Gli italiani e i soldi
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Matteo Repetti.
Avete presente lo spot di Mastercard: “Ci sono cose che non si possono comprare, per tutto il resto c’è Mastercard”? Ecco, forse si può partire da qui per provare a spiegare il complicato rapporto degli italiani con i soldi.
I soldi sono importanti, ma sono essenzialmente uno strumento. In Italia, invece, di soldi non si riesce a parlare in maniera serena. Ma perché? Fondamentalmente perché siamo rimasti – nelle nostre teste, negli atteggiamenti, nei comportamenti – una società preindustriale. Noi, in Italia, la rivoluzione industriale non l’abbiamo fatta, tantomeno l’abbiamo interiorizzata.
Nel mondo moderno i soldi sono fondamentalmente il mezzo utilizzato per scambiare i beni e i servizi e dare valore al lavoro necessario a produrli e/o a fornirli. E’ una questione tecnica, è più semplice pagare che scambiare, barattare le cose (così com’è diventato più agevole pagare con la carta di credito che con i contanti). E’ anche una questione di libertà, essendo le transazioni (ad esempio le cose che posso comprare e che voglio vendere) diventate notevolmente più facili e rapide.
Il denaro rappresenta poi il modo più immediato per attribuire valore al lavoro delle persone. Si tratta di un valore relativo, di mercato, ma come diceva Hayek i prezzi non sbagliano mai. Ricordo che quando Arrigo Sacchi divenne il nuovo allenatore del Milan di Berlusconi, a chi gli faceva notare che guadagnava un sacco di soldi rispondeva – suscitando più di qualche reazione moralistica – che i soldi erano appunto il modo per riconoscere l’importanza del suo mestiere (anche se poi aggiungeva che quel mestiere l’avrebbe fatto anche gratis).
Mediamente, invece, in Italia, i soldi sono in fondo visti come qualcosa di moralmente non del tutto accettabile. Meglio il settore del no-profit che le aziende che fanno bene il loro lavoro. Il denaro viene spesso disprezzato pubblicamente, anche se in privato molto meno. Chi guadagna tanto – ad esempio perché si è impegnato e sacrificato, perché è stato bravo o ha semplicemente particolari qualità – in genere non suscita sentimenti di emulazione, ma di invidia sociale (anche qui, tutti a deprecare gli stipendi milionari dei calciatori – o gli introiti dei Ferragnez – salvo poi essere abbonati a Sky e sperare di avere il figlio tra qualche anno in serie A o protagonista di un reality).
Insomma, il denaro da noi è una sorta di taboo sociale, oggetto di uno stupefacente meccanismo di rimozione collettivo: deplorato pubblicamente, molto meno in privato.
Se invece provassimo a riconoscergli l’importanza che effettivamente ha i nostri atteggiamenti e i nostri comportamenti sarebbero meno schizofrenici.
I soldi servono per rendere più semplici le transazioni; come corrispettivo per l’impegno, le capacità, l’ingegno e l’assunzione di rischio dimostrate sul lavoro; sono un fenomenale strumento di libertà, di giustizia e di progresso civile; l’accumulazione di capitali è necessaria – per il suo effetto moltiplicatore – per realizzare cose (strade, scuole, medicine, smartphone, ecc.) che diversamente non sarebbero mai diventate di questo mondo.
Solo se prendiamo finalmente coscienza di queste elementari verità ci potremo dedicare alle cose più importanti, che come ci insegna Mastercard non si possono comprare.