Hazlitt. Capitolo 20 – “Quanto basta per riacquistare quel che si è prodotto”
Hazlitt contrappone la nozione medievale di prezzi e salari “giusti” (ripresa da alcuni economisti moderni) e quello di prezzi e salari funzionali, elaborata dagli economisti classici. Purtroppo la nozione dei salari funzionali è stata riformulata in forma corrotta dai marxisti ed è nata una “scuola del potere d’acquisto”, secondo cui gli unici salari a funzionare, cioè a evitare crisi economiche sistemiche, sono quelli che consentono all’operaio di “riacquistare il prodotto del suo lavoro”. All’interno di questa prospettiva saranno giusti quei datori di lavoro che rispetteranno questa condizione, ma rimane ben poco chiaro come si possa stabilire quando il lavoratore è in grado di “riacquistare ciò che egli produce”.
La soluzione non può essere il salario minimo, perché, come spiega Hazlitt, è stato dimostrato sia statisticamente sia con argomenti deduttivi che se il salario cresce oltre il punto di produttività marginale, la riduzione dell’occupazione risulta normalmente tre o quattro volte maggiore dell’aumento dei salari.
I vantaggi che i lavoratori ottengono dal salario minimo sono relativi (ai settori su cui interviene la legge) e non complessivi, tanto più che – superato il periodo di transizione in cui i prezzi si adattano all’aumento salariale – è probabile che gli svantaggi finiscano per prevalere. In effetti i lavoratori ottengono una fetta più grande di una torta più piccola e questa volta a essere ignorato è il valore assoluto. Sarebbe stato assai meglio, infatti, ottenere una fetta più piccola di una torta più grande.
I salari migliori non sono i più alti, ma quelli che consentono una piena produttività. Se si guarda ai benefici complessivi di industriali e lavoratori, i salari migliori sono quelli che spingono il maggior numero di persone a diventar datori di lavoro e a determinare un incremento dell’occupazione.
Se si tenta di dirigere l’economia di un Paese a beneficio di un gruppo o di una classe alla fine si danneggiano tutti, a partire da quelli che si voleva favorire.
Quanto scritto riesce ad essere sia errato che sicocco.Si sostine che non è possibile valutare quando il salario consente il riacquisto deel proprio prodotto, poi si pensa di poter determinarese essi slari superano la produttività Poi si conclude dicendo che i salari migliori sono quelli che spingono più gente ea diventare datori di lavoro. Se è così allora il salario migliore è quello che non consente di vivere ai lavoratori ma alti utili ai datori di lavoro, perché tutti cercheranno di diventare imprenditori. Solo che non ne avranno i mezzi e non troveranno i dipendeti occupati ad intraprendere. Infine la storia che è meglio avere una fetta più piccola di una torta più grande che il contrario è una plateale sciocchezza: chiunque preferirebbe avere il 10% di una rota da 50 che il 2% di una da 100. In altre parole dipende dalle proprozioni come capirebbe anche un bambino. Ma forse occorrerà chiamare quel bambino per farlo capire all’autore.
Scusate visto che ritorna prepotente dibattito odierno sul concetto di produttività , qualcuno potrebbe meglio spiegarlo? Insomma se in Germania in questo momento abbiamo una disoccupazione pari al 5% ed imposte per l’impresa 30% meno rispetto all’Italia qual’è il nesso?
Più produco più salario più guadagno più investo?
Grazie per la risposta
@lionello ruggieri
Ruggeri mi scusi,
ma lei è riuscito in un colpo solo ad essere superficiale, mettere in dubbio i mie 20 anni di studi di economia (nel senso che se fosse così semplice come dice lei chiunque potrebbe dirsi e fare l’economista) e, temo, piuttosto “grossier” nei confronti degli autori/commentatori. Anche uno dei più grandi economisti della storia come Hazlitt è assolutamente criticabile, ma farlo da una sintesi – senza aver letto il ragionamento e gli aspetti analitici necessari per arrivare alle sue conclusioni – mi pare troppo
@Letterio Giacoppo
Gentile Letterio,
spero di riuscire a spiegarle il nesso, provando anche ad interpretare una domanda latente. Il nesso sta nel fatto che si produce di più (e con maggiore qualità), riducendo ciò che è necessario per produrre. In sintesi si ottimizza l’utilizzo delle materie prime e si fa in modo che i lavoratori incrmentino il prodotto a parità di ore. Una parte di tale maggiore produttività va ovviamente ai lavoratori (che in tal modo sono stimolati a dare sempre il loro contributo), mentre la restante resta agli imprenditori la maggior parte). Ovviamente il circolo è tanto più virtuoso quanto più gli utili saranno reinvestiti in azienda (ed un’accorta politica fiscale può aiutare in tal senso). Ed ora vengo alla domanda latente … il processo funziona se e solo se i prodotti si vendono e quindi se c’è un rapporto prezzo qualità vincente (il che presuppone formazione, ricerca, università competitive e non per chiunque, meritocrazia in tutti gli ambiti, settore pubblico efficiente, etc.)
Mille grazie per la risposta, quest’approccio non appartiene all’Italia e tantomeno alla mentalità degli italiani!
Presuppone un onestà che sconosciamo.
Ancora grazie per la risposta