15
Mar
2010

Finanza, siamo ancora all’anno zero? di Davide Grignani

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo alla discussione da Davide Grignani

Il sistema economico e finanziario rischia oggi una seconda crisi provocata dalla nuova bolla di statalismo e “over-regulation” innescata dalla scossa dell’estate del 2007. Sinora il complesso sistema di interazioni tra regolatori e norme ha dimostrato di non tener conto né della ciclicità degli impatti da essi provocate, né delle specificità di funzionamento dell’istituzioni finanziarie, siano esse banche, assicurazioni o non-banche (società finanziarie specializzate) operanti nelle diverse realtà geografiche, macro e microeconomiche.

Dinamiche e cause della drammatica crisi che ci attanaglia da circa trenta mesi sono chiare ed indicano un fallimento sistemico e collettivo, in cui l’individuazione di un solo ed unico colpevole appare operazione demagogica e velleitaria . Rivediamole in breve:

  • responsabilità della politica: per molti anni, durante sia l’amministrazione democratica che quella repubblicana, la politica Usa ha spinto il sistema finanziario e bancario ad una espansione illimitata del credito alle famiglie, già fortemente indebitate, attraverso la finanziarizzazione del mercato immobiliare e la redistribuzione del rischio a livello mondiale via cartolarizzazioni e derivati;
  • responsabilità delle autorità monetarie: alla spinta della politica si è affiancata una fase di espansione del credito allargato, bancario e non, moltiplicatosi in termini di volume a tassi di interesse decrescenti ed un livello sempre più elevato di leva finanziaria del sistema bancario;
  • responsabilità dei controllori: i controllori hanno assecondato un’ enorme espansione del retail banking e del cosiddetto “shadow banking” (ovvero del sistema “ombra” dei mercati finanziari paralleli) sempre più basato su reti commerciali aggressive operanti sul mercato dei clienti al dettaglio, nell’assunto di poter poi “impacchettare” tale produzione e poterla trasferire su altri bilanci ed altre giurisdizioni contaminando l’intero globo di rischi impropri e derivati, totalmente illiquidi;
  • responsabilità dei professionisti cioè delle Rating Agencies, dei Revisori ed Esperti Contabili, dei Consulenti Strategici, degli Economisti, degli Equity e Credit Analysts: hanno assistito passivamente a questi fenomeni, o perché deresponsabilizzati da un sistema di incentivi che ha sempre privilegiato un orizzonte di breve periodo rispetto alla corretta gestione delle dinamiche di medio e lungo, o perché concentrati su modelli e schemi focalizzati su obiettivi non inerenti ai reali problemi di cui è stato, ed è tuttora, affetto il sistema finanziario. Pensiamo ai consulenti strategici, sponsor del modello “originate to distribute”, cui dobbiamo una buona parte del problema attuale; pensiamo agli economisti, non avezzi ai meccanismi microeconomici del reale funzionamento di una banca o di una assicurazione in presenza di fenomeni di innovazione finanziaria, tradizionalmente concentrati sul controllo dei fenomeni inflattivi e le conseguenti (spesso dannose) manovre sui tassi di interesse; oppure alle Rating Agencies e agli Auditor ,che non sono riusciti ad introdurre degli strumenti di prevenzione dei guai prodotti ovviando per tempo a difetti sistemici evidenti quali – uno per tutti – l’assenza di una classificazione universale, un “rating”, del grado di effettiva liquidità di tutti i prodotti finanziari al dettaglio o all’ingrosso, quotati su mercati centralizzati o Other-The-Counter (OTC), che “smascherasse” per tempo la deriva del sistema verso una finanziarizzazione sconsideratamente illiquida;
  • responsabilità degli azionisti: anche questa categoria ha supportato il modello di distribuzione massificata di prodotti cosidetti “tossici” ed illiquidi e l’espansione della leva finanziaria, promuovendo posizioni di vertice e remunerazioni eccessive a dirigenti che fossero in grado di garantire una massimizzazione di breve termine del ritorno sul capitale (il ROE, per molti istituti internazionali stato in anni recenti pari a più di vent’anni di crescita percentuale del PIL), prodotto grazie a “business model” troppo stressati (ricordiamoci che Lehman Brothers fallisce con un Tier 1 vicino al 12 % ma una leva finanziaria di oltre 70 volte rispetto al tradizionale livello di un massimo di 12,5 volte ex Basilea 1), a discapito del rapporto di lungo periodo con la clientela e della corretta e prudente gestione del risparmio;
  • responsabilità dei banchieri: i quali – dulcis in fundo – non sono riusciti a garantire al loro interno dei meccanismi di autoregolamentazione e selezione in grado di formare anticorpi sani e forti , capaci di far prevalere nell’industria “business model adeguati” ed una classe di dirigenti ed operatori che riuscissero a resistere a alle forze e pressioni viste nei precedenti punti, privilegiando e proteggendo relazioni corrette e leali con la clientela sia “corporate” che “retail”.

Quo Vadis ?
Il FOREX appena tenutosi a Napoli è stato un momento importante di riflessione sulle problematiche del settore finanziario. Focus particolare è stato dato al tema degli sviluppi e delle tendenze dei mercati collateralizzati, alla luce delle nuove regolamentazioni e delle nuove architetture e regolamentazioni di vigilanza in Europa. Ma altri temi trasversali e prioritari hanno impegnato, tutti gli operatori del settore :
Gli impatti delle nuove norme previste da Basilea 3 sulle banche italiane.
Ormai almeno su un punto siamo tutti d’accordo in Italia: Basilea 3 – se mantenuta come è stato comunicato dal Comitato per la Supervisione Bancaria – non farà affatto bene né alle banche, né alle imprese italiane.
Contrariamente a quanto accadeva qualche anno fa, quando nelle aule dei seminari sulla riforma di Basilea 2 si vedevano sempre le stesse facce dei pochi “addetti ai lavori” mentre degli imprenditori sottocapitalizzati – complice la fase economica espansiva – neppure l’ombra, questa volta politici, imprenditori, banchieri e regolatori italiani sono tutti d’accordo che le nuove norme penalizzino troppo le nostre banche, radicate sul territorio e sulle PMI, rispetto ai colossi anglosassoni del trading in proprio e degli investimenti a rischio. Tra i due tipi di “business model” – diametralmente diversi ed opposti – le differenze di leva finanziaria ed assorbimento di capitale dovrebbero essere macroscopiche, mentre invece alla luce della nuova normativa Goldman Sachs e Monte Paschi risulterebbero e verrebbero trattate in modo simile.
Ora tutte le banche stanno svolgendo i test previsti dal programma dei lavori del Comitato, ma già si sa che i principali istituti italiani nella migliore delle ipotesi (nella peggiore si parlerebbe di tagli di 4-5 punti percentuali su livelli medi di capitalizzazione oggi vicini al 7%) patirebbero una riduzione del Core Tier I di almeno un punto e mezzo percentuale. Un impatto negativo importante, in un mondo bancario che stenta a convincere gli azionisti, gli analisti, gli osservatori e soprattutto la clientela che ciò che residuerà al netto di tali nuove deduzioni potrà dare il comfort circa la possibilità di superare nuove crisi e remunerare adeguatamente il capitale azionario per il rischio dell’attività.
Banche ed assicurazioni italiane nel 2010
Il sistema finanziario italiano ha retto bene al primo tsunami del 2007-2008 grazie alla sua natura essenzialmente finanziaria: “tanquam non esset” abbiamo potuto ripetere con orgoglio per alcuni mesi, forti di un modello bancario che aveva espresso la sua capacità produttiva su aggressive reti di vendita di prodotti per la gestione del risparmio al dettaglio, senza essere impattato dalla crisi dei subprime, delle cartolarizzazioni e dei prodotti derivati esportati dagli USA in Europa, poi finiti copiosamente nei portafogli dei gestori inglesi, tedeschi, belgi ed olandesi.
Il panico è stato però tale da “tetanizzare” anche il sistema reale: gli ordini sono crollati, l’export pure e da finanziaria la crisi è divenuta realissima. Ed ecco il secondo tsunami, questa volta sospinto da cause reali che determinano, da una parte, la crescita rapida ed impetuosa delle sofferenze, dei pagamente rateali insoluti, dei sinistri assicurativi e delle frodi, dall’altra, l’accresciuta difficoltà delle famiglie a mantenere il risparmio, gli investimenti, ed il consumo di un tempo.
Soffrono ora di più le banche e le assicurazioni italiane: soffrono per la struttura ed i problemi reali, legali e fiscali del paese a cui non possono ovviare da sole; soffrono per la prociclicità perniciosa delle norme che aggravano il funzionamento del loro motore già sotto stress; soffrono anche per fattori molto tecnici come essere giunte a questo appuntamento con un livello di strumenti ibridi di capitale sacrificato rispetto ai concorrenti europei. Se la dinamica in atto proseguirà il suo corso, è assai probabile che le banche e le assicurazioni italiane debbano ricorrere a capitali freschi, chiamate a cui – ad oggi – non è certo chiaro se e come potranno rispondere gli attuali azionisti. Se si esclude per un momento l’eventualità degli”aiuti di stato”, non sono da escludersi alleanze ed accordi per necessità, prima a livello nazionale tra banche minori, e poi a livello transnazionale: AXA, BNPP, Calyon, Deutsche Bank, Allianz , Barclays, Santander, Groupama ed altri grandi gruppi finanziari hanno buone ragioni per mantenere un livello d’attenzione alta sull’Italia.
Cosa accadrà nei prossimi anni e cosa occorre fare subito perché il sistema riparta e trovi un suo nuovo sentiero di crescita stabile.
Analizzare questo punto fondamentale in una prospettiva solo italiana è scorretto: la globalizzazione dell’economia e l’interconnessione degli intermediari finanziari bancari e parabancari sono tali da richiedere necessariamente un coordinamento internazionale su vasta scala. In tal senso il Financial Stability Board presieduto dal Governatore Draghi rappresenta senz’altro una chance sistemica importante.
Purtroppo ad oggi non appaiono soddisfatte tre condizioni necessarie per la soluzione della crisi finanziaria in Europa: 1. un sistema politico forte e trasparente per la gestione della crisi; 2. una chiara politica economica europea per la riduzione degli squilibri interni dei vari paesi coordinata dall’Eurogruppo; 3. una supervisione unitaria della regolamentazione del sistema finanziario di Eurolandia.
Quid faciam?
In attesa che ciò si realizzi al più presto, un numero molto limitato di nuove regole semplici e globali potrebbe avere un impatto positivo sul sistema finanziario globale in tempi rapidi:

  • l’adozione di una “Stiglitz Rule”, che, senza rigettare il modello europeo di banca universale, non combatte le dimensioni, ma distingue le funzioni del trading in conto proprio, degli investimenti nel settore degli hedge e del private equity dall’attività di banca commerciale e di deposito e di conseguenza discrimini le forme di passivo in termini di finanziabilità delle diverse attività con capitale di rischio o di debito;
  • una “Liquidity Rule” che attribuisca a tutti gli strumenti finanziari, prescindere dal fatto che essi siano trattati sui listini o OTC, un rating di liquidità da affiancarsi obbligatoriamente ai sistemi classici di rating attualmente in essere;
  • una “Leverage Rule”, che ponga limiti assoluti e relativi al massimo livello di leva finanziaria a cui ogni tipo di istituzione finanziaria può sottoporre il proprio bilancio in funzione dei modelli di business e dei contesti nazionali specifici delle diverse istituzioni;
  • una “Liquidity-Based Value Rule” che imponga l’obbligatorietà dell’applicazione contabile e fiscale del principio del “mark-to-market” solo alle attività finanziarie che hanno caratteristiche di liquidità e volatilità tali da permetterne la pronta ed effettiva disponibilità in ogni momento del loro possesso;
  • una “Enforcement Control Rule” che imponga anche alla classe politica ed ai regolatori di rispondere di fronte ai cittadini (e non solo in occasione delle kermesse elettorali) dell’effettiva attività svolta dai regolatori per evitare il ripetersi di crisi e fallimenti finanziari

Ciò che invece non va fatto:

  • lasciare il sistema finanziario in un lungo periodo (e per “lungo” si intende qualche mese nella situazione attuale ) di assenza di chiarezza normativa e regolamentare sul finanziamento del sistema bancario ed assicurativo: ciò implica un immediato “grandfathering” degli strumenti utilizzati in passato per il finanziamento dei passivi con strumenti ibridi (cosiddetti “innovativi e non-innovativi”) per garantire la continuità di accesso delle banche e delle assicurazioni agli investitori istituzionali del reddito fisso: il solo mercato del capitale azionario non può e non deve sopportare da solo questo compito e questa funzione per l’intero sistema economico e finanziario;
  • forzare il sistema all’adozione di nuovi principi contabili e fiscali tali da provocare da una parte una brusca perdita di liquidità e valore di parti rilevanti di attivi finanziati da depositanti ed investitori istituzionali, dall’altra l’impossibilità di competere e gestire correttamente le forme di approvvigionamento dei capitali necessari per garantire il funzionamento stabile e continuo del sistema di trasferimento e intermediazione del risparmio nel credito bancario;
  • introdurre ora, post-facto, ulteriori regolamentazioni e controlli che impattino decisioni e comportamenti microeconomici relativi alla gestione dell’impresa bancaria o assicurativa alterandone il naturale funzionamento aziendale a danno della concorrenza e della selezione meritocratica dei migliori operatori: a causa dei tempi della politica e dei processi regolativi complessi a livello nazionale, europeo ed intercontinentale, questi provvedimenti sono sempre stati non solo tardivi ma anche pro-ciclici e distorsivi dei principi di equità e trasparenza.

La gestione dinamica della crisi è senz’altro possibile (ed alcuni governi hanno dimostrato sicuramente di avere il senso e la capacità degli interventi di urgenza) ma richiede, da una parte, molto più tempo e determinazione da parte di tutti gli attori coinvolti, dall’altra grande attenzione a mantenere un po’ di pressione ed abbrivio nelle vele del sistema, che si trova ora in una zona di pesante bonaccia, evitando con cura di dare continui colpi di barra al timone, tanto illusori quanto inutili per riprendere una buona navigazione.

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