Fight Club: Perché trasporti collettivi più efficienti non posso garantire la sicurezza stradale
Diamo il via oggi a una nuova rubrica di “Leoni Blog”, intitolata “Fight Club”: non sarà un appuntamento periodico, ma è un modo per dare modo alle persone che collaborano con l’Istituto di discutere tra di loro, facendo emergere – oltre a quello che ci unisce – anche quello che ci divide: quella varietà di idee e approcci che è il sale della libertà.
Nell’editoriale IBL dello scorso 30 dicembre si scrive che l’inasprimento delle sanzioni per eccesso di velocità, guida al cellulare e consumo di droghe previsto dal nuovo Codice della strada sarebbe un “fare le cose meno che a metà” e che, se il vero obiettivo fosse stato la sicurezza della circolazione dei veicoli, il governo avrebbe dovuto guardare in tutt’altra direzione ossia quella di rendere disponibili trasporti pubblici – di linea e non – convenienti, frequenti, affidabili, sicuri e continui.
In realtà, le due linee di azione non possono essere considerate come alternative e quella del miglioramento dei trasporti collettivi può svolgere solo una funzione complementare. Metro, tram, bus, taxi e NCC possono costituire una realistica alternativa all’uso dell’auto privata solo nelle aree centrali delle città di medie e grandi dimensioni e per altre specifiche nicchie di traffico. In tutte le altre zone la domanda è troppo dispersa perché possano essere forniti se non a costi esorbitanti. Come attesta l’ultimo Rapporto sulla mobilità degli italiani a cura di ISFORT, all’infuori dei comuni con più di 250.000 abitanti i mezzi pubblici sodisfano pochi punti percentuali della domanda di mobilità.
E il quadro della mobilità a livello nazionale è pressoché identico in tutti i Paesi europei: ovunque l’auto detiene una quota delle percorrenze superiore all’80%.
Il confronto con gli altri Paesi europei fa invece emergere come la situazione della sicurezza stradale in Italia, pur radicalmente migliorata negli ultimi decenni – l’anno peggiore per numero di vittime fu il 1972 quando si registrarono 11.078 decessi in incidenti stradali a fronte dei 3.029 nel 2023 – presenti margini di miglioramento ancora significativi. Se avessimo lo stesso livello di rischio di Svezia, Irlanda o Regno Unito, il numero di morti sulle nostre strade, a parità di traffico, sarebbe ulteriormente dimezzato.
Da cosa dipende questo divario? Sono tre i principali fattori che influenzano l’incidentalità stradale. I veicoli, le infrastrutture e i comportamenti delle persone. Il parco circolante in Italia è un po’ più vecchio e le infrastrutture probabilmente di standard inferiore rispetto a quelli dei Paesi che primeggiano nelle classifiche della sicurezza ma il fattore più rilevante nello spiegare la distanza che ci separa dai migliori è rappresentato da un minor rispetto delle regole di circolazione. Ciò risulta evidente anche dal confronto tra maschi e femmine in Italia, ossia a parità delle altre condizioni rilevanti. La statistica ISTAT relativa ai conducenti di autovetture ai quali è stata imputata la colpevolezza di un sinistro mortale indica che su un totale di 801 casi individuati ben 680 sono attribuibili agli uomini e 121 a donne con un rapporto di quasi 6 a 1 che solo in parte è spiegabile con le diverse percorrenze dei due gruppi. Al contrario di quanto dice il proverbio, le donne al volante sono in media molto più prudenti.
Numerose esperienze passate mostrano come i provvedimenti volti a controllare e sanzionare comportamenti rischiosi dei conducenti abbiano effetti rilevanti sulla riduzione della incidentalità. Vale per i limiti di velocità così come per la guida in stato di alterazione psicofisica. Tra i casi più eclatanti si può citare quello dello Stato del Nuovo Galles del Sud (Australia) dove una forte intensificazione del numero di controlli del tasso di alcolemia portò pressoché immediatamente a una riduzione del 20% degli incidenti mortali.
Come già accaduto negli ultimi decenni, anche in futuro i due fattori più rilevanti per contenere il fenomeno della incidentalità stradale saranno l’evoluzione tecnologica dei veicoli e le politiche di controllo e sanzionamento dei comportamenti di guida rischiosi (ovviamente non di chi non è in condizione di alterazione delle condizioni psico-fisiche). Nel lungo termine è verosimile che il primo fattore abbia il sopravvento in particolare nel caso in cui vi fosse una diffusione su larga scala della guida autonoma.
Liberalizzare i servizi di trasporto collettivo è una politica desiderabile per sé stessa ma le ricadute sulla sicurezza sono un fattore di secondo ordine.