora fossero moralmente accettabili, per ripensare all’importanza delle limitazioni che le rendono tali impedendo degenerazioni liberticide.
Un atteggiamento che contraddistingue i liberali classici ed anche i libertari più radicali rispetto ai liberali “moderni” o “liberal” (socialdemocratici) è l’attenzione per le “procedure” e per i diritti individuali con un intransigente rifiuto per qualsiasi pratica che li viola. L’unico aumento di coercizione legittimo per chi ha a cuore la libertà individuale è quello che pur paradossalmente è necessario per difenderla e che è la ragione ultima (e unica) dello Stato accettata dai liberali. Non solo nello scenario fantastico del film ma anche nella società occidentale contemporanea il superamento dei limiti oltre i quali lo Stato smette di difendere la libertà individuale e inizia invece a mangiarsela sta diventando sempre più pericoloso.
E allora qualsiasi pungolo, anche cinematografico, per pensare ai rischi dell’espansione dello Stato può essere utile. Un abbinamento, forse un po’ bizzarro, per unire proprio sentimenti a riflessioni libertarie potrebbe essere la visione di “Hunger Games” e la lettura de La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni di Benjamin Constant (non un classico del genere fantasy ma del pensiero liberale): alcune scene del film nonostante siano ambientate in scenari futuristici ricordano manifestazioni popolari diffuse tra gli antichi come a significare che il futuro della libertà individuale cara ai moderni sarà sempre da difendere dal ritorno di tradizioni liberticide e tribali, per quanto camuffate da “innovativi” esperimenti dell’autorità, qualsiasi forma essa assumerà.
Sono molto contento che sia uscito un film “mainstream” che parli finalmente dei pericoli della mancanza di libertà senza ritornare al solito dualismo fascisti/nazisti. In questi tempi poi, dove di minacce alla libertà e alle libertà ce ne sono fin troppe e spesso vengono applaudite dall’opinione pubblica.
Visto che si parla di cinema poi.
http://retetre.rtsi.ch/index.php?option=com_content&task=view&id=4245&Itemid=62