19
Ott
2010

Fincantieri, non si può guidare guardando solo nello specchietto retrovisore. Di F. Gastaldi

Riceviamo da Francesco Gastaldi e volentieri pubblichiamo.

L’Istituto per la Ricostruzione Industriale nacque negli anni Trenta del Novecento a seguito delle conseguenze della crisi internazionale del 1929 e si sviluppo poi successivamente nel dopoguerra, le Partecipazioni statali svolsero un ruolo rilevante nell’Italia uscita a pezzi dal secondo conflitto mondiale e presupponevano un forte ruolo dello stato nell’economia. Ancora oggi la Fincantieri è di proprietà diretta dello Stato Italiano attraverso il Ministero del Tesoro.

Negli ultimi tempi gli scenari di sviluppo della Fincantieri, la sua presenza in Liguria e nel Levante Ligure (stabilimento di Riva Trigoso) sono tornati d’attualità, a seguito delle anticipazioni, fornite da un quotidiano nazionale, circa prospettive di presunti tagli occupazionali legate alle incertezze economiche internazionali e alla carenza di commesse in determinati settori di attività. Il piano, poi smentito, prevederebbe 2.500 esuberi, la chiusura di due stabilimenti (Riva Trigoso e Castellammare di Stabia) e un’accelerazione nel graduale processo di riposizionamento del baricentro del gruppo dalla sponda tirrenica a quella adriatica (stabilimenti di Monfalcone e Marghera).

Il Secolo XIX ha dato conto delle proteste che si sono subito sviluppate, che hanno coinvolto, in modo unitario (e univoco), anche nel Tigullio, rappresentanze istituzionali, sindacali, forze politiche (di opposizione e di governo), associazione industriali e di rappresentanza di diverse categorie e perfino rappresentanti della Chiesa cattolica. Gran parte delle posizioni espresse, tendevano a difendere la situazione occupazionale esistente, la presenza dell’azienda a Riva Trigoso, chiedevano allo Stato centrale nuove commesse (o la concretizzazione di quelle già previste) per mantenere gli attuali assetti produttivi. Alcuni slogan, incolpavano l’attuale Governo e alcuni esponenti politici dello stesso, di “non aver mantenuto le promesse” e di voler affondare l’economia locale, un esponente politico di Sestri Levante ha perfino accusato la Lega Nord, di voler privilegiare, per fini elettorali, la presenza dell’azienda a Nord-Est. Non sono mancate posizioni nostalgiche e perfino “vernacolari” che rivendicavano un passato glorioso e armonico di presenza dell’industria navale del Tigullio.

Ma si può, realisticamente, solo guardare al passato? Si può solo difendere l’esistente? E’ ipotizzabile nei prossimi decenni, nel nostro territorio, una presenza dell’industria pubblica (con commesse prevalentemente pubbliche), come abbiamo conosciuto negli ultimi decenni? Credo che a questa domanda, alla luce di molti elementi, non si possa rispondere in modo positivo, le cose cambiano ed evolvono.

Pur comprendendo le ragioni di molte rappresentanze sindacali e politiche (ma stupisce l’omologazione delle posizioni fra centrodestra e centrosinistra), va anche detto che il mercato, sia civile, sia militare è in profonda crisi, molti impianti sono obsoleti e non permettono economie gestionali e il bilancio 2009 si è chiuso con un passivo di 64 milioni di Euro, e anche i primi conti economici del 2010 appaiono assai negativi, gli impianti sono sottoutilizzati.

Nel quadro nazionale di Fincantieri, lo stabilimento di Riva Trigoso, appare forse il punto più debole, un cantiere piccolo (non certo comparabile a quello di Monfalcone), fonte di molte diseconomie gestionali e organizzative e prevalentemente legato a commesse pubbliche e del settore militare. Il mutato quadro geo-politico internazionale, la riforma del servizio militare, i vincoli del bilancio che impediscono di incrementare il deficit, rendono molto improbabili ingenti commesse dello Stato italiano.

Molti linguaggi, rituali e perfino protagonisti, delle recenti manifestazioni di protesta, hanno ricalcato analoghe vicende genovesi degli anni Ottanta, ma in quegli anni il “movimento operaio” proponeva sempre alle istituzioni, scenari di sviluppo futuro e alternative credibili, che in questi casi non si sono visti. Occorre dunque chiedersi, e mi rivolgo in particolare alle forze politiche di sinistra (che spesso si dichiarano pacifiste), se non sarebbe più opportuno rinunciare al alcune (forse inutili) navi militari, per favorire lo stesso impiego di risorse pubbliche in altre spese che comunemente sono considerate più importanti, come quelle per la sanità, l’istruzione e pensioni. Mi chiedo infine, se accanto alla difesa dell’esistente, gli attori di politiche pubbliche, non dovrebbero iniziare a pre-configurare scenari e prospettive di sviluppo economico (anche di medio periodo) diverse dalla presenza di Fincantieri. Certo guardare in avanti, preconfigurare politiche e concreti scenari di sviluppo è più difficile che guardare indietro, ma le città e i territori che non sanno stare al passo con i tempi, negli attuali scenari mondiali, sono destinati al declino.

(Pubblicato su Il Secolo XIX del 19 ottobre 2010)

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