Gazprom difende i volumi: qual è il prezzo dell’Eni?
La crisi del gas, quest’anno, è al contrario. Ci sarà crisi, almeno per le principali compagnie europee, se i russi pretenderanno il rispetto letterale delle clausole contrattuali, che obbligano gli importatori a ritirare le quantità negoziate a un prezzo predefinito. Chi non lo fa, paga lo stesso (pur potendo recuperare le quantità non ritirate per un periodo che normalmente va dai tre ai cinque anni). Dopo aver temporeggiato per qualche mese, giusto per vedere che succede, i russi hanno fatto la prima mossa, in Turchia. Da giocatori di scacchi quali sono, gli strateghi di Mosca hanno aperto col cavallo: una pedina molto aggressiva, che può facilmente spostarsi dai lati – dove si trova – al centro.
I contratti “take or pay” servono a ridurre le incertezze sottese a investimenti massicci come quelli per cercare gas nel sottosuolo o realizzare le necessarie infrastrutture di trasporto (gasdotti o rigassificatori). Il senso dell’accordo è perseguire una ripartizione dei rischi equa per entrambe le parti: il venditore si prende il rischio prezzo (ancorando il valore del gas a quello di un paniere di greggi), il compratore il rischio volume (impegnandosi a ritirare una certa quantità di metano ogni anno, per tutta la durata del contratto).
Finché la domanda cresce, tutto va bene e nessuno si lamenta. Recessione vuole che la domanda sia crollata – secondo il portavoce di Gazprom, Sergei Kupriyanov, in misura superiore al 10 per cento, in Europa. Da qui il braccio di ferro: i compratori chiedono ai venditori un margine di tolleranza, i venditori cercano di piazzare in ogni modo il loro metano. Brutalmente, la situazione per il Cremlino è questa: il debito incalza, i profitti crollano assieme ai prezzi, gli investimenti colano a picco (nel 2009, Gazprom ha tagliato del 19 per cento): di tutto c’è bisogno tranne che di un altro problema.
Per qualche mese, le tensioni sono restate largamente sotterranee. Ora, siamo al momento del dunque. Il “tana liberi tutti” lo si legge, in controluce, in una notizia ignorata dai più: Gazprom ha chiuso un accordo con la turca Botas, che importa circa 30 miliardi di metri cubi (noi ne abbiamo importati 24,6 miliardi nel 2008). I contenuti dell’accordo non sono noti, ma quello che si capisce è che i russi avrebbero concesso uno sconto in cambio della garanzia dei volumi.
La fretta di chiudere turchi, addirittura l’ultimo giorno dell’anno, potrebbe essere anche un modo per mandare un segnale ai più tosti italiani e tedeschi. Se è così, Gazprom ha tracciato il suo perimetro negoziale. Resta da vedere se Eni ed E.On sono disponibili ad accettarlo. Qualcosa dipenderà, naturalmente, dall’entità dello sconto. Ma molto dipende anche dalle aspettative che le compagnie europee hanno rispetto ai possibili utilizzi del gas in eccesso, e dunque dell’andamento della domanda.
Sul piano generale, se questa tendenza si confermerà ne faranno le spese soprattutto gli altri fornitori di gas. Se l’Eni accetterà di mantenere i volumi contrattati con la Russia, proverà a giocare la carta del prezzo sul tavolo algerino. E’ dunque facile prevedere, per il 2010, un tasso di utilizzo molto basso per i due rigassificatori esistenti nel nostro paese, Rovigo (da 8 miliardi di metri cubi di capacità massima) e Panigaglia (4 miliardi di metri cubi), come del resto è già accaduto nei mesi scorsi, quando l’irrigidimento russo sui take or pay ha compresso la domanda di gas “libero”.
Il dilemma dell’Eni (e, specularmente, di E.On) si gioca tutto sul “quantum”: più lo sconto è consistente, più il prezzo di acquisto del gas (dettato dai contratti) si avvicina a quello di vendita (fissato sui mercati spot) e gli azionisti di San Donato sono felici. I balli si faranno vorticosi nelle prossime settimane, quando si dovrebbe tenere un incontro bilaterale tra Mosca e Berlino al massimo livello. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, è una negoziatrice abile e conosce la questione, quindi nulla è scontato. Anche i russi, però, conoscono perfettamente le proprie carte e sanno come e quando calarle. Tirare la corda, comunque, non conviene a nessuno, perché in futuro le posizioni potrebbero essere rovesciate.
L’Eni, da parte sua, proverà a far valere gli ottimi rapporti commerciali che vanta con Gazprom, oltre all’intercessione del Cav. presso l’ “amico Putin” (che però, quando si tratta di soldi e potere, sa mettere i sentimenti da parte). Userà anche l’arma della lacrimuccia, e neppure del tutto a torto: l’Italia non fa altro che prendersi cazziatoni dagli americani per il supporto troppo esplicito a South Stream, e questo porta l’Eni a chiedere, e aspettarsi, un trattamento di favore. La storia ci dirà se questo trattamento, che con gli occhi della cronaca non si vede, c’è stato.
Che il nervosismo sia la cifra di questi giorni, lo dimostra anche il comunicato stampa del ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, che il 29 dicembre, parlando della revisione tariffaria appena compiuta dall’Autorità per l’energia, si avventura sul terreno infido della revisione dei contratti internazionali: “è il momento di introdurre maggiori flessibilità nelle contrattazioni … promuovendo la revisione delle condizioni economiche dei contratti esistenti con i Paesi produttori”. Liberissimi di pensare che sia tutta farina del suo sacco.
All’apertura russa col cavallo, dunque, gli italiani (e i tedeschi) sembrano rispondere con l’arrocco. Posto che lo scacco macco non è un’opzione per nessuno, la domanda è: lo sconto massimo che hanno in mente i russi, è compatibile con l’imbarazzo di italiani e tedeschi a rifornirsi di gas che non sanno dove mettere?