FME, un’idea che non capisco
L’idea di un Fondo Monetario Europeo che ha preso piede nelle cancellerie continentali sembra a me assai singolare. Per quattro ragioni. Non mi piaceva la versione iniziale proposta un mese fa (qui) da Daniel Gros e Thomas Mayer. Non mi piace, per ragioni diverse, la proposta del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaüble. Capisco invece la frenata di Angela Merkel, ma è una furbata anch’essa, almeno dal mio punto di vista. Non capisco per nulla, poi, in che misura i politici europei che propongono un simile strumento lo colleghino alla questione dei pesi nel FMI.
La proposta iniziale Gros-Mayer ha secondo me due difetti essenziali. Prevede il finanziamento del costituendo Fondo Monetario Europeo a carico dei Paesi in eccesso di deficit rispetto al 3% di Pil annuale corretto per gli aggiustatori automatici di ciclo, e in quanto tale esclude ogni compartecipazione su base di “peso reale” ripartito tra i diversi membri dell’euroarea. Messa così, rende lo strumento impopolare agli occhi dei contribuenti dei Paesi meno virtuosi, lo costituisce come una leva di deflazione all’origine invece che come uno strumento di sostegno di ultima istanza “contro” i rischi sia di deflazione sia di default. In più, il difetto è che gli eventuali interventi di tale FME sarebbero in conflitto con quelli della BCE, chiamata a tenerne conto sui tassi sia pur non essendo in alcun modo tenuta a farlo.
La proposta di Schaüble appartiene alla solita melina che i politici germanici stanno facendo sin dall’inizio della crisi: nessuno strumento anti-crisi cofinanziato, in quanto restrittivo di ciò che la Germania decide di fare per sé e per i Paesi in cui ha delocalizzato. In nome della popolare e rassicurante canzone, gradita all’elettorato tedesco, per la quale non si tira fuori un soldo di tasca a favore delle cicale dissipatrici. Jürgen Stark dalla BCE ha aggiunto che il FME violerebbe i Trattati e minerebbe l’euro, il Financal Times in un editoriale lo ha stroncato perché ignorerebbe la necessità di riquilibrare gli sbilanci di segno opposto dei flussi di pagamenti e commerciali, concentrandosi ancora una volta troppo sulle politiche di bilancio, come a Maastricht.
E’ un’accusa seria. Rebecca Wilder ha sottolineato come praticamente quasi tutti i Paesi europei stiano deflazionando il proprio costo del lavoro, mentre l’andamento dell’euro svaluta il valore dell’eurodebito. Il piccolo particolare è che la scala delle riduzioni del costo orario del lavoro europeo è impressionante, ma la gara alla deflazione competitiva ignora che gran parte del commercio è intraeuropeo, e dunque è una gara a somma negativa, se non coordinata con una politica di riequilibrio tra i Paesi “troppo” esportatori che dovrebbero rafforzare la domanda interna, e quelli “troppo” importatori che dovrebbero raffreddarla.
A questo punto è arrivata la Merkel, che ha riconosciuto che la proposta confligge coi Trattati e dunque non se ne fa nulla o quasi, del resto alla Germania non serve. I francesi hano ancora più dubbi. Juncker, presidente dell’Eurogruppo, parla di ” idea di ultima istanza”.
Non ho letto di alcun politico europeo che si ponga il problema della coerenza tra tale FME e il riequilibro dei pesi che occorrerà presto o tardi adottare nel FMI, in cui l’Europa è assolutamente sovrarappresentata rispetto alla sua importanza nel Pil planetario. Da due anni, tutti a chiacchiere dicono di volere un mondo con migliori architetture di governo condivise a livello globale. Tranne poi preferire di compiacere gli elettorati nazionali,e le loro pregiudiziali nazionalistiche figlie del passato. Meglio tenersi stretti un FMI b riformato, che far ciance su un FME che non ci sarà mai.
” il finanziamento del costituendo Fondo Monetario Europeo a carico dei Paesi in eccesso di deficit rispetto al 3% di Pil annuale corretto per gli aggiustatori automatici di ciclo, e in quanto tale esclude ogni compartecipazione su base di “peso reale” ripartito tra i diversi membri dell’euroarea”
Costruito in questo modo, tale FME non può essere considerato uno strumento per risolvere l’attuale congiuntura. Tra l’altro ci vorrà del tempo prima che si possa arrivare ad un qualsiasi accordo ed alla costituzione “materiale” dell’organismo, e a quel punto la face recessiva potrà già esser stata superata in via “naturale” (così come “naturalmente” è sorta, almeno per chi si riferisce a certe teorie di business cycle).
Provo una linea interpretativa di “difesa” del FME. Credo che potrebbe essere uno strumento per il futuro; per come è presentato rappresenterebbe un impegno a “pagare”, risparmiare forzosamente, proprio quei paesi che stanno già “spendendo troppo”. E questo dovrebbe funzionare come “deterrente” a ulteriori spese (in deficit oltre 3%) proprio per questi “viziosi”. A quel punto, se un crack ci deve essere, il fondo dovrà aver accumulato qualcosa per “rispondere”.
Intanto anche altri paesi sarebbero coinvolti e dovrebbero “pagare” i default altrui, almeno quelli causati da “cattiva” politica economica. Sapendo questo, e sapendo di non poter mungere ad esempio la più virtuosa Germania, si può attuare un nuovo “deterrente alla spesa”, giacché nessuno è veramente “solidale” dentro da esser disposto a rischiare di pagare per gli altri che sa essere i “peggiori della classe”.
Detto questo, sono sicuro quasi al 100% che per finanziarlo nasceranno finalmente gli Union Bond, e si avvierà la costruzione di una “politica finanziaria e fiscale” comunitaria. E si troveranno altre vacche da mungere. Per la crisi attuale, eh ormai è andata.
Personalmente non credo che tutto questo gioco possa funzionare, soprattutto in paesi dove il ricambio governativo è molto molto frequente, tale da troncare le responsabilità politiche già dei due anni precedenti. Lo Stato è in genere troppo grande, fa troppe cose che non dovrebbe fare e per questo spende troppi soldi, e la maggior parte delle persone chiede questo per il senso di “sicurezza” che da (un logico risk sharing), e quando le finanze non tornano nessun politico “paga” veramente i suoi errori (perché nessuno glieli fa pagare con il voto).
(scusate le virgolette frequenti, ma è che per me tutta questa architettura statale è solo burocrazia che crea burocrazia, di nessuna utilità reale).
Penso che al solito l’Europa stia perdendo un’occasione per diventare l’Europa che vogliamo. Per superare la crisi occorre incanalare il risparmio verso lo sviluppo, per creare nuove opportinità di business, per le grandi infrastrutture europee, insomma per attività sane, con ritorno economico e maggior occupazione sana. Per far ciò noi europei saremmo ben lieti di sottoscrivere BOND (magari a tassazione preferenziale, in quanto risparmio finalizzato o di scopo) emessi da un ENTE di Sviluppo Europeo (pensiamo ad esempio alla destinazione del TFR: il lavoro finanzia il lavoro; al finanziamento delle PMI, della R&D Europea, ecc). Tale ENTE NON DEVE essere statale europeo, ma PRIVATO, come una sorta di Banca Europea per lo Sviluppo, i cui Azionisti sarebbero i cittadini europei disposti a sottoscriverne le azioni e/o i Bond). Un tale ENTE eserciterebbe una forte attrattiva verso i capitali (risparmi e non speculatori) internazionali (?sarebbe forse proibito ad un pensionato giapponese di sottoscrivere i Bond Europei al 5% in Euro piuttosto che un magro 0,1% in Yen?). Tale ENTE/Banca d’Investimenti Europea avrebbe una massa critica tale da poter intervenire (con le regole del libero mercato) per comprare (si/no) i titoli greci sotto attacco. Forse i vari Hedge Fund ci penserebbero un pò prma di sferrare attachi. Infatti le RETI di sicurezza servono come gli IDRANTI dei pompieri (basta che ci siano, nessuno li vuole usare). Ma quel che più preme sottolineare in questa sede è che l’Europa avrebbe uno strumento europeo per canalizzare il risparmio da lavoro che finanzi il lavoro. E ben venga che tali capitali vadano a finanziare progetti in Germania pittosto che in Polonia. E’ giusto che vadano a finanziare coloro che hanno buone idee di investimento, con bei soldini di ritorno (autofinanziamento e cash flow). Si innescherebbe fra gli stati e gli operatori europei una spirale virtuosa, regolata dal libero mercato, anzichè dalle burocrazie nazionali o di Bruxelles.