Fiat: Marchionne accetterà lunghe contrattazioni al tavolo del Ministero?
Il paradosso italiano, illustrato ieri, relativo agli sviluppi positivi delle relazioni sociali italiane in mancanza del Ministro dello sviluppo Economico è stato una provocazione. È comunque indubbio che negli ultimi cinque mesi si siano avuti dei progressi quasi inimmaginabili fino a pochi mesi fa ed il merito è certamente dell’amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne. La stessa casa automobilistica si è ritrovata ieri con le parti sociali per discutere del progetto “Fabbrica Italia”. Come ricordava il manager Fiat, è un piano in divenire e dunque non ha senso di parlare d’investimenti precisi, impianto per impianto.
E su questo punto era nata la polemica con il Partito Democratico, che con il responsabile Economia e Lavoro, Stefano Fassina, aveva affermato che “abbiamo scoperto dalle parole del Dott. Marchionne che la Fiat in realtà è un’associazione di beneficenza, e rimane in Italia per gratitudine”. Il dirigente del partito d’opposizione si era poi lamentato della mancanza della specificazione degli investimenti di 20 miliardi di euro in Italia, per rilanciare la produzione. Questa posizione ha superato a sinistra perfino la Fiom, che invece ha deciso di sedersi al tavolo delle trattative, lasciando inoltre fare le dichiarazioni alla parte più moderata del sindacato.
Questo cambiamento della posizione del sindacato deriva certamente dalla quasi certezza di elezione di Susanna Camusso alla successione di Guglielmo Epifani nella CGIL e dalla fine dello scontro elettorale interno alla Fiom.
Certo passare dalle parole ai fatti sarà ben più difficile per il sindacato che per un semestre si è chiuso in un veicolo cieco, andando al muro contro muro contro Fiat.
E senza dubbio l’amministratore delegato del gruppo Fiat è uscito vincente dallo scontro, tanto che la Federmeccanica ha imposto la sua linea di una contrattazione di secondo livello, eliminando il contratto nazionale.
Il contratto “Pomigliano” flessibile è necessario per portare gli investimenti Fiat in Italia. Senza una maggiore produttività non si capisce perché l’azienda torinese dovrebbe continuare a fare i propri veicoli nel nostro paese.
L’efficienza è essenziale alla sopravvivenza nel mondo automotive che diventa sempre più competitivo e globale.
Le difficoltà di Fiat non si fermano alle trattative sindacali e al Piano “Fabbrica Italia”. Le maggiori insidie arrivano dal mercato, dove la casa automobilistica registra forti difficoltà.
Il Piano industriale che prevedeva un raddoppio delle vendite da qui al 2014 è messo in discussione dalla crisi del settore auto europeo. In Italia le immatricolazioni sono calate del 18,9 per cento nel mese di settembre, una contrazione a doppia cifra come quella spagnola, -27,3 per cento, e tedesca, -27 per cento. Il mercato italiano rimane molto importante per Fiat e dunque la contrazione ormai in atto da alcuni mesi ha alzato il livello di guardia del gruppo torinese. Le vendite sono scese del 4,4 per cento da inizio anno e l’ultimo trimestre sarà certamente uno dei più difficili degli ultimi anni. E Fiat sta performando peggio del mercato con una contrazione del 12,1 per cento nei primi nove mesi del 2010 rispetto allo stesso periodo del 2009.
Negli Usa, invece, Chrysler sta conquistando lentamente quote di mercato, dopo il pessimo 2009, anno nel quale aveva portato i libri in tribunale.
Per rilanciare il marchio di Detroit, che diventerà centrale nei piani di sviluppo Fiat, l’azienda torinese ha bisogno di risorse fresche. Per salire dal 20 per cento attuale al 51 per cento delle azioni di Chrysler sono necessari alcuni miliardi di dollari. Anche per questo motivo, valorizzando al massimo il gruppo, Sergio Marchionne ha proceduto allo spin-off.
Ora sono ben chiari i valori della parte auto e della parte industrial e giá si parla di cessione di alcuni marchi. In particolare gli ultimi rumors indicano Alfa Romeo alla Volkswagen e Iveco a Daimler. Difficilmente entrambi i marchi saranno ceduti ai concorrenti, ma altrettanto difficilmente Fiat manterrà tutti i marchi attuali nel suo portafoglio. Sergio Marchionne continua a dire che Alfa Romeo è al centro del piano di sviluppo americano e sembra avere qualche possibilità in più di essere ceduta Iveco. Certo è che l’amministratore delegato di Fiat è bravo a non svelare le proprie carte e anche le dichiarazione su Alfa Romeo potrebbero essere strategiche.
Alfa Romeo è uno dei marchi più internazionali del gruppo Fiat e, come affermato dal presidente di Volkswagen, Ferdinand Piech, potrebbe essere valorizzato maggiormente. Dietro queste parole del presidente del colosso tedesco molti analisti hanno visto l’interessamento di Volkswagen per il marchio del ”Biscione”. Probabilmente è così e probabilmente sarà una questione di prezzo.
Fiat dovrà dunque vendere qualche marchio per investire in Italia, ma soprattutto negli Stati Uniti.
Le parti sociali e il Governo Italiano devono comprendere che ormai Fiat è un’impresa globale e il Piano Fabbrica Italia è una parte di un piano più ampio.
L’azienda ha bisogno di flessibilità nell’investimento e gli ultimi cinque mesi hanno dimostrato che Sergio Marchionne non perderà tempo in lunghe contrattazioni infruttuose (al Ministero dello Sviluppo economico?)
Indipendentemente dal successo di Fiat e Marchionne la classe dirigente nazionale, se vuole attrarre investimento produttivo da fuori, ha l’obbligo di:
– ridurre i tempi di incertezza del diritto
– semplificare l’iter burocratico
– flessibilizzare il mercato del lavoro (contrattazioni geografiche, stagionali ecc.)
– abbassare il costo dell’energia e del fisco
– offrire un sistema educativo efficiente
Dietro ognuno di questi punti si cela una casta autoreferenziale del tutto disinteressata a riformare se stessa, poichè timorosa di perdere privilegi non più difendibili … ed ecco che i “rappresentanti del popolo” si disintegrano, la miglior gioventù emigra, la Fiat o la Volkswagen investe altrove. Game over!
Concordo pienamente. Non a caso il livello di FDI entranti in Italia è molto basso.
Ma questo Fassina da dove esce fuori? Non si capisce se ci è o ci fa…adesso capisco perchè Tremonti passa per un genio, con dei concorrenti del genere….
Sono totalmente in disaccordo per questi semplici motivi:
– la competitività di un’azienda non si costruisce sulla pelle degli operai ( se fosse così il gruppo VW avrebbe chiuso da tempo).
– se Marchionne è così sicuro vada pure in serbia o dove cavolo vuole, non è necessario che rimanga in Italia.La verità è che non si delocalizza così facilmente soprattutto se dovesse acuirsi la crisi delle vendite anche negli anni a venire.
– si aprirà una nuova stagione di aiuti governativi e chi pagherà sarà sempre il parco buoi.
– Tutto quello che ha fatto Marchionne è sotto gli occhi di tutti e i problemi di Fiat potrebbero essere appena iniziati…..siamo sicuri che pagherà i debiti americani? Con lo spin-off la famiglia Agnelli si è coperta le spalle ed è un segno negativo per gli azionisti.
Il commento del sig. jjajajaj è sconclusionato quanto il suo nome. Ben fa Marchionne ad insistere sulla produttività e su un nuovo patto nelle relazioni industriali. Politica e sindacatu devono essere chiamati ad assunzioni di responsabilità. Il mondo industriale non è più un mondo chiuso e interessi di parte non sono più difendibili a prescindere. Mi trovo inpieno accordo con Gregorio.
La competitivitá non si gioca sulla pelle degli operai, ma certo è necessaria una flessibilizzazione dei contratti esistenti.
Esempio tedesco? Il 40 per cento dei contratti non seguono alcun contratto nazionale. Magari avessimo questo livello di contrattazione aziendale in Italia. Anche per questo VW sta andando bene.
La delocalizzazione, molte volte non è fatta solo per cercare costi del lavoro piú bassi, ma soprattutto per entrare in nuovi mercati. Il Brasile è uno degli esempi di successo di Fiat, come i prossimi investimenti in Russia.
Tornare a Pomigliano va contro la logica di andare a produrre laddove i costi sono piú bassi.
I costi non sono dati dal salario netto, ma dal salario netto piú tutta la somma delle inefficienze del settore pubblico italiano che bloccano gli investimenti.
Concordo in parte sull’ultimo punto. I problemi per Fiat potrebbero essere all’inizio. L’avventura americana è estremamente difficile da vincere e le incognite sono elevate.
Sullo spin-off commento che i principali azionisti sono proprio la famiglia Agnelli.
Oltretutto in Germania lo stato ci mette del suo per aiutare la produttività con una burocrazia efficiente e poco costosa (rispetto all’Italia s’intende).
A fronte di tale dislivello che senso ha investire in Italia?
secondo me Marchionne ha avuto fin troppa pazienza.
Tanto di cappello ad uno dei POCHI veri capitani d’industria di cui gli italiani dovrebbero essere fieri.Altro che i catorci Montezemolo e Romiti…
Oltretutto in Germania (dove però non c’è il sole ;-)) la politica obbliga e, al tempo stesso, facilità l’ingresso dei giovani al lavoro attraverso la “Ausbildung” un misto di scuola e lavoro, ove lezioni scolastiche su materie specifiche relative al lavoro che si sta imparando (segretaria, parrucchiera, impiegato di banca, commesso, idraulico ecc.) si alternano con periodi di lavoro vero e proprio dove si imparano cose pratiche.
Ditemi voi dove andranno a lavorare l’esercito di geometri, ragionieri e periti di ogni tipo che l’Italia si appresta a formare !? Per non parlare delle scuole alberghiere (un vero sbocco soprattutto per il Sud d’Italia – lì il sole si che splende) dedite a sfornare diplomandi che a malapena sanno parlare l’Italiano e che concepiscono il concetto di offrire un servizio – appunto fare il cameriere – un’umiliazione da possibilmente non far sapere in giro. Dove sono gli infermieri giovani, italiani, professionisti di cui una popolazione vecchia ha bisogno? Che fine hanno fatto le ostetriche/allevatrici che accompagnano il cammino della gravidanza di una donna? In Germania, mia moglie è stata assisitita da una tale professionista a domicilio – a spese dello stato?
No, in Italia tutti a fare le veline, il giornalista, l’avvocato, il commercialista, il vigile urbano – creando così ancor più disoccupazione.
Concludo e, a supporto di quanto scrive il sig. Giuricin, cito Axel Weber, il presidente della Bundesbank, che un mese fa ha così spiegato la realtà tedesca ai banchieri centrali riuniti a Jackson Hole: «Molto è cambiato da quando in Germania si è passati da contratti di lavoro per settore e su scala nazionale a contratti aziendali. Gli aumenti di produttività liberati sono anche maggiori di quanto appaia dalle stime».
@ jjajajaj : imparariamo dalla storia – il concetto della difesa dell’oppressione dell’operaio ha creato, ahimè, esclusivamante mostri burocratici di cui la Cina stessa si è dovuta liberare (rinnegando 50 anni di comunismo).
la 159, in produzione a Pomigliano , non si vende. Non è che ci siano tanti ordini e non riescano a farla . La 147 ha chiuso. La Mi To la fanno a Mirafiori, se non sbaglio , e la nuova Giulietta , non ricordo dove. A cavallo del 2000, fra 156 e poi 147 , si producevano 750- 800 scocche al giorno. Difetti e problemi c’erano, eccome . Ma quei prodotti incontravano il favore della clientela . grazie e buona sera.
Sono stato costretto ad eliminare un commento.
È una delle azioni piú spiacevoli da prendere, ma i semplici insulti non sono accettabili.
Ringrazio invece tutti i commentatori, anche quelli che sono in totale in disaccordo con quanto da me scritto.
secondo me il vero problema della fiat e che i suoi prodotti non reggono alla concorrenza
Comprare una macchina fatta a Pomigliano? Non scherziamo.