Fondo unico authority. Chi vince, chi perde, chi viene messo al guinzaglio
Puntuale come la morte e le tasse, anche questo mese è arrivato il consueto emendamento anti-autorità indipendenti. A differenza del passato, quando oggetto degli interventi (finora scampati) era questo o quel collegio, o le relative modalità di nomina, questa volta la strategia è del tutto diversa. Nel mirino entrano, infatti, le modalità di finanziamento delle authorities. Un emendamento alla finanziaria firmato dai deputati del Pdl Antonio Pepe, Maurizio Leo, Silvano Moffa e Donato Lamorte propone di creare, presso il Tesoro, un “fondo unico perequativo” dove dovrebbero confluire tutte le entrate proprie di Consob, Antitrust, Agcom, Autorità per l’Energia, Covip, Garante della Privacy, Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, Isvap e Commissione di garanzia per gli scioperi.
Alcuni di questi enti si mantengono da sé: l’Autorità per l’Energia attraverso un contributo a carico delle imprese regolate, l’Isvap per mezzo dello stesso strumento più gli interessi attivi sui depositi bancari. Altre, cioè il Garante per la Privacy e la Commissione di garanzia sugli scioperi, dipendono interamente dal bilancio dello Stato. Le rimanenti si mantengono in forma mista, dipendendo più o meno dai fondi pubblici e più o meno da fee applicate ai soggetti regolati o dai proventi delle sanzioni erogate (cosa che crea un incentivo perverso, ma non è questo il punto).
Il sistema è chiaramente imperfetto e lascia insoddisfatti soprattutto quelli che, dovendo negoziare col Tesoro, si sentono in qualche modo “i cugini poveri”. Posto che il problema esiste, ci si sarebbe aspettati un tentativo di rendere più autonomi, o autonomi del tutto, quelli che ancora, sotto il profilo finanziario, non lo sono. Sarebbe un tentativo grandemente apprezzato dal mercato, che più di tutto teme la volubilità dei decisori. E’ chiaro che un regolatore che, per la propria sussistenza, debba trattare col governo, deve subirne i capricci, dà meno garanzie di stabilità: e questo è tanto più vero in un contesto politico come il nostro che conosce la stessa stabilità di un toro meccanico.
Non stupisce, dunque, che diverse autorità abbiano reagito con durezza alla proposta. Per esempio, l’Autorità per l’energia ha inviato una segnalazione a governo e parlamento per richiamare l’attenzione sui profili di criticità, generali e specifici (altre segnalazioni sarebbero in arrivo). Tra le altre cose, quasi certamente ci troveremmo in violazione delle direttive comunitarie, col rischio di vedere aperta l’ennesima procedura di infrazione nei confronti dell’Italia. Inoltre, sarebbe discutibile il fatto che i contributi estratti da alcuni regolatori ai rispettivi settori di interesse, fossero utilizzati per finanziare attività del tutto estranee ai loro interessi diretti. Cito dalla segnalazione dell’Aeeg:
la norma proposta finanzierebbe – con onere a carico delle sole imprese che operano nei settori regolati (settore elettrico, del gas, delle telecomunicazioni, assicurativo e degli scambi finanziari) – anche amministrazioni del tutto estranee a tali settori nonchè autorità che operano a livello trasversale su tutti i mercati svolgendo attività di vigilanza su tutte le imprese soggette alla concorrenza (introducendo una sostanziale forma di tassazione occulta sui suddetti settori regolati).
Questa situazione spinge l’organismo presieduto da Alessandro Ortis a parlare di una “tassa occulta” sui soggetti regolati. Da ultimo, il pregiudizio all’indipendenza delle autorità – che è intrinseco nella proposta e viene lamentato quasi da tutti – verrebbe esasperato dal fatto che quello italiano non è uno Stato “guardiano notturno”, ma detiene partecipazioni rilevanti in una serie di società che occupano posizioni dominanti nei rispettivi mercati – Eni, Enel, Rai, Trenitalia, eccetera. La dipendenza del controllore dal controllante è un fattore di preoccupazione (in realtà per le stesse imprese controllate, che rischierebbero di trovarsi in una situazione di patologica incertezza riguardo a chi decide cosa, come, in quali tempi e con quali mezzi).
Non stupisce, dunque, che alcune autorità abbiano reso più o meno pubblici i loro mal di pancia. Non stupisce nemmeno che Giulio Tremonti, a quanto ci risulta, pur non avendo avuto alcun ruolo nella genesi dell’iniziativa, vedendosela piovere addosso non si sia scansato. In fondo, se approvata si ritroverebbe istantaneamente più potente, senza neppure averlo chiesto.
Quello che stupisce, ma in fondo non troppo, è che tra le stesse autorità si sia aperta una divisione. Da un lato, quelle coi bilanci in ordine; dall’altro chi, come Antitrust, Scioperi e in modo assai più defilato Privacy ritiene di meritare maggiori risorse o comunque di potersele aggiudicare (per diverse categorie di merito: per esempio il ruolo di primissimo piano che alcuni commissari occupano al Tesoro). Fatto sta che Antitrust e Scioperi, nella riunione che si è svolta oggi alla presenza di Gianni Letta, non avrebbero sgomitato poi tanto, mentre la Privacy avrebbe caldeggiato una “terza via”. Terza via che, secondo le voci intercettate nell’aria, sarebbe stata predisposta dai tecnici del Tesoro, sotto forma di un prestito forzoso dalle authorities finanziariamente più forti a quelle più deboli.
Anche qui, però, la “santa alleanza” dei regolatori virtuosi avrebbe stretto le fila, consapevole di due rischi. Primo: generare incentivi perversi, per cui nessuno si troverebbe ad avere un reale interesse alla disciplina finanziaria, perché tanto il “di più” andrebbe a beneficio altrui. Secondo: oggi i regolati che pagano il loro regolatore sanno come vengono utilizzati i loro soldi. Un domani, questo non sarebbe più vero, a scapito della trasparenza e dell’accountability dei regolatori. Starebbe circolando una controproposta – un prestito volontario che poi, però, dovrebbe essere restituito – che però, ovviamente, non incontra il gradimento di chi ha, a vario titolo, proposto, promosso, voluto o apprezzato l’emendamento. Comunque, queste sono tecnicalità: non sono il punto, come il punto non è fare la conta di vincitori e perdenti.
Il punto è, direbbe Doc Brown, ragionare quadridimensionalmente. Nell’immediato, la strategia può anche pagare. Ma nel lungo termine, no. Cioè: nell’immediato può determinare un flusso di risorse da chi subisce a chi cavalca la riforma. Ma nel lungo termine, consegna il pallino al governo, minando l’indipendenza delle autorità tutte. Con tanti saluti al buon funzionamento del mercato, al prestigio dei regolatori, e a quelle specie di liberalizzazioni che con tanta fatica abbiamo costruito, più o meno.
Crossposted @ 2+2
Complimenti per la bella analisi.
Mi spaventa sia il disincentivo all’efficienza che ne verrebbe, sia i delicati e fragili equilibri che oggi consentono un minimo di trasparenza (se studiati) e resposabilizzazione e che verrebbero travolti dall’asso piagliatutto. Una battuta a margine.. ma se l’aeeg si sostiene con le fee degli operatori.. la commissione di garanzia per gli scioperi.. non potrebbe garantirsi il pareggio di bilancio con fee pagate dai sindacati?
Infatti, il problema è l’indipendenza delle autorità. E’ evidente che alcune si possono sostenere da sole, ma altre no. Come risolvere questo punto? Magari, destinando loro l’incasso delle sanzioni che possono comminare. E poi? Voglio dire: oggi come si sostenta il Garante della Privacy?
scusate l’ignoranza, ma è stato approvato per legge il fondo perequativo?