7
Gen
2011

Giochi online, fisco e concorrenza

Nei giorni scorsi l’Agenzia delle Entrate si è pronunciata sull’interpello promosso da un contribuente in merito al trattamento fiscale di alcune vincite conseguite per effetto della partecipazione a giochi online.

Con il suo parere l’Agenzia ha confermato la soluzione più prevedibile: tali introiti rientrano nel campo d’applicazione dell’articolo 67, comma 1, lettera d) del TUIR, e vanno dunque indicati in dichiarazione come redditi diversi; senza – peraltro – poter dedurre le spese di produzione (cioè le puntate per la partecipazione ai concorsi), secondo il dettato dell’articolo 69, comma 1.

L’Agenzia limita, inoltre, l’ambito d’applicazione del responso ai “siti web registrati e/o con server ubicati all’estero e/o gestiti da operatori stranieri”, dal momento che gli operatori italiani sono obbligati ad esercitare la ritenuta d’imposta ex articolo 30 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.

A ben guardare, il motivo d’interesse del parere non risiede nella riaffermazione di una disciplina che (pur con qualche eccessiva rigidità: le previsioni sul monitoraggio dei conti di gioco) discende in maniera piuttosto lineare dai principi della materia, bensì nella certificazione di una netta distinzione tra gli operatori stabiliti in Italia e quelli che – pur licenziati dall’AAMS – operano dall’estero.

Se è vero che ai primi s’impone l’onere della ritenuta, da cui i secondi sono esenti, si deve pur considerare l’effetto che il chiarimento dell’Agenzia delle Entrate potrà ingenerare presso la platea dei giocatori. Va, inoltre, ricordato che le vincite presso siti esteri sono assoggettate all’aliquota marginale IRPEF, che può raggiungere il 43%, mentre la ritenuta d’imposta è limitata al 25%. In altre parole, il quadro di riferimento rende più laborioso e meno remunerativo giocare attraverso i servizi di operatori stranieri.

Un simile effetto distorsivo discende da un’altra norma di recente approvazione. Ai sensi dell’articolo 1, comma 71 della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Legge di stabilità 2011), “i concessionari abilitati alla raccolta delle scommesse sportive a quota fissa che abbiano conseguito per tale gioco percentuali di restituzione in vincite inferiori all’80 per cento sono tenuti a versare all’erario il 20 per cento della differenza lorda così maturata”, con effetti di controversa quantificazione e, soprattutto, con l’incongura intromissione dello stato che – nell’imporsi come socio occulto senza accollarsi i rischi del banco – introduce a carico del settore un ingiustificato elemento di disparità.

Il mercato del gioco online è rilevante ed in continua espansione, con un fatturato triplicato in due anni, da 1,5 miliardi nel 2008 a quasi 5 miliardi nel 2010. Il solo poker (nella versione Texas Hold’em) “in quattro anni ha raggiunto la cifra di cinque milioni di giocatori su internet“. Ben venga, dunque, l’attenzione dell’erario per un fenomeno tutt’altro che trascurabile.

A patto, però, che siano rispettate due condizioni: da un lato, è necessario resistere a tentazioni punitive od opportunistiche che potrebbero danneggiare indebitamente il settore; dall’altro, si deve preservare la neutralità tributaria, onde non compromettere la concorrenzialità – interna ed esterna – del mercato dei giochi.

[HT: Jonkind; cross-posted @ MediaLaws]

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