23
Mar
2012

Hayek, il clima e l’Unione europea

20 anni dopo la sua scomparsa, la cosa più semplice che si possa dire di Friedrich Hayek è che c’è ancora bisogno di Hayek (qui il ricordo di Lorenzo Infantino e qui Alberto Mingardi). Non solo per la sua lezione generale su come funziona il mercato (e perché la pianificazione non può funzionare) ma anche e soprattutto perché il suo insegnamento, applicato alla regolazione di settori specifici, obbliga a un cambiamento di paradigma rispetto a quelle che sono le tendenze in atto. Come nel caso delle politiche del clima.

Nelle ultime settimane, lo strumento con cui l’Unione europea intende ridurre le emissioni di gas serra, l’Emissions Trading Scheme (Ets), è oggetto di severe critiche e, al di là delle dichiarazioni ufficiali, di importanti ripensamenti. Ciò accade proprio alla vigilia di quello che, a un occhio inesperto, può apparire il suo successo, in quanto molto probabilmente l’Europa riuscirà a raggiungere l’obiettivo di tagliare le sue emissioni di almeno l’8 per cento al di sotto dei livelli del 1990, come richiesto dal protocollo di Kyoto. Il problema è che il target, se verrà effettivamente centrato, lo sarà principalmente a causa della recessione, che ha spinto verso il basso i consumi (specie industriali) e con essi l’immissione in atmosfera di gas climalteranti. In tutto questo, l’Ets che ruolo ha giocato?

La risposta, che articoleremo nei prossimi giorni in un paper di Stefano Clò ed Emanuele Vendramin attualmente in rampa di lancio per l’Istituto Bruno Leoni, è che l’Ets non ha sostanzialmente dato alcun contributo. Le ragioni sono molteplici e non intendo discuterle ora, in quanto vanno dal disegno iniziale dell’Ets alle modalità di computo e attribuzione dei certificati di emissione fino agli andamenti macroeconomici. Quello che mi interessa – in un post che vuole soprattutto enfatizzare che, se ci fossimo ricordati di Hayek, non avremmo commesso molti errori – è discutere brevemente di una delle soluzioni che vengono prospettate: il cosiddetto “set aside” delle emissioni.

Piccolo ripasso: l’Ets è uno schema di “cap and trade“, cioè un sistema nel quale il regolatore fissa ex ante un tetto alle emissioni considerate dannose e distribuisce, in vario modo, dei “permessi di emissione” ai vari soggetti tenuti a partecipare al meccanismo. Alla fine di ogni anno, ciascun soggetto deve restituire un numero di certificati pari alle sue emissioni reali. I certificati sono scambiabili a un prezzo determinato dall’incontro tra domanda e offerta. Ne segue che coloro che hanno costi marginali di riduzione delle emissioni inferiori al prezzo di mercato saranno incentivati a ridurre le emissioni, vendere i certificati e lucrare sulla differenza; chi ha costi marginali superiori, il contrario. La teoria suggerisce che, in questo modo, l’onere del taglio delle emissioni si sposterà sui soggetti con costi marginali più bassi, e quindi la riduzione complessiva avverrà al minor costo possibile per l’intera società. Ci sono varie ragioni per cui, nel mondo reale, le cose funzionano in modo diverso, ma anche questo lasciamolo da parte.

Quello che mi interessa è che l’Ets è uno “strumento di quantità”: viene decisa la quantità delle emissioni consentite e il mercato trova il prezzo dei certificati. L’alternativa è uno “strumento di prezzo”, come la carbon tax: il regolatore fissa il prezzo (idealmente pari al costo sociale marginale delle emissioni) e il mercato trova la quantità corrispondente. Ora, negli ultimi anni la crisi economica ha ridotto consumi ed emissioni e questo ha determinato un crollo dei prezzi, che, contrariamente alle aspettative, non si sono assestati su un livello tale da spingere le imprese a investire in tecnologie pulite. Tant’è che, per esempio, le energie rinnovabili si sono sviluppate quasi solo in virtù dei sussidi diretti, e non grazie all’incentivo indiretto dell’Ets.

Registrando questo fatto, il legislatore europeo ha ipotizzato uno strumento di correzione del mercato: il “set aside”, appunto, cioè l’accantonamento di una parte dei certificati quando i prezzi scendono al di sotto di una certa soglia allo scopo di creare scarsità artificiale e spingere i prezzi verso l’alto. Vale la pena sottolineare che i certificati stessi sono un’invenzione della politica (non esistono “in natura”), quindi lo stesso Ets è un meccanismo per creare artificialmente scarsità (in precedenza, le emissioni erano “gratis”). Dunque, constatando che le emissioni non erano abbastanza scarse, si sceglie di intervenire con una sorta di modulazione che nei fatti non può che essere totalmente discrezionale.

Che c’entra Hayek? C’entra molto, perché l’intera lezione di Hayek può essere riassunta nel principio che la conoscenza è dispersa. Questo include la conoscenza su quali siano quantità e prezzi “ottimi” per la CO2. Tale conoscenza non può essere nelle mani del pianificatore centrale. Ora, pur con tutte le cautele e le concessioni del caso in relazione alla presenza di esternalità eccetera (tema sul quale, oltre ad Hayek, a Bruxelles dovrebbero riprendere confidenza con Ronald Coase), ammettiamo pure che le circostanze richiedano l’adozione di una politica ad hoc. Supponiamo perfino che uno strumento di prezzo e uno di quantità siano equivalenti (e lo sono, in un mondo privo di costi di transazione, mentre sappiamo almeno dal 1974 che nel mondo reale non è così). Ma delle due l’una: o riteniamo di avere meno incertezza sulla quantità “ottima” di emissioni, e allora lasciamo che sia il mercato a trovare i prezzi; oppure crediamo di avere meno incertezza sui prezzi, e chiediamo all’interazione degli agenti economici di trovare la quantità.

Ma se abbiamo la pretesa di conoscere prezzi e quantità, e correggiamo il mercato quando devia, allora ci stiamo prendendo in giro. Il mercato non è uno studente che il regolatore debba chiamare alla lavagna per interrogarlo; e, soprattutto, il regolatore non è un insegnante in grado di conoscere la risposta in anticipo. I pacioccamenti europei con l’Ets sono la prova di una vera e propria “falsa coscienza”: fingiamo di adottare strumenti “di mercato”, ma nella realtà siamo ancora saldamente ancorati al vecchio “command and control”.

Se poi non funziona, amen. Non vedremo comunque un gesto di pentimento o umiltà da parte dei regolatori: vedremo soltanto il tentativo disordinato di aggiungere regolamentazioni alle regolamentazioni, politiche alle politiche, correzioni alle correzioni, presunzione alla presunzione.

You may also like

La veridica istoria della terribile Bolkenstein
Punto e a capo n. 53
L’Unione europea deve lasciarsi alle spalle la sua deriva dirigista, burocratica e ideologica
Punto e a capo n. 51

4 Responses

  1. roberto savastano

    “vedremo soltanto il tentativo disordinato di aggiungere regolamentazioni alle regolamentazioni, politiche alle politiche, correzioni alle correzioni, presunzione alla presunzione.” e alla fine avremo pure il coraggio di stupirci, indignati, per plausibilissimi fenomeni di corruttela. Ottimo, Stagnaro. Hayek, come tutti i grandi (l’altro ieri era il 327 compleanno di J.S. Bach), non tramonta mai.

  2. Guglielmo De Sanctis

    Ancora con Von Hayek???????????? Ma le sue idee si sono dimostrate IN TUTTA EVIDENZA più impraticabili e fallimentari di quelle di Marx!!!. Svegliaaaaaaaaaaaa!!!

Leave a Reply