18
Mar
2010

Fiat, un libro serio su Marchionne come Mr Inps

Siamo oltre i mille post sul nostro blog in 10 mesi, e la cosa personalmente mi riempie di soddisfazione. Riprendo a scrivere dopo che ancora lunedì i medici mi hanno dovuto rimettere le mani addosso. Presento oggi a Milano e dedico domani la “Versione di Oscar” su radio24 a un libro notevole, che vi consiglio di legere se volete farvi un’idea “fuori dal coro” sull’operazione Fiat-Chrysler. Si intitola “Parola di Marchionne” (editore Brioschi), l’ha scritto Riccardo Ruggeri, una strepitosa figura umana, figlio e nipote d’operai e operaio Fiat anch’egli, prima di ascendere gradino dopo gradino nel gruppo torinese fino a guidare la New Holland facendone faville e premessa per la fusione con Coase nel terzo gruppo macchine agricole e movimento terra del mondo, membro per anni del comitato direttivo Fiat e dunque “addentro” alle segrete cose. La tesi in pillole? Il mercato dell’auto è stato oggetto nel 2009 della grande crisi in Usa ed Europa di un maxitakeover a spese del contribuente da parte della politica, con Obama in prima fila. E poiché alla politica premono i 12 milioni di occupati-auto negli Usa e i quasi 12 in Europa più che aziende e prodotti, Marchionne con l’operazione Fiat-Chrysler (a cui doveva aggiungersi Gm-Ue cioè Opel) si è candidato al ruolo di un maxi Mr Inps più che a un vero e proprio progetto industriale. Ma Ruggeri è uno serio, il libro non è affatto un pamphlet polemico.

Al contrario, è un’analisi di business serissima, condotta dal punto di vista di chi non ha avuto esitazioni, di fronte alla scelta di Obama di affidare la Chrysler di fatto fallita a Marchionne fresco fresco di downgrading del titolo Fiat a junk, a comprare immediatamente azioni Fiat ed Exor. Tutti i diversi capitoli esamimano gli aspetti industriali, propulsivi, gestionali, commerciali e di mmarketing di una sfida che, da quanto sinora sappiamo, non dovrebbe in alcun modo stare in piedi.  Chrysler è scesa al 5,5% del mercato USA e ci si spinge a proporre che raddoppi la quota entro il 2014, passando da 1,3 a 2,8 milioni di venduto, con margini che passano da -6% a +7,5% come quelli di BMW negli anni precrisi. Ma, al momento, senza che né Chrysler né Fiat abbiano in serbo modelli nei segmenti premium C,D ed E, quelli che costano di più ma su cui si guadagna di più, visto che su una 500 si guadagnano 800 euro mentre su una Audi4, che costa 40mila euro in più, Volkswagen ne guadagna circa 14mila. In più, allo stato attuale sui propulsori da green economy Fiat è indietrissimo sul full ibrid, la separazione da GM l’ha molto danneggiata sui propulsori a miglior rendimento benzina e diesel di medio-alta cilindrata, oltre ad aver puntato da sola al mondo sul metano che con certezza non sarà la via mondiale a meno CO2. 

Sì, ci sarà presto lo spin off di Fiat Auto dal gruppo Fiat e il conferimento in Chrysler. E sarà un bene , il compimento dell’obiettivo di Umberto Agnelli rispetto agli errori del troppo venerato Gianni. Del resto, il gruppo Fiat tra 2007 e 2009 ha continuato a distribuire a Exor e soci 1,7 miliardi in dividendi e buyback, ma ha bruciato 2,2 miliardi di liquidità, e tra il 1983 e il 2008 ha bruciato ben 66 miliardi di uro di valore (conti fatti da Massimo Mucchetti su Corriere Economia del 7 maggio 2009). L’auto è un business ipermaturo, in cui solo pochissimi gruppi mondiali perdono un botto quando va male ma guadagnano bene quando va bene per ripagare gli enormi investimenti necessari, e se questo era vero nel precrisi sarà a maggior ragione vero nel dopo crisi. Fiat conferirà la propria divisione Auto, ma di risorse liquide da investire pari all’intensità di BMW e peggio che mai Volkswagen non ne avrà. Per questo l’analisi di Ruggeri si chiude con un grande pounto interrogativo, al netto del fatto che per l’Italia sarà comunque bene sciogliere l’equivoco plurisecolare del peso improprio che il sostegno a Fiat ha esercitato sulla politica economica nazionale.

  Condivido integralmente analisi e conclusioni di Ruggeri. Marchionne è balzato in groppa all’unica chanche che aveva, salire sul toro della politica atterrita. ma che industrialmente riesca, è altro paio di maniche. Il mercato resterà mutato a fondo, dalla grande crisi.  Ora che i saloni di Detroit e Ginevra sono alle spalle, dopo la tempesta perfetta del 2009 per il mercato mondiale dell’auto è tempo di capire come sarà la ripresa del 2010. Si tratta di un esercizio da distinguere in almeno tre capitoli. Il primo è il più complesso, riguarda i volumi complessivi, distinti per diverse macroaree geografiche. E va oltretutto assunto con uno o due scenari di scorta, alla luce di quanto avvenuto nei primi due mesi dell’anno. Il secondo riguarda il posizionamento delle maggiori case produttrici, la loro forza sui diversi mercati e attuale offerta di prodotti, e di conseguenza la stima di come si posizioneranno nella grande arena mondiale. Il terzo riguarda le tendenze tecnologiche e finanziarie, il mix di vantaggi e svantaggi comparati che ridefinirà per ciascuna di esse le graduatorie di qui a fine 2010, in coerenza alla diversa capacità di rispondere in tempi più rapidi alla mutata domanda.

Se diamo un’occhiata ai volumi mondiali dell’auto, non c’è attualmente nessuno tra i più autorevoli osservatori specializzati che preveda il superamento della quota di picco del 2007 – 67,9 milioni di unità vendute – prima, se va bene, del 2012. Ai 63,9 milioni del 2008 e ai 60,3 milioni del 2009 si prevede a seguire un 2010 attestato intorno ai 62 milioni, e un 2011 che se va bene supera i 66. Si tratta però di una ripresa fortemente differenziata. Nessuno può oggi prevedere quando e se il Nordamerica tornerà ai 18,9 milioni venduti nel 2007 di cui oltre 16 negli USA, ridottisi a 10,4 nel 2009. Per il 2010 si prevedono 12 milioni e 13,5 nel 2011. L’Asia passa da meno di un terzo del mercato mondiale – 22 mio su 68 nel 2007 – a circa il 45% – 25,5 su 61 nel 2010. Gli 8,5 milioni venduti in Cina nel 2008 sono diventati 13 nel 2009 – primo mercato mondiale – e crescono verso i 15 nell’anno in corso, oltre i 16 nel 2011 e via così fino ai 18,3 nel 2013.

L’Europa è passata dai 22,3 milioni del 2007 ai 19,3 nel 2009, e minaccia di scendere a 17,7 nell’anno in corso. Concorrono tre fattori diversi. L’Europa dell’Est continua a veder “tirare” solo la Polonia, mentre in Russia quest’anno si prevede un venduto di poco superiore alla metà dei 3,1 milioni del 2008: a Varsavia l’economia è solida, dovunque altro a Est la crisi ha colpito duro per l’instabilità finanziaria che costringe i Paesi a deflazionare per esportare, con molti disoccupati e più bassi salari. Nell’Europa occidentale, si somma il venir meno dei maxi incentivi pubblici all’acquisto praticati nel 2009, a cominciare dalla Germania che potrebbe passare dai 4 mio del 2009 ai 3 scarsi quest’anno, idem dicasi per l’Italia sotto i 2 milioni e per anni ancora lontana senza incentivi dai 2,7 milioni del 2007. In più, c’è la crisi greco-iberica dei debiti pubblici verificatasi da metà gennaio, che spinge i governi a maxi tagli dei deficit pubblici e dei consumi. Col risultato che la Spagna stenterà a stare sopra il milione rispetto a 1,9 del 2007, e il Regno Uniti starà per anni su 2,2 o 2,3 milioni rispetto ai 2,8 del 2007.

Questi numeri che cosa potrebbero significare per le case produttrici? La Cina cresce nel 2010 del 15% sull’anno precedente che ha segnato un pazzesco più 52%, gli USA del 15% dopo il meno 21 e il meno 15 del biennio precedente, il Brasile continuerà su un più 10% annuo. E’ l’Europa occidentale che rischia grosso nel 2010, con un meno 8% che si somma al meno 9 del 2008 e al meno uno del 2009, contenuto grazie agli incentivi. Dopo le strette greche e iberiche, sommando la ripresa dei tassi da parte Bce entro fine anno, le conseguenze del no tedesco ad aiuti a chi è più esposto e le tasse sull’auto che di conseguenza saliranno in molti Paesi, c’è chi si è spinto a immaginare un 2010 per l’Europa occidentale dell’auto sino a un meno 12%, se non peggio. Si sono viste negli ultimi due mesi le conseguenze sui titoli quotati del settore, divisi in tre categorie. Le case meno esposte al calo fino al 20% di volumi nel mass market in Spagna Portogallo e Grecia, come BMW e Daimler che stanno soprattutto nel segmento premiére, con perdite contenutissime e quasi nessun effetto di consunzione di cassa. Quelle più esposte tra tutte, come PSA e Renault che potrebbero rischiare fino a 2 miliardi di euro di cassa a testa con effetti tra il 20 e il 30% in meno sul titolo in Borsa. E chi sta invece in posizione intermedia, come Fiat che rischia un 10% della sua quotazione, e Volkswagen non più del 5%. La crisi perdurante in Europa può voler dire fino a 100mila unità in meno a trimestre per VW rispetto a 1,6 milioni di fine 2009. Ma colpi molto più seri per PSA che passerebbe da 834mila a 710mila, e per Renault da 652 mila a 515, mentre Fiat può contenere il danno da 580mila a 500mila. Ma visto che marchionne ha promesso di arrivare a 6 milioni di venduto annuo solo per somma con Chysler, non proprio un buon inizio.

In tale quadro mondiale molto mutato, i produttori con le migliori carte sono quelli più bilanciati sui mercati in crescita come la Cina, più integrati su minor numero di piattaforme, e nei segmenti a maggior valore aggiunto per unità premiere. Si spiegano così le vendite da record tedesche sul mercato cinese, dove Audi è alla tumultosa rincorsa di BMW, che in un biennio è arrivata a piazzare il 6% del totale del suo venduto mondiale, più di un quarto di quanto vende tra Usa e Messico. La più bilanciata tra tutti i mercati, e più sinergica tra marchi diversi su tutti i segmenti e su minor numero di piattaforme integrate, è sicuramente VW, che dipende per solo poco più di un terzo del venduto dal mercato europeo – la Fiat al 58%, per fare un paragone – piazza il 6% negli Usa, addirittura il 16% dei suoi prodotti in Cina – quota maggiore tra tutte le case occidentali – il 9% in Brasile, e più del 30% nel resto del mondo. Se lo si somma alla botta tremenda subita da Toyota sul mercato americano per via della polemica sull’impianto frenante, decisivo per l’attivazione e la resa della motorizzazione di punta, quella ibrida, si comprende che Volkswagen sia considerata candidata a diventare la numero uno nel mercato mondiale.

Un capitolo a parte, per concludere, merita appunto Fiat. A fine aprile conosceremo il dettaglio del piano industriale di integrazione tra casa torinese e Chrysler. Si gioca tutto sul mercato americano. Dove Ford intanto fa buoni profitti perché dei tre giganti americani aveva risanato prima della crisi, ma anche General Motors ha ingranato la quarta nel venduto e utili operativi. Chrysler a febbraio ha segnato un modesto ma pieno di speranza ritorno al segno più, ma è scontato che abbia meno modelli performanti dopo gli anni di stasi precedenti agli italiani. In questo 2010 Marchionne deve concentrarsi nello sforzo erculeo di efficientare produzione e piattaforme integrate, per una crescita decisa su modelli a bassa emissione a partire da fine 2011. Mostrando all’amministrazione Usa che in cambio dei dollari dei contribuenti, a un anno dall’assunzione della sfida, la Fiat capitalizza in proprio Chrysler: di qui l’ipotesi dello spin off dell’auto dal gruppo torinese e del conferimento nel gruppo americano. A Fiat-Chrysler entro metà del decennio servono abbondantemente più di 6 milioni di unità vendute, rispetto ai 5 scarsi da cui nella migliore delle ipotesi – contraddetta da queste proiezioni dei mercati – si partiva nell’ottimistica somma. La Cina resta il buco da coprire, mentre è per ostacolarla in Europa per Gm ha deciso di investire quasi 3 miliardi nella Opel, dopo aver cambiato idea rispetto alla cessione.

Certo, per il terzo anno consecutivo Fiat è la casa mondiale con le più basse emissioni di CO2 sulla media del venduto, solo 127 g/km rispetto ai 130 di Toyota, 137 di Renault, 140 di Ford, 150 di Vw, 160 di Audi e 176 di Mercedes. Ma ora avete capito perché a Ginevra è stato tutto un fiorire di nuove motorizzazioni ibride, dalla Audi alla nuova Touareg: non servono in Cina, ma in America ed Europa dove i mercati stanno messi ancora male, e dove la gara è a chi ha più denaro da investire in prodotti che siano insieme di alto segmento, migliori prestazioni ma minor consumo. Gara tosterrima, per la Fiat-Chrysler di Marchionne. Sempre che, apunto, non sia solo un grande progetto alla Mr Inps dell’auto.

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5 Responses

  1. Beppe

    Un solo dubbio, lasciando per un momento perdere le ibride.
    Il successo nel segmento première richiede un brand credibile nel segmento, un design appetibile, il know-how sul veicolo e quello sul motore, che non credo sia molto diverso da quello necessario per i segmenti più piccoli.
    Finora la situazione mi pare potesse essere schematizzata così:
    Brand, Fiat no, Chrysler sì.
    Design, Fiat in parte, Chrysler in parte.
    Know-how veicolo, Fiat ni, Chrysler sì.
    Know-how motori, Fiat sì, Chrysler no.
    Con la fusione mi pare che i sì vengano prevalgano in tutte le caselle.
    A questo punto potrebbe bastare il tempo necessario a progettare e realizzare un motore grosso basato sul know-how che permette a Fiat di primeggiare nei motori piccoli e far lavorare bene designer e progettisti del veicolo, nonché rivitalizzare i marchi Chrysler.
    Io una chance gliela darei.

  2. gobettiano

    Interessante articolo dal quale prendo volentieri il suggerimento di leggere il volume di Ruggeri.
    Mi permetto dissentire per quanto riguarda le sue osservazioni sui motori. Lo scambio con GM offrì gli ottimi diesel FIAT e prese ferrovcecchio da GM mentre i centri ricerche FIAT lavoravano ai motori di recente presentati. Che pongono FIAT all’avanguardia nei motori tradizionali.

  3. Pier

    Giannino,
    la prima parte dell’analisi esposta è simile a quella che indusse la GM a lasciar cadere nel 2005 l’acquisto di Fiat, cioè i dati completamente separati dalla realtà industriale valida ed importante.

    Contrariamente a quanto afferma Marco penso che Marchionne invece abbia già dimostrato una grande lucidità e capacità nel fare, nel motivare e nel “decidere presto e bene” , piccole parole , molto importanti e quasi sconosciute nel nostro bel paese.
    Con Chrysler può riuscire a sottrarre Fiat all’abbraccio mortale “politca più sindacati italiani ” .

    Circa i motori concordo con Gobettiano, con il quale siamo sempre in disaccordo sulla politica, nel settore noi Italiani siamo maestri, o , per non voler essere presuntuosi certamente non secondi a nessuno, vedi Ferrari , Ducati e tutta la storia motoristica che esse rappresentabno

    Potremmo esserlo molto di più con investimenti adeguati che mi auguro non vengano tagliati ai Centri Fiat.

    Diverso è il discorso per berline e motori di classe alta e medio alta,
    Lancia e Alfa Romeo ma anche Maserati.
    Lasciate vivacchiare, non per colpa di Marchionne che non c’era, ma senza idee precise , chiuse le fabbriche e separati dalle maestranze che le aveva fatte grandi, questi marchi sono ormai solo nomi , senza “l’anima” , ma questo è un discorso diverso…
    Certamente neppure Marchionne potrà rendergli ” l’anima perduta ”

    Pier

  4. stefano

    Anch’io credo che Marchionne sia in gamba, e non darei per spacciata la FIAT. L’importante, ma è un’opinione personalissima, è che Marchionne si liberi di gente tipo Montezemolo. E in Fiat ce n’è tanta.

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