Grexit: meglio regole concordate di uscita, le monete-prigione basate su eccezioni non reggono
La Grecia non pagherà 1,6 miliardi di euro ch deve al Fondo Monetario Internazionale, in scadenza a giugno. Ci risiamo. Già a maggio, hanno detto che non lo avrebbero fatto. Ma ora il nodo viene al pettine. E si capirà se l’euroarea vuole per davvero trattare il caso greco per quello che è, o se continua in un balletto di finzioni molto rischioso, visto che rischia di finire con una rottura traumatica dell’euro che nessuno dichiara di volere. Ma che si diffonderebbe, come rischio di contagio, in primis sull’Italia. E addio a quel punto ai tassi bassi si cui il governo fa così tanto affidamento, e scommettendo su quali ha rinviato la spending review.
In realtà, sommando l’allarme Grecia al voto locale in Spagna e a quello per le presidenziali in Polonia, le fratture sul rispetto delle regole europee si allargano e non si attenuano. Invece di far finta di niente e lasciar procedere gli elettorati all’ira e alla diffidenza, ci vorrebbe una grande decisione politica: o si consente di uscire dall’euro a chi non ne sopporta o riconosce le regole con una procedura controllata che ne minimizzi per tutti i danni, oppure accettare le condizioni greche non è un’eccezione, significa nuove regole per tutti. Personalmente, credo che la prima ipotesi sia ormai meglio della seconda. Vedo che il più dei media ritiene ancora che i greci alla fine si piegheranno, che è tutta una commedia. Se anche fosse così, sarebbe peggio che affrontare seriamente il problema.
Per oltre 4 mesi, l’euroarea non ha preso sul serio Tsipras e Varoufakis, il premier e il ministro dell’economia che hanno vinto le elezioni in Grecia promettendo con Syriza “ci faremo abbattere ancora il debito”. Si sono sprecate le ironie beffarde, quando si è capito che le richieste europee alla Grecia avanzate a febbraio rimbalzavano su un muro di specchi. Si è detto scritto che Varoufakis fosse un narciso mezzo matto, invece che un determinato radicale statalista come appare a chi lo legge da anni, e che a un certo punto bastasse chiederne la testa perché Tsipras si spaventasse. Storie. Il governo greco ha giocato la partita che aveva indicato sin dall’inizio: non pagheremo quanto dobbiamo pagare quest’anno e nei prossimi, tagliateci ancora il debito, come già avete fatto per oltre il 60% del valore tra 2011 e 2012. Già in vista della rata dovuta al Fondo monetario il 12 maggio scorso, Atene aveva detto che non avrebbe pagato. Lo ha fatto solo strappando all’ultim’ora di utilizzare i suoi diritti speciali di prelievo che ne rappresentano la quota nel capitale del Fondo. Quel capitale di riserva è stato speso. Ora la prossima scadenza è il 5 giugno, e in 4 rate entro il 19 Atene deve al FMI 1,6 miliardi di euro. E Atene fa esattamente la stessa cosa di un mese fa. Ha detto che non paga, non ci pensa neanche.
E’ un messaggio per i ministri delle Finanze del G7 che si riuniscono a Dresda, sotto la presidenza di turno tedesca, il 27-29 maggio, in preparazione del G7 coi capi di stato e di governo, il 7-8 giugno al castello di Elmau. La Grecia è riuscita in quel che voleva: porre il problema all’euroarea della rottura traumatica della moneta comune, dividere la Ue dal Fondo monetario, ed evidenziare che Washington non la pensa affatto come i falchi europei, timorosa che Atene scivoli verso Mosca.
Il punto non sono i 1600 milioni di euro che deve al Fondo a giugno. Entro il 2015 Atene deve ripagare oltre 25 miliardi, tra FMI e BCE e titoli in scadenza. Degli oltre 320 miliardi di debito pubblico greco attuale, la Grecia è creditrice per 131 all’EFSF, 27 alla BCE , 53 a prestiti bilaterali con gli euromembri stessi, e se sommiamo il dovuto alla BEI la quota europea del debito greco arriva a quasi il 70% del totale. Un 9% è in mano al FMI, solo il 17% a privati, il restante 3% sta in pancia alla banca centrale greca. Sommando l’esposizione italiana diretta bilaterale, quella per quota parte in EFSF, Bce, BEI e Fmi, arriviamo a 40 miliardi di euro, subito dopo Germania e Francia che rischiano 90 e 60 miliardi. Per noi si tratta di meno del 3% del Pil, per i piccoli euromembri il costo del default greco – se fosse totale – sta tra il 4 e il 5% del pil. Naturalmente, costi nazionali e percentuale sul PIL di ciascuno cambia a seconda del meccanismo di eventuale ritrutturazione del debito cioè di “default controllato”: se si adottasse una rimodulazione pluridecennale delle scadenze, che già sono state iperdiluite 3 anni fa, l’inflazione rialzatasi nel frattempo farebbe la differenza.
Syriza ha sempre detto che, dopo l’abbattimento di valore di oltre il 60% del debito deciso nei tre salvataggi precedenti della Grecia dal 2011 ad oggi che hanno pelato i titolari privati del debito, chiedeva all’Europa che ne detiene oggi il 70% di procedere a un ulteriore abbattimento della metà, mentre avrebbe pagato i ratei in scadenza al FMI. Finora Fmi e UE non hanno accettato. L’Europa ha creduto che Atene si piegasse abbassandole l’obiettivo di avanzo primario a poco più di mezzo punto di Pil l’anno, ma per il resto doveva procedere con privatizzazioni, contrattazione aziendale, niente passi indietro sulle pensioni.
Syriza non ci pensa neanche. Al comitato centrale di Syriza tenutosi sabato e ieri e dove l’ala sinistra ha picchiato duro, Tsipras ha ribadito che le privatizzazioni ancora da deliberare sono ferme, che le riassunzioni pubbliche vanno avanti, che la contrattazione nazionale e non aziendale è un caposaldo intoccabile. Varoufakis e Tsipras hanno chiesto di poter tassare le transazioni bancarie, quando le banche greche da gennaio in percentuale hanno perso oltre il doppio dei depositi di quanto capitò in Argentina prima che saltasse in aria nel 2000. Hanno promesso assunzioni a tempo dei turisti per la lotta all’evasione turistica. Non cambiano però la Costituzione, che esenta dalle tasse gli armatori.
Il FMI due settimane fa ha detto alla UE che è inutile proseguire nella finta trattativa, non avrebbe più dato ai greci altri soldi per farsi pagare le rate in scadenza. Tocca insomma alla Ue dare una risposta definitiva ai greci. Se si resta sulla linea del piano di riforme o niente, la Grecia va in default, perché gli 80 miliardi della linea straordinaria di finanziamento della Bce garantite ad oggi alle banche greche non bastano per tenerle in piedi. Le vie intermedie di cui si parlato finora sono mezze misure: tipo l’autorizzazione a pagare salari pubblici e pensioni con IOU cioè dei “pagherò”, che sono l’equivalente degli “assegnati” emessi dalla rivoluzione francese la cui svalutazione portò al Consolato di Napoleone. Come in tutti i casi della storia in cui vi si è fatto ricorso, i pagherò di Stato come strumenti sostitutivi della moneta perdono verticalmente valore nel giro di poco tempo, rivelando subito rispetto al valore nominale la fascia di svalutazione rispetto alla moneta forte di cui è stampato sul pezzo di carta il valore, che però lo Stato non detiene per pagare sul serio.
La domanda diventa: dobbiamo premiare ancora i greci, separando le loro responsabilità da quelle dei governi pazzi che li hanno portati in queste condizioni? Ma perché allora Spagna, Portogallo, Italia, Irlanda si sono massacrati di manovre, per evitarlo? Oppure, come vorrebbero altri: che cosa vogliamo davvero, per abbattere ancora il debito greco e scrivere una pagina nuova delle regole all’euro mancanti, quella della solidarietà ai più deboli?
Se la Grecia esce dall’euro i mercati scommetteranno che anche altri lo faranno. E’ su questo, che punta il ricatto greco (anche se non della parte radicale di Syriza, che punta proprio a uscire e a svalutare massicciamente come da noi vorrebbero Salvini e Grillo, urlando che la colpa è della Ue per il massiccio depauperamento di risparmi e patrimoni che avverrebbe nei successivi due anni). Ma è impossibile credere che darla vinta a Syriza non porti a seguire una frana sulla stessa china, in Italia in Spagna e altrove. Come dimostrano i risultati elettorali europei.
Chi scrive preferirebbe che l’euroarea facesse capire che una moneta è comune solo per chi la sceglie e ne rispetta le regole. Le asimmetrie di produttività troppo forti rendono possibile una moneta comune o aprendo totalmente i mercati dei beni, dei servizi e del lavoro, consentendo che funzionino come vasi comunicanti delle curve di costo e di prezzo, oppure con mega programmi di assistenza ai paesi meno forti. In assenza di entrambi le asimmetrie restano, anzi si aggravano nelle crisi. Meglio allora decidere procedure di uscita concertate. E se l’Italia dovesse un domani decidere anche lei che vuole tornare alla via greca, come sperano Salvini, Grillo e tanti altri, lo faccia pure. Altri italiani saprebbero semplicemente dove andarsene. Le monete-prigione non esistono, nella storia. O le si usa per quel che possono essere, oppure sono loro a liberarsi di noi, lasciandoci traumaticamente a monete deboli. Quelle fortemente volute da politici che fondano l’idea di sovranità nazionale su inflazione e svalutazione, pregustando di essere a capo di governi che decidono vincoli sui capitali, risparmi, banche e patrimoni. Come avveniva nella da tanti rimpianta Italia degli anni Settanta…
Varoufakis non ha fatto altro che impersonare la parte della “moglie” nella famigerata barzelletta napoletana che parla del debito del signor Peppino
al signor Giovanni … il signor Peppino da giorni non riesce a dormire la notte ed infastidisce la moglie, la quale ad un certo punto dice “adesso risolvo io il problema”, apre la finestra chiama il signor Giovanni ed esclama “mio marito nun c’ha i soldi pe te pagà!!”, e poi volgendosi al marito “Mo è nu problema suo!!”.
Finchè avremo degli stati il cui compito “precipuo” è pagare “stipendi e pensioni” e per farlo si indebitano senza portare nessun collaterale effettivo, se non la cartastraccia delle loro cambiali con intrinseca promessa di “strizzare” i loro sudditi, avremo sempre a che fare con situazioni del genere.
Gli stati nazionali (almeno in europa … con la e minuscola) non sono più in grado di dichiarare guerra e di battere moneta, per cui sono dei “compratori di credito” come un qualsiasi altro operatore economico; e quando vogliono credito devono mettere sul piatto oltrè ai loro “Pagherò” dei cespiti e/o diritti d’uso reali, che cambieranno padrone allorchè lo stato in questione non onori il prestito.
Funziona così tra le persone normali, non vedo perchè gli stati nazionali debbano fare eccezione.
Mi pare che i nodi irrisolti vengano al pettine, la crisi greca andava risolta nel 2010, temporeggiare ci è costato una cifra iperbolica senza che ciò migliorasse la situazione. Lo so che è una tesi che ha sostenitori di dubbio livello ma tenere in vita la Grecia tutti questi anni è servito solamente a tenere in vita il sistema bancario di alcuni paesi (Germania in primis, poi Francia, Olanda e UK), e comunque anche in questo caso temporeggiare non è servito a nulla se guardiamo al core tier 1 di Deutsche Bank… insomma con la realtà è necessario farci i conti, prima o poi. A mio modestissimo modo di vedere nessuna delle due parti ha ragione, non la Grecia che ha sperperato risorse in maniera indegna ed immorale, non la Troika (anche se poi l’IMF si è smarcato) che ha oberato di debiti un debitore in evidente stato di bancarotta aumentandone in maniera esponenziale la pericolosità sistemica.
Quindi ben venga un chiarimento.
A mio modestissimo modo di vedere una unione monetaria monca e senza una unione fiscale (e quindi politica) non ha senso, d’altra parte non mi pare che vi siano i presupposti per una unione politica se in sede UE l’unica cosa di cui si parla sono il rafforzamento delle clausole di opt out e Brexit.
Quindi ben venga una procedura guidata di uscita, per chi lo desidera o per chi non può più fare altrimenti (come temo sarà il caso per l’Italia), tra l’altro è pure apparso sulla stampa qualche settimana orsono che a Bruxelles stanno lavorando sui trattati per prevedere in maniera esplicità la possibilità di uscita dall’Euro senza necessità di uscire dall’UE (il fatto che quella sciagurata lettura dei trattati, a mio modo di vedere folle in diritto, sia opera di un greco – che comunque si è ben guardato di argomentare la propria tesi e che è stata presa per buona da media troppo pigri per affrontare certe sfide – è quasi comico).
L’euro poteva essere una bellissima cosa per tutti, così come è stato fatto è diventato una tragedia per tanti.
E se al posto di Syriza ci fosse stato un altro partito, la Grecia avrebbe restituito il debito? Non credo, perché il problema greco è insito nel sistema economico, nella totale inefficienza della macchina pubblica e nella dipendenza della popolazione dalle elargizioni dello Stato.
Syriza è la diretta conseguenza della ignavia e dell’immobilismo del centro destra e del centro sinistra greci otre che della miopia di Bruxelles.
Sarebbe stato meglio per noi, e anche per quella nazione che aveva bisogno di un shock per cambiare, che si fosse lasciata andare in default la Grecia. Era così facile da vedere. E’ sconcertante la mancanza di buonsenso dei ministri economici e anche di tanti illustri esperti.
Non si può che essere d’accordo. Praticamente su tutto. L’uscita della Grecia sarebbe un momento di chiarezza, finalmente, e un momento tragico insieme. Sarebbe l’inizio della fine dell’euro, che sarebbe poi lo squillo di tromba del ritorno della politica clientelare, e sperperacciona in pompa magna.
Tutta colpa dei greci? Se così, Monti, dunque, aveva torto. La Grecia non è stata il più grande successo dell’euro. Ma Monti non è un passante, e se aveva torto, tutto quello che è successo e succederà è solo la conseguenza di un modo angusto e fallimentare di pensare all’economia.
L’europa delle banche e della finanza ha fallito, il sistema industriale è regredito quasi dovunque, forse dovunque. È probabile che ai greci verrà fatto pagare un prezzo salatissimo, nella speranza di spaventare gli altri, ma se una idea non funziona sarebbe meglio prenderne atto subito, e non rimandare ulteriormente.
Resta solo una speranza del tutto contingente, ventilata nell’articolo. Gli USA potrebbero non avere interesse che la Grecia slitti sotto l’influenza della Russia, e potrebbero far pressione per un nuovo rinvio, un nuovo tentativo. Ma allora sarebbe ancora più evidente la necessità di adottare un approccio economico complessivamente differente e non fallimentare come quello attuale.
Cosa preferiranno fare i grandi attori della economia statunitense, e i loro tanti illustri esperti?
Egregio Giannino, Il primo errore e’ stato di permettere alla Grecia di entrare nell’euro quando non aveva proprio i criteri per restarci. Ora, l’Italia avrebbe gia’ perso tutti i soldi prestati alla Grecia se non fosse stato per gli altri Stati europei, che Hanno opposto resistenza. Si puo’ essere euroscettici quando non si ricevono aiuti dagli altri Stati ma, nel caso si ricevono aiuti, vedi Polonia e Spagna, meglio rifletterci. I media francesi si chiedono come mai i paesi piu’ ricchi d’Europa( Svizzera, Norvegia) non ne vogliono sapere di entrarci e, chi ricco, vedi Gran Bretagna, vuole uscirne. In Francia, paese eurodebole, pensano sia meglio avere paesi ricchi, in modo che le loro tasse arrivano ai paesi deboli. Noi invece pensiamo che tutti dovremmo andare nella stessa direzione Della Grecia, cosi tutti andiamo nella bancarotta. Distinti saluti
Da persona di natura burocratica e teutonica (è un grave difetto, lo so), non riesco a concepire un popolo (o una persona, fa lo stesso) che prenda dei soldi a prestito e poi non si curi di restituirli. Con questo, tradendo la cosa più importante, la fiducia.
Io credo che il popolo greco, al di là di quello che i due Reggitori del momento, a mio giudizio due emeriti imbroglioni incompetenti, dicono o fanno, non voglia uscire dall’Euro e sia disponibile a tutti quei sacrifici che aveva già cominciato a fare.
Io sono convinto che, al momento della reale scelta, il popolo greco, con un referendum o con qualcos’altro, si libererà di Tsipras e compagnia, e tornerà a remare con fatica per l’unica strada possibile. Quella dei sacrifici per la soluzione dei loro problemi.
Poiché, neppure in Grecia vengono “serviti pasti gratis”.
Franco Tomassini
Una moneta è comune quando è tutto in comune,a cominciare dal debito.La Grecia,se lo farà,pagherà con altri prestiti.E’ il buco che cammina.In questa storia hanno tutti ragione e tutti torto perchè in realtà l’errore,che ci ostina a non riconoscere, sta all’inizio,nella pretesa di una moneta comune per economie che non lo sono e che non possono diventarlo.I tassi bassi sono una droga che il pusher garantisce fino a quando gli conviene.Invece di vivere sull’illusione della benevolenza degli altri,una nazione seria cercherebbe di fare da sè e di mettersi al riparo dalle turbolenze.Inutile ripetere quello che tutti sanno e solo qualcuno ogni tanto dice.Un paese con un debito come il nostro non può pensare di mantenerlo sul mercato dei capitali ma deve gestirlo in proprio.Altrimenti si perpetua una finzione che dura fino a quando conviene a non si sa chi.