La guerra tra Cina e Taiwan? Farebbe esplodere il caos a livello globale
Uno scontro economico oppure a tutto campo tra Cina e Taiwan produrrebbe un disastro politico-economico su scala mondiale
di Richard W. Rahn, direttore dell’Institute for Global Economic Growth e di MCon LLC
Non appena iniziato il suo mandato, Joe Biden ha subito messo in pratica la sua promessa di ingaggiare una guerra contro i big del petrolio e del gas. Ha chiuso la Keystone Pipeline, limitato le operazioni di trivellazione di petrolio e gas sul suolo federale e intrapreso altre azioni volte a ridurre l’approvvigionamento futuro. Sebbene nessuna di queste misure abbia avuto impatti sull’offerta e sulla produzione nell’immediato, i prezzi del petrolio e del gas sono subito aumentati – e tutto ciò è successo ben prima che Putin invadesse l’Ucraina. Dunque perché è successo?
Questi aumenti, insieme alle politiche monetarie della Federal Reserve, hanno innescato l’inflazione, i cui prevedibilissimi contraccolpi si ripercuotono sulla popolazione a basso reddito (cioè donne, bambini e minoranze etniche) in maniera molto più pesante rispetto, ad esempio, agli uomini bianchi, di mezz’età e con un alto grado d’istruzione. Molti nell’entourage di Biden sono rimasti sorpresi da questo risultato. È ovvio, quindi, che le misure messe in atto dal presidente non siano state ponderate a monte.
La teoria dei giochi fu inventata e sviluppata, tra gli altri, da John von Neumann e John Nash quando i primi computer elettromeccanici fecero la loro comparsa quasi ottant’anni fa. L’esercito fu tra i primi ad impiegare queste macchine, in quanto la possibilità di valutare le conseguenze di direttive, strategie e tattiche diverse era fondamentale ai fini delle missioni, consentendo di vedere oltre il loro primo step. Essa fu poi rapidamente impiegata anche dalle imprese: la teoria dei giochi ha dato loro uno strumento utilissimo nel valutare le strategie competitive. Molti programmi MBA la includono nel loro corso di studi almeno dagli anni Sessanta, e molti economisti – come ad esempio il premio Nobel Vernon Smith – sono stati in grado di confutare o confermare parecchie intuizioni dei principali esponenti del pensiero economico degli ultimi duecento anni proprio grazie all’uso di esperimenti e simulazioni.
È stupefacente come i policymaker dell’amministrazione Biden ed i loro sostenitori, tanto al Congresso quanto nei media, si rifiutino di riconoscere le ripercussioni delle loro decisioni sull’economia. I loro aumenti di spesa, le loro regolamentazioni e le loro misure fiscali sono state estremamente irresponsabili e ci hanno messi in una situazione davvero precaria, tanto più nell’ipotesi di un conflitto aperto tra Cina e Taiwan: è chiaro che nessuno abbia fatto i conti in tasca a monte.
Gli europei, ed in particolare i tedeschi, sono stati negli ultimi anni ancor più irresponsabili. Si sono immolati sull’altare della lotta ai cambiamenti climatici sulla supposizione che bastasse spegnere i propri reattori nucleari e le proprie centrali a carbone ed affidarsi all’importazione di gas russo. E con quali conseguenze? Un inverno freddo e buio attende i tedeschi e tanti altri europei.
Cosa accadrà invece se la Cina attacca Taiwan? Nell’ultimo mezzo secolo, noi – e con “noi” si intende l’establishment politico, economico e militare dell’Occidente – abbiamo dato per scontato che stringere ancor di più i nostri legami economici con la Cina comunista, in termini di commercio e investimenti, avrebbe portato il suo sistema politico a più miti consigli, secondo lo stesso meccanismo che aveva spinto la Cina ad ibridare il proprio sistema economico. L’Unione Europea è servita da modello sotto molti aspetti, dato che il continuo processo di integrazione tra le economie dei paesi membri ha man mano reso inconcepibile per loro dissotterrare l’ascia di guerra in nome di rivalità storiche. La Cina stessa, fino al regno di Xi Jinping, sembrava essere diretta verso una china meno autoritaria.
Molte tra le grandi multinazionali ad oggi producono e vendono i loro prodotti in Cina. Essa è diventata il primo partner commerciale degli USA (verso la quale ha un enorme deficit commerciale, che compensa con l’acquisto di titoli di stato americani e altri investimenti cinesi negli Stati Uniti). La valuta nazionale, il Renminbi, è legata indirettamente al dollaro americano, e gli statunitensi consumano quantità enormi di beni prodotti in Cina. Allo stesso tempo, i cinesi sono grandi consumatori di prodotti agricoli americani, e il commercio tra i due paesi ammonta approssimativamente al 2% del PIL americano e al 3% di quello cinese (ad esclusione di Hong Kong).
Il legame economico tra Cina e Taiwan è ancora più forte, con la Cina che nell’ultimo anno si è aggiudicata il 28% delle esportazioni di Taiwan, mentre per gli Stati Uniti la quota si attesta sul 15%. Taiwan ha un grosso avanzo commerciale nei confronti della Cina, compensato da ingenti investimenti taiwanesi nel paese, ma anche la Cina ha investito cospicuamente sull’isola. Tuttavia il fattore importante qui non è tanto il volume degli scambi, ma quanto di questo non può essere tempestivamente sostituito da altri paesi in caso di crisi. Si discute molto sulle catene di approvvigionamento globali, ed un esempio è Apple, che si rifornisce di parti per costruire i propri iPhone in 43 paesi diversi. Apple probabilmente ha abbastanza ridondanza nella sua supply chain per sostituire un fornitore con un altro in breve tempo, ma il problema intorno a Taiwan sta nel fatto che si tratta di uno snodo specializzato nella produzione di alta tecnologia, inclusi quei semiconduttori di alta gamma che nessun altro paese produce, compresi Cina e Stati Uniti.
Sembra improbabile che la Cina possa riportare Taiwan all’età della pietra a suon di bombe, non perché non ne avrebbe la capacità, ma perché ne distruggerebbe il valore. È di gran lunga più probabile che la Cina imponga un blocco, distruggendo l’economia taiwanese e la sua capacità di procurarsi forniture di cibo adeguate. L’amministrazione Biden, dal canto suo, potrebbe essere più incline ad evitare un conflitto aperto con la Cina che un assedio su Taiwan. Una guerra, o anche solo un embargo, tra Stati Uniti e Cina si risolverebbe in un suicidio economico – e probabilmente anche militare – per entrambi, provocando uno sconquasso tale nelle catene di approvvigionamento globali da generare un caos che durerebbe per parecchi mesi e con moltissime conseguenze impreviste, tra cui anche uno scontro nucleare. Non ci resta che sperare che tutte le alternative siano state già vagliate.
Non dimentichiamo che anche la Seconda guerra mondiale – un conflitto che in realtà nessuno voleva – è stata scatenata da una serie di errori di valutazione da parte di leader deboli.
L’articolo è stato originariamente pubblicato col titolo “War between China and Taiwan would Create Global Chaos” sul Washington Times del 9 agosto 2022. Traduzione di Veronica Cancelliere