12
Giu
2016

FMI e neoliberismo: Conversione ma non troppo

Pochi giorni fa, sulla rivista Finance and Development del Fondo Monetario Internazionale, è stato pubblicato un saggio dal titolo “Neoliberalism: Oversold?” a firma di Ostry, vice direttore del dipartimento di ricerca, Loungani, capo della divisione macroeconomia dello sviluppo, e Furceri, economista italiano in forza al dipartimento di ricerca.

Il contenuto del saggio è meno sorprendente di quanto non sia il titolo, nonostante molti commentatori, italiani e non (qui e qui un esempio dei primi e dei secondi), si siano affrettati a celebrare la tanto attesa “conversione” del FMI. Una volta definita l’agenda neoliberista come un’agenda che poggia sui principi della concorrenza e di un ruolo ridotto dello Stato nell’economia, gli autori infatti chiariscono come un’agenda di questo tipo abbia dalla sua innumerevoli ragioni per essere sostenuta: “l’espansione del commercio mondiale ha liberato milioni di persone dalla povertà. Gli investimenti stranieri sono spesso stati un modo per trasferire tecnologie e conoscenza alle economie in via di sviluppo. La privatizzazione di imprese statali ha spesso portato a un’offerta più efficiente dei servizi pubblici e a una riduzione della pressione fiscale da parte dei governi”.

Nondimeno, secondo gli autori, due specifiche politiche di ispirazione neoliberista nel senso appena spiegato, ovvero la liberalizzazione del movimento dei capitali (in particolare dei capitali destinati a investimenti a breve termine) e le politiche di consolidamento fiscale (l’austerità), avrebbero comportato conseguenze inintenzionali negative: dubbi benefici in termini di crescita nel breve termine e un aumento delle disuguaglianze che a sua volta minerebbe la sostenibilità e il livello della crescita nel lungo termine.

Nel caso della liberalizzazione del movimento dei capitali, è comunque importante sottolineare come i nostri autori non abbiano dubbi circa i vantaggi che scaturiscono dall’apertura finanziaria. Consentire che i capitali siano diretti dove possono ottenere un rendimento più elevato è alla base dell’efficienza economica ed è ciò che ha consentito a milioni di persone nei paesi in via di sviluppo di liberarsi rapidamente dalla povertà estrema. Tuttavia essi sostengono che gli investimenti a breve termine non sarebbero tanto benefici quanto quelli a lungo termine. Un modo di semplificare la questione che va a svantaggio della chiarezza. Sarebbe il caso di domandarsi perché un paese, a differenza di altri, non riesce a trattenere capitali per lungo tempo. Obbligare chi investe a farlo “a lungo” ex ante, significa impedirgli di decidere di cambiare strada nel malaugurato caso si accorga di aver fatto un investimento sbagliato.

Quanto all’austerity, i detrattori di casa nostra si calmino subito. Gli autori scrivono a chiare lettere che “non c’è dubbio che molti paesi (come quelli dell’Europa del sud) non hanno altra scelta che intraprendere una strada di consolidazione fiscale, dal momento che i mercati non gli permetterebbero di continuare a prendere a prestito”. Tuttavia, proseguono, che alcuni paesi abbiano la necessità di consolidare le finanze pubbliche non significa che la stessa strada sia quella auspicabile per tutti i paesi. “Gli episodi di consolidamento fiscale sono seguiti, in media, a cadute del prodotto più che a espansioni”.

Intanto si direbbe che un’analisi “in media” non renda giustizia a una pubblicazione del FMI. In ogni caso, nulla di nuovo è stato detto. Innanzitutto, come già sapevamo, se lo Stato italiano vuole continuare a ottenere prestiti non ha altra scelta se non quella del consolidamento. Inoltre, già qualche tempo fa la Banca Centrale Europea aveva pubblicato uno studio in cui si sosteneva che non tutte le forme di austerità funzionano allo stesso modo. In particolare, nello studio veniva mostrato che l’austerità migliore se si vuole perseguire la crescita è quella che non viene fatta pagare ai contribuenti, ma al contrario viene applicata attraverso tagli alla spesa pubblica (qui un commento dello studio). Sappiamo bene quanto questi siano rari.

Per finire, è evidente che a parità di crescita saremmo tutti felici di avere meno disuguaglianza. Ma le società più uguali nel corso della storia sono state quelle in cui tutti erano cacciatori o raccoglitori. La disuguaglianza è cominciata ad aumentare non appena le società sono diventate più ampie e si è introdotta la specializzazione del lavoro. Tutti ne hanno beneficiato e qualcuno si è arricchito molto più di altri. Grazie a questa dinamica, la grande maggioranza di noi gode oggi di benefici che fino a poco tempo fa rappresentavano un lusso per pochi (aria condizionata, viaggi intercontinentali, comunicazione istantanea con fratelli, amici e cari dall’altra parte del mondo). E’ curioso che il problema della disuguaglianza sia percepito come tale soprattutto in periodi in cui non si cresce. Forse perché il vero problema non è tanto la disuguaglianza, quanto il numero di persone che viene costretto alle condizioni di povertà. Per ridurre questo numero al minimo, come viene velatamente ricordato anche dagli autori di questo saggio, fino a oggi non è stato trovato nulla di altrettanto efficace a quanto tanto piace ai neoliberisti: il libero mercato.

@paolobelardinel

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3 Responses

  1. SpeculaThor

    Ora cari ragazzi non vi dico la mia opinione in contrapposizione alla vostra: ora vi dico che cosa è successo e che cosa NECESSARIAMENTE succederà.

    Sovra-Capacità permanente sui mercati occidentali

    Mercati ormai Maturi (innovazione prodotto non è più labour intensive)

    Disoccupazione Tecnologica di Processo non più riassorbibile come nel 900 da nuovi settori

    Delocalizzazione inevitabile negli EM => ulteriore disoccupazione

    Concorrenza tra Stati (es. Hartz, Jobs Act ed ora Francia) inevitabile per strapparsi quote di occupazione TOTALE strutturalmente decrescente e di qualità mediamente sempre più bassa

    Ceto medio per ora impoverito ed in futuro quasi demolito

    Aumento delle Disuguaglianze INTERNE all’occidente

    Diminuzione delle Diseguaglianze tra occidente ed EM

    Aumento Permanente di Lunghissimo Periodo dei Debiti Aggregati Pubblici e Privati, in Europa ed in America, che Sussidiano la Mancanza di Reddito per l’ex Ceto-Medio (i Profitti delle imprese private derivano da vendite acquistate con crescenti debiti pubblici e privati)

    Irreversibilità dei Debiti => panico da Default a Catena => Helicopter Money => cioè Annullamento di fatto dei debiti e nuovi investimenti pubblici senza austerity tasse/spending review

    PS: anche la Germania sarà colpita dal crack => anzi sarà proprio Lei il punto di partenza PARADOSSALE del crack

    Possibilità che voi, FMI e BIS ecc capiate ed accettiate ciò che accadrà
    = zero

  2. Marco

    Ah che spasso questo Speculathor. Parafrasando, direi: “La mamma di quelli che credono al modello superfisso è sempre incinta.”

  3. SpeculaThor

    Egregio Marco :
    1) sì son ironico
    2) la mia mamma però potevi anche lasciarla stare
    3) anche Oscar e Seminerio in trasmissione dissero: “alla fine il Giappone annullerà il debito” (non usarono l’espressione Elicottero uguale).. lo dissero con con liberista disapprovazione.. ma dimostrarono di intuire come PER NECESSITA’ (cioè Non x Volontà dei Singoli x quanto Dotti e/o Potenti) andrà a finire.. ma prima serviranno sorry Molti Altri Errori e Molto Altro Declino.. anche della vostra mitica Germania..
    4) probabilità che possiate capire la realtà Super Variabile = ZERO

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