27
Lug
2010

Fiat: mondo nuovo, contratto nuovo, rischi vecchi

Quando nei mesi scorsi abbiamo scritto che il caso di Pomigliano non riguardava solo gli specifici problemi che si sono addensati nello stabilimento Fiat intitolato a Giambattista Vico, in molti hanno replicato che non era così, e che la nuova Fiat di John Elkann e Sergio Marchionne si limitava a porre un problema specifico per i 18 turni nel solo impianto in cui si concentravano ormai troppi ostacoli, perché si potesse realizzare la necessaria produttività senza esplicite deroghe. Oggi sappiamo che a sbagliare non era chi fin dall’inizio ha spiegato che il referendum a Pomigliano era solo un primo passo di un nuovo cammino. Certo, il primo passo calca un solo scalino. Ma poi, inevitabilmente, altri ne sarebbero seguiti. Domani e dopodomani saranno giorni decisivi. La Fiat spiegherà ai sindacati e a tutte le imprese italiane, alla politica e al Paese quali siano le intenzioni che ha maturato. Se c’è un rischio palpabile, e che bisogna augurarsi venga scongiurato attraverso l’esercizio di un grande senso di responsabilità, è che gli interlocutori politici e sindacali continuino a non capire. Come hanno sino alla fine sottovalutato la volontà della nuova Fiat di vincere a Pomigliano con il consenso della maggioranza dei lavoratori la sfida dei 18 turni e dello straordinario aggiuntivo contro il quale non sono ammessi scioperi, della lotta all’assenteismo e ai finti malati. Il rischio oggi è che non prendano sul serio la volontà della Fiat di dare alle nuove regole confermate dal voto la piena dignità di un vero e proprio nuovo contratto di lavoro, che impegni l’azienda da una parte, e tutti i lavoratori esplicitamente consenzienti dall’altra.

Si oppongono a questa impostazione una serie di obiezioni di ordine diverso. Alcune ostative per principio. Altre, comunque per sostanza. Altre ancora, infine, su alcuni rilevanti questioni formali che inevitabilmente vengono toccate dalla novità, nel delicato terreno delle relazioni industriali. Cerchiamo di capire e distinguere, distinguendo il grano dal loglio. Poiché è una scelta che potrebbe avere un’importanza storica non solo nella storia plurisecolare dell’azienda leader nella manifattura italiana, ma nell’intero rapporto tra aziende e lavoratori nel nostro Paese, finalmente con l’occhio fisso al mondo che cambia invece che solo attento a preservare forme e riti di un passato che non regge più all’impatto dei mercati internazionali.

C’è chi è stato contrario ai 18 turni di Pomigliano e respinge la libera decisione della Fiat di destinare agli stabilimenti in Serbia la produzione di alcuni modelli precedentemente allocati a Mirafiori, solo perché respinge la logica della globalizzazione. Non è solo la Fiom, a pensarla così. Anche il vescovo di Nola, monsignor Beniamino Di Palma, ieri ha dichiarato che non è eticamente giusto spostare le produzioni laddove si guadagna di più, perché il diritto al lavoro viene prima del diritto a realizzare l’utile. Si tratta di opinioni verso le quali è inutile riservare scomuniche: ci sono eccome, all’interno della società italiana. Rispecchiano la lunga illusione di un Paese che ha creduto di poter vivere con la porta chiusa a ciò che avviene nel mondo. Propongono un’idea della competizione internazionale limitata alla lotta vincente del capitale ai danni dei lavoratori che guadagnano meno, dimenticando che la storia del mondo va avanti da sempre con Paesi avanzati che restano leader perché sono titolari di migliori tecnologie, capitali, innovazione e modelli gestionali. E che perciò hanno bisogno anche delle produzioni laddove i mercati emergenti propongono salari più bassi , richiedendo prodotti che saliranno di valore man mano che migliorerà il benessere dei lavoratori. Esattamente com’è avvenuto all’Italia del dopoguerra, la Cina di allora. Queste opposizioni ideologiche ci sono e sono pervicaci, ma la grande novità è che sono ormai minoritarie: a Pomigliano come nel resto del Paese.

C’è poi chi si oppone all’idea avanzata dalla Fiat – una newco che riassuma stipulando un nuovo contratto – perché difende a ogni costo l’intoccabilità del contratto nazionale dei metalmeccanici. E’ da sempre in Italia il contratto sul quale si misura l’atmosfera politico-sociale delle relazioni industriali. Per questo in altre categorie, dai chimici ai tessili agli alimentaristi, da anni e anni i contratti consentono assai più flessibilità, nell’interesse di imprese e lavoratori insieme, mentre quello dei meccanici resta più rigido. E’ ovvio che a difendere l’intoccabilità dei contratti nazioali siano i mandarini delle gerarchie centralizzate che li contrattano, in sede sindacale e – più in piccolo – anche confindustrrale. Ma il paradosso è che a difendere a spada tratta l’intoccabilità del contratto e la sua inderogabilità azienda per azienda con veri e propri contratti alternativi sia proprio la Fiom, che in occasione degli ultimi due rinnovi non ha apposto la propria firma, sotto il contratto che oggi invoca come un’insuperabile linea Maginot.

C’è poi, infine, chi comprende e condivide la sfida in cui la nuova Fiat si è lanciata, di giocare un ruolo di prima fila nel consolidamento mondiale dell’auto, senza più accontentarsi del mercato domestico ed europeo. E’ un campo che comprende grandi sindacati come Cisl e Uil, pezzi di politica di entrambi gli schieramenti, e sicuramente Confindustria a cominciare dal suo vertice, che non a caso due mesi fa ha scelto John Elkann come vicepresidente e instaurato un rapporto diretto con Marchionne, sugli sviluppi aziendali come sui problemi del Paese. Da queste file, si chiede alla Fiat di valutare insieme con attenzione i passi da compiere. Per entrare con più forza tutti insieme nel futuro obbligato di una nuova competitività, occorre che la newco e il nuovo contratto non lascino spiragli agli oppositori ideologici che, c’è da scommetterlo, sono pronti ad impugnare a raffica nuovi accordi davanti alla magistratura del lavoro. E non solo del lavoro.

La possibilità di realizzare un nuovo contratto di produttività per Fabbrica Italia, il nuovo progetto Fiat, c’è e non postula affatto né l’uscita da Confindustria, né violazioni al diritto del lavoro che alimentino un contenzioso che sarebbe assolutamente devastante per tutti, a cominciare dall’effetto che avrebbe sugli investimenti esteri in Italia che bisogna incoraggiare e rafforzare. Ma la stessa Fiat in Italia, non solo a Pomigliano, diventerebbe a quel punto una presenza tutta da rivedere. In queste ore decisive il vertice Fiat e di Confindustria da una parte, dei sindacati e della politica dall’altra, hanno dunque il compito di far funzionare la testa, più della lingua.

Non nascondiamocelo. Inizia il cammino per un obiettivo che in Italia non era mai stato a portata di mano. Quello della libertà, per le imprese e i loro dipendenti, di poter scegliere tra un contratto nazionale al quale fare riferimento, o un contratto aziendale integralmente sostitutivo. Altrettanto garante dei diritti dei lavoratori, ma diversamente aperto alle esigenze di ogni azienda, dei suoi prodotti, dei suoi mercati. Relazioni industriali da XXI secolo, finalmente. Che postulano una testa diversa da parte di tutti, aziende, sindacati e politica. Ma per raggiungere quell’obiettivo, oggi è essenziale evitare errori che potrebbero essere rovinosi.

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5 Responses

  1. MAURO BAMBAGIONI

    Viviamo in un mondo in cui la velocità sta aumentando. Velocità nelle scelte; velocità nei mercati; velocità nell’obsolescenza delle idee e del business. Se manteniamo una struttura di regole e controlli (o contratti) troppo rigida siamo destinati a morire in breve tempo. Che vantaggio c’è nell’avere un contratto a tempo indeterminato se poi l’azienda con cui lo hai chiude?
    Certo questa velocità tende ad azzerare le “rendite di posizione” (leggi in questo caso: comode poltrone da sindacalista) di chi si è costruito una “solida posizione” nel sistema; ma per mantenere questi privilegi non si può togliere lavoro, opportunità e quello che la costituzione statuinitense definisce il diritto alla ricerca della felicità, a tanta gente.
    Certo non si può pretendere di calpestare diritti fondamentali dell’uomo e del lavoratore con l’alibi della competizione.
    La sfida di oggi è: trovare un equilibrio efficiente tra velocità e regole.
    Non credo che riusciremo a trovare la quadra se affrontiamo il problema (sia nel mondo del lavoro che nel campo della politica) con un atteggiamento da “tifosi” che sostengono questa o quell’idea “a prescindere” (salvo poi chiedere la testa dell’allenatore!).
    Dovremo, specie noi Italiani, abituarci in fretta all’idea che si vince o si perde, si vive o si muore tutti insieme.

  2. Roberto Bera

    Fiom: Sembra che fa FIOM sia l’unica a difendere i diritti dei lavoratori. Invece non è così.
    Nel 2005 lavoravo per una grande multinazionale dell’ITC che decise di metterci in mobilità. Il rappresentante sindacale FIOM 1) ci sgridò per non essere tesserati. 2) Ci propose di fare sciopero: visto che in un momento simile era difficile far firmare ai manager i contratti con in clienti, insomma non c’era molto da fare, lo sciopero era un favore alla multinazionale.
    Fu coinvolto anche un sindacalista FIM che 1) prima vediamo che si può fare e se vi va e volete, tesseratevi 2) si mise a scartabellare vizii di forma, inadempienze aziendali e quant’altro: 2 persone non furono licenziate, altre (come il sottoscritto) uscirono a testa “un po’ più” alta.
    Ma questo fatto personale, in area torinese, l’ho sentito altre volte con poche varianti per situazioni simili

  3. stefano tagliavini

    Strano paese l’Italia. A leggere certi interventi pare che PCI abbia governato l’economia degli ultimi quarant’anni. Abbiamo tenuto la porta chiusa della globalizzazione? Penso di si se faccio mente locale alla mancata cessione dell’Alfa Romeo alla Forde a quello che abbiamo guadagnato cedendola alla Fiat. Se penso al fatto che i nostri migliori cervelli non riescono a trovare un lavoro nel nostro paese, se un governo non riesce a fare una politica fiscale che sia in grado di trovare le risorse per impedire alle aziende italiane e straniere di uscire dall’Italia e di aiutare i lavoratori in grave difficoltà.
    Abbiamo tenuto la porta chiusa perché abbiamo fatto una politica a favore di un gruppo industriale che ciclicamente è andato in crisi, ha investito in paese dove altre concorrenti se andavano. Abbiamo fatto una politica dei trasporti che ha favorito solo la Fiat comprimendo lo sviluppo di altre infrastrutture. Ma soprattutto siamo stati incapaci di ricambiare classi politiche e dirigenti corrotte, incapaci di dirigere questo paese e con la compiacenza della maggior parte dei mezzi di informazione. Non c’è bisogno della legge bavaglio tanto certe informazioni non vengono mai date. Lei signor Giannino ha mai provato a vivere con 400 euro al mese? Ci provi! Fare l’operaio non è una scelta, anche se lo fosse c’è il rispetto della dignità dell’uomo che deve venire prima del profitto. Chi lavora a Mirafiori non ha meno diritti di lei o di me e in uno Stato come il nostro non si può permettere in nome della globalizzazione che la vita umana sia contabilizzata come una sorta di magazzino.

  4. Simone

    Il Sig. Oscar ha ragione.
    Gli unici che non hanno capito quello che sta succedendo sono la Marcegaglia, Bonanni e Angeletti. O, molto probabilmente lo hanno capito, ma hanno preferito dare una diversa lettura dei fatti… Il contratto nazionale sarà svuotato e reso reso inefficace, CISL e UIL lo sanno benissimo.
    Porprio per questo è curioso per me vedere come quello che dice Giannino, è uguale a quello che hanno detto a più riprese Cremaschi e Landini…

    La Fiat lascerà l’Italia, perchè e quello che gli Italiani vogliono.

    Perchè se la più che legittima battaglia di Marchionne focalizzata sul profitto e sui bassi costi (e diritti) del lavoro, non è arginata da un pensiero veramente liberale (“Prima di andare in Serbia, ci restiusci tutto quello che ti abbiamo datoin 50 anni: magari a partire dalla Cassa Integrazione che stiamo continuando a pagare per Pomigliano”), questa strana “melma” che sicuramente non si può chiamare mercato, orienterà i capiltali altrove.

    Si parla tanto dell’investimento FIAT in Italia: oltre all’ammontare, sapete qualcosa dei dettagli (dove e come saranno spesi questi soldi, quale è la vera strategia di Fiat)?
    Io ho tanto l’impressione che in un mercato maturo come l’automotive, a breve Marchionne ritirerà le sue biglie e ci dirà a tutti:”Non gioco più…”.

    Per quanto riguarda poi il ruolo del sindacato, credo serva onestà. Dal mio umile punto di vista, pur non condividendo tutte le scelte è innegabile che la FIOM sia l’unico che possa ormai considerarsi tale.

    Cisl e Uil vivono di commisisoni bilaterali e di pubblico, quindi hanno potere negoziale nullo.
    Vi siete mai chiesti perchè Bonanni non venga additato come causa dei mali nel pubblico impiego, visto che la CISL è il primo sindacato della categoria? Io no credo che sia perchè è particolarmente illuminato: il motivo è semplicemente perchè accetta di tutto in cambio di funzionari ben pagati.

    Staremo a vedere

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