19
Gen
2014

Gettare il referendum con l’acqua sporca

Nei prossimi giorni il Tar Lombardia inizierà a discutere un ricordo dei movimenti referendari che punta a mettere in discussione il metodo tariffario sviluppato dall’Autorità per l’energia. Bisogna sperare che il giudice amministrativo non ceda alla retorica: le acque sono già abbastanza torbide.

Il punto cruciale in discussione è l’accusa del Forum dei movimenti per l’acqua all’Aeeg di aver tradito lo spirito referendario, reintroducendo il “profitto” in tariffa. Uno dei due quesiti referendari, votati a larga maggioranza degli italiani, chiedeva infatti l’abrogazione di quelle norme che imponevano l’obbligo di includere nella determinazione della tariffa idrica la adeguata remunerazione del capitale investito. Per chi voglia rinfrescarsi la memoria, qui si trova un’analisi (ex ante) di Serena Sileoni e mia delle conseguenze dei referendum, qui una discussione di Serena sulla decisione della Corte costituzionale che, nel 2012, aveva cancellato la disciplina introdotta dopo la consultazione dai governi Berlusconi e Monti. Quello che è sopravvissuto è l’assegnazione delle competenze in ambito idrico all’Autorità per l’energia, come del resto era ragionevole chiedere fin da prima e come avevamo più volte enfatizzato (qui con Lucia Quaglino). L’Aeeg – dopo varie consultazioni e un esame approfondito dei problemi – ha introdotto un metodo tariffario transitorio che dovrebbe accompagnare verso un sistema più razionale e prevedibile, sul modello di quelli vigenti per le reti elettriche e gas. Tra l’altro questo metodo – in ossequio ai principi del full cost recovery derivante dalla normativa europea sui servizi a rilevanza economica, e a quello “chi inquina paga” che informa l’intero approccio comunitario ai temi ambientali – include nella tariffa gli oneri finanziari. Come era giusto, ovvio e prevedibile.

Questo non sta bene ai referendari, i quali, riferisce Luca Pagni:

Per quale ragione, il movimento referendario si è rivolto al tribunale amministrativo? In buona sostanza, perché a loro dire “l’Autorità ha fatto rientrare dalla finestra quello che i cittadini hanno fatto uscire dalla porta principale con il loro voto”. Sotto accusa, la voce inserita in bolletta con il nome “costo della risorsa finanziaria”. Per i Comitati si tratta di quella “remunerazione del capitale” che era il cuore del secondo quesito referendario: “Gli oneri finanziari sono interessi pagati sul capitale preso a prestito e nulla hanno a che vedere con la definizione che l’Autorità fornisce nei suoi documenti che è di fatto una forma di remunerazione del capitale. La maggioranza assoluta degli italiani ha invece sancito l’impossibilità di remunerare in tariffa il rischio d’impresa al di là della sua misura, in quanto ha sancito il divieto di fare profitti sull’acqua”.

Ora, al di là degli aspetti strettamente normativi – che spero il Tar consideri tali da non mettere in discussione il ruolo dell’Aeeg – vi sono due elementi sostanziali che non possono essere ignorati. E che neppure il Tar dovrebbe fingere di non vedere.

Il primo riguarda la stabilità e prevedibilità del diritto. La normativa pre referendaria era lacunosa e concedeva non poche rendite ai gestori delle reti idriche, perlopiù pubblici. In un certo senso, dunque, il referendum ha messo in moto un processo di aggiustamento che può essere virtuoso. Può esserlo, però, se a un certo punto si blocca e si assesta su un quadro razionale, come quello disegnato dall’Autorità. Se viceversa tutto viene continuamente messo in discussione, le reti idriche e fognarie continueranno a scontare incertezze così grandi da impedire (o rendere inutilmente costosi) investimenti che pure sono necessari e urgenti. Investimenti che derivano, più ancora che dalle pressioni e sanzioni comunitarie, dalla vergogna di un paese caratterizzato da reti colabrodo, depuratori carenti e addirittura un ottavo della popolazione non allacciato alla fogna. Senza contare i casi – meno diffusi ma rilevanti – di acque contaminate dalla presenza di inquinanti. Per risolvere questi problemi servono investimenti, e gli investimenti non piovono dal cielo: germogliano sulla terra se questa è fertile (cioè se offre opportunità di profitto) e se la morfologia dei campi non cambi dal giorno alla notte (se le leggi non vengono continuamente sovvertite). Gli investimenti nelle infrastrutture idriche hanno tipicamente lunghi tempi di ritorno: di conseguenza non sono compatibili con un orizzonte di imprevedibilità.

Il secondo elemento è un dato di realtà: gli investimenti servono e gli investimenti costano. Il disegno Aeeg è quello di attribuire una remunerazione coerente con una stima del loro “costo efficiente”, allo scopo di indurre gli operatori a fare profitti limando i costi e spendendo meno. Le successive revisioni terranno conto di questi guadagni di efficienza e li redistribuiranno a favore dei consumatori. Sicchè l’effetto della buona regolazione è quello di mettere sotto controllo i costi unitari di investimento, come è effettivamente accaduto nelle reti elettriche e gas. Se si vuole esorcizzare il fantasma del profitto bisogna accettarne le inevitabili conseguenze. Cioè: o si rinuncia agli investimenti; oppure li si carica (contraddicendo il principio chi inquina paga e facendo pagare i consumatori idrici di Pietro a Paolo, che di acqua ne usa meno) sulla fiscalità generale o suoi surrogati (ultimamente i referendari hanno scoperto il pozzo di San Patrizio della Cassa depositi e prestiti).E’ pacifico che nel primo caso si dà il via al ballo dell’iniquità; nel secondo si rimuove ogni incentivo ai guadagni di efficienza, perché ci si colloca in uno scenario statico e non dinamico. Funzionale a ciò, e non a caso, è la pretesa dei referendari di sottrarre i poteri sull’acqua a un regolatore tecnico indipendente (l’Aeeg) per attribuirli a un organo politico (il ministero dell’Ambiente).

Il problema vero e profondo è che il referendum ha dato vita a un paradosso. Per rubare le parole a Carlo Scarpa,

Se non vogliamo tradire la volontà popolare, rischiamo di uccidere un settore vitale. Ma tradire la volontà popolare (che piaccia o meno) non sarebbe peggio? Ai nostri sagaci politici l’ardua sentenza.

A me piace essere un poco più ottimista. Il referendum ha coagulato consensi tanto vasti, tra l’altro, per la sua feroce politicizzazione e per la propaganda ingannevole che l’ha circondato. Ciò nonostante, dal referendum è faticosamente emerso un assetto tutto sommato ragionevole, che attribuisce all’Aeeg un ruolo e poteri adeguati. La stessa Aeeg è consapevole della delicatezza del tema e anche dell’esigenza di garantire non solo la remunerazione degli investimenti, ma anche la loro effettiva realizzazione – e di collegare l’una all’altra, come già avviene negli altri ambiti di sua competenza. Certo, c’è ancora molto da completare: oltre alle tariffe, resta aperta la questione di come affidare il servizio e come riportare la concorrenza dove è stata eliminata. Insomma, per usare una metafora abusata, alcuni passi sono stati compiuti, molti altri restano da fare. E’ però cruciale che il Tar non schiacci per l’ennesima volta il tasto reset.

Siamo letteralmente a un bivio. Il Tar può depurare l’acqua e mettere fine a una girandola che va ormai avanti da tre anni. Oppure può gettare in mare gli investimenti idrici.

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4 Responses

  1. DDPP

    Conosco un po’ la legislazione sugli ambiti idrici e ricordo molto bene il referendum.
    Se da parte dei propositori, il referendum fu considerato una modalità con cui dare l’ennesima spallata al governo Berlusconi, dalla parte opposta le ragioni (tante e opportune) di resistere furono rappresentate molto sottotono, forse per la certezza che si sarebbe perso e non ci si voleva mettere la faccia.

    Quello che nel momento attuale non riesco a capire, è l’ottusa ostinazione dei propositori delle azioni giudiziarie allo scopo di fare ancora più danni ai cittadini.
    Chi propone azioni giudiziarie è disponibile a contrattare la riduzione dei servizi e degli investimenti a scapito di una tariffazione che non tiene in considerazione il (modesto) costo di finanziamento?
    Sanno come è composta la tariffa? Sanno che spessissimo la tariffa è molto più bassa del costo diretto sostenuto dai consumatori?
    Il Novellatore Pugliese (Vendola) ha condotto la campagna referendaria, ma in Puglia, s sue indicazioni, l’Acquedotto Pugliese applica pienamente la remunerazione del capitale in bolletta. Come lo giustifica? Pensa che anche il Referendum, come la Magistratura, vada usato contro gli avversari e agli amici lo si interpreta?

  2. Paolo

    Traggo ispirazione da un commento che ho ritrovato sotto all’intervista del prof. Massarutto, di cui al link <>: i referendum del 2011 su acqua e nucleare hanno rappresentato un momento di follia generalizzata, di gente che impazzisce di gioia pensando di contare qualcosa e invece non conta nulla, in quanto solo usata e strumentalizzata da politicanti, arrampicatori, falsi, inetti, impreparati o semplicemente indegni. Questo nel migliore dei casi, nel peggiore si considerino i soliti lobbisti e/o statalisti de’ noartri, tanto bravi a sguazzare in un mare privo di transparency & accountability. Una tristezza. Fu il trionfo dei servi servili.

  3. Rocco Todero

    Non c’è dubbio, il referendum sull’acqua e’ stato un errore, la decisione della Corte costituzionale che lo ha ammesso criticabile e la remunerazione del capitale una componente essenziale della tariffa insieme al recupero dei costi ed all’ammortamento dei mutui. Ma il principio di legalità e la sovranità popolare non possono essere calpestati e derisi, pena la perdita di credibilità dell’intero sistema democratico. La decisione, ripeto, e’ stata irragionevole, frutto di populismo di bassa lega, ma questo non può consentire ad un’autorita’ amministrativa indipendente, qual è l’AEEG, di violare la legge e la costituzione. La deliberazione n. 643 del 2013 R/IDR ( pubblicata sul sito dell’autorità ), l’ultima che mi risulti che abbia affrontato la questione della determinazione del metodo tariffario considera quale componente della tariffa, a detta di tutti, una voce che riproduce sostanzialmente la remunerazione del capitale. Questo non credo sia il massimo di quello che si può chiedere ad uno Stato di diritto. L’amministrazione deve attenersi scrupolosamente alla legge, ancor di più quando essa è il frutto di un pronunciamento referendario e nonostante l’esito possa essere bizzarro, irragionevole ed economicamente dannoso ( su questo siamo tutti d’accordo). Io ritengo,invece, che si possa discutere sugli effetti retroattivi del referendum, i quali vanno ad incidere su concessioni di servizi già stipulate ed efficaci al momento della approvazione del quesito referendario. I gestori del servizio idrico, cioè, che avevano deciso di intraprendere la relativa gestione lo avevano fatto tenendo conto di certo anche della remunerazione del capitale investito. La novella legislativa, seppur risultante dalla abrogazione conseguente al referendum, non deve incidere sui contratti già stipulati ma sulle concessioni ancora da affidare. Per queste ultime, a mio giudizio, l’AEEG farebbe bene a rispettare la legge, ad evitare di inasprire un conflitto che rischia oggettivamente di screditare la democrazia e la costituzione ed ad utilizzare i suoi poteri dissuasivi e tecnici per spingere sul legislatore al fine di risolvere con raziocinio questa importantissima questione.
    Rocco Todero

  4. Gianfranco

    Ai referendari stanno bene le tangenti, anche i pizzi e le prebende per amici degli amici, purche’ le cose stiano in casa, ma una gara seria in cui chi finanzia e lavora prenda il suo utile no eh… sterco del diavolo !

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