Fiat: Lo sciopero si ferma a Termini
La chiusura dell’impianto Fiat di Termini Imerese spaventa un po’ tutti. Lo stabilimento del gruppo torinese impiega circa 1400 dipendenti in Sicilia e la perdita di tanti posti di lavoro provoca differenti reazioni. I sindacati hanno già incrociato le braccia, mentre il Governo cerca di mediare in una situazione estremamente delicata.
L’amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, ha annunciato lo stop alla produzione di autoveicoli a partire dal 2011 nell’impianto di Termini Imerese, mentre anche lo stabilimento di Pomigliano d’Arco rischia la stessa sorte.
Queste scelte industriali sono del tutto logiche, in quanto, ogni autoveicolo che esce dallo stabilimento siciliano costa circa 1000 euro in più di quello che costa negli altri impianti Fiat. Il sovra costo non è tanto dovuto ad una bassa produttività dello stabilimento di Termini, quanto all’infelice posizione logistica dell’impianto stesso. La mancanza di collegamenti rapidi dalla Sicilia verso i mercati di sbocco è una debolezza che costa caro.
Quello che sembra un problema di Termini Imerese è invece un problema che riguarda tutta l’Italia. Le infrastrutture italiane sono state concepite male e fanno perdere di competitività a tutte le aziende che combattono ogni giorno in un mercato più globale. Il mercato dell’automobile è sempre più globale e sempre maggiormente sono necessarie economie di scala per le case automobilistiche al fine di risparmiare e competere.
Il caso di Fiat in Italia è molto particolare. Con cinque stabilimenti la casa automobilistica torinese produce lo stesso numero di autoveicoli di un unico stabilimento in Polonia o in Brasile. Gli stabilimenti italiani sono troppo piccoli e la produzione italiana è troppo frammentata.
Questa situazione deriva da un rapporto perverso tra Fiat e i diversi Governi che si sono succeduti negli anni. In cambio di aiuti l’azienda ha deciso di sostenere l’occupazione in tutta Italia, senza guardare troppo al conto economico.
L’Italia ha ormai perso da anni il treno degli investimenti esteri nel settore auto motive e questa debolezza è stata pagata a caro prezzo. La caduta del numero di autoveicoli prodotti in Italia è stata tale che nel 2008 sia Belgio che Repubblica Ceca hanno fatto uscire dai propri stabilimenti più auto che l’Italia. La produzione italiana è solo di Fiat e nessun altra casa automobilistica produce veicoli.
La produzione mondiale è sempre più globale, così come la domanda di autoveicoli. Nel 2009 in Cina sono stati venduti più autoveicoli che negli Stati Uniti, mentre in molti paesi europei la domanda è stata sostenuta da incentivi che hanno dopato le vendite. E il doping fa male, perché nel 2010 il mercato auto rischia un tracollo con una caduta di oltre il 10 per cento. Tutti i Governi Europei si ritrovano quasi costretti a prolungare gli aiuti alle vendite, ma comunque sarà difficile mantenere il livello raggiunto nel 2009.
Il Governo Italiano molto probabilmente continuerà nella politica degli incentivi, seppur in maniera più limitata rispetto allo scorso anno. Questa politica tuttavia è una misura che non aiuta la produttività italiana e che è costata e costa centinaia di milioni di euro l’anno.
Il nostro paese non ha bisogno d’incentivi alle vendite, bensì di una politica lungimirante che sappia attirare gli investitori stranieri.
Lo sciopero di Termini Imerese, difficilmente cambierà la situazione. I sindacati non sembrano accorgersi che il mondo dell’auto è cambiato e che ormai è divenuto globale.
Il Governo ha l’occasione di comprendere che non è tanto importante difendere strenuamente l’occupazione di un solo impianto produttivo, quanto quello di favorire l’arrivo d’investitori stranieri che possano sviluppare la produzione italiana e di conseguenza l’occupazione.
Una delle cose più assurde della situazione in cui ci si trova è che il governo usa i sussidi come carota e la minaccia dei tagli dei sussidi come bastone. Ma in un caso e nell’altro vuole imporre le proprie logiche al settore privato. E’ insomma evidente che il ministro Claudio Scajola ora prospetta che vi sarà una revisione della politica degli aiuti al settore aumobilistico, ma solo perché vuole essere lui a decidere cosa la Fiat deve fare. Adesso scopre che gli incentivi “distorcono il mercato” (dichiarazione del ministro), ma se la Fiat accettasse di tenere aperto Termini la preoccupazione su tali distorsioni – non ci vuole molto a capirlo – sparirebbe subito.
Tutto questo è, in una parola, pietoso.
Se è vero che una volta scelta l’economia di mercato le ditte hanno diritto di agire nel loro ambito come meglio credono senza alcuna altra considerazione se non il proprio esclusivo tornaconto è altrettanto vero che una volta scelta la democrazia i parlamenti democraticamente eletti hanno diritto di legiferare come meglio ritengono.
Detto questo c’è qualche norma che impedisce di incentivare fiscalmente le ditte che creano occupazione stabile e penalizzare fiscalmente quelle che la distruggono?
Oppure sarebbe illegale una legge volta ad impedire che le imprese che hanno beneficiato di aiuti (gratuiti per loro) distribuiscano poi dividendi agli azionisti?
bel post. Aggiungo che non si possono ricevere per anni e poi invocare aiuti di stato e poi appellarsi al mercato per la propria politica industriale. O l’uno o l’altro.
@Nikolai Alexandrevic Pugachov
Non è esatto che i parlamenti possano legiferare come meglio ritengono: in genere, nelle democrazie occidentali essi devono rispettare la Costituzione, che pone principi non derogabili dal legislatore ordinario; nell’UE, poi, molte materie sono riservate al legislatore comunitario – che a sua volta deve rispettare i principi posti dai Trattati costitutivi dell’Unione – e pertanto non possono essere disciplinate dai parlamenti nazionali; in molte altre si danno livelli diversi di regolazione, così che il legislatore nazionale deve esercitare i suoi poteri rispettando le regole europee.
Mi rendo conto che questa è una risposta di portata generale, a quest’ora non riesco a rispondere ai quesiti specifici.
Penso che la situazione per FIAT sia tanto delicata tenuto anche conto del matrimonio con Chrysler, che Marchionne potrebbe anche decidere di rifiutare aiuti pubblici ed assicurarsi maggiore libertà di decisione riguardo all’impianto di Pomigliano. Che è un altro esempio di pessimo sito produttivo ad onta dei recenti investimenti che FIAT ha fatto sulle strutture e sulla formazione.
Nel precedente Governo Berlusconi c’era qualche liberista.
Nell’attuale Governo Berlusconi ci sono molti socialisti.
Anche se è una considerazione ovvia, ma se ne sono resi conto soltanto adesso, in FIAT(e al Governo) che questo impianto è in una posizione “infelice”? Fin da piccolo, quando passavo per l’autostrada mi chiedevo come mai altrove tratti di spiaggia così belli venivano valorizzati con apposite infrastrutture per il turismo, e invece in Sicilia, c’era un orribile complesso industriale come quello della FIAT…
E’ molto strano per un governo ke predica, un giorno sì e l’altro pure, il libero mercato usare l’arma dei sussidi (e per favore non li kiamiamo più incentivi) come strumento di persuasione o di ricatto nei confronti di un privato produttore, per altro monopolista. Ha ragione andrea, tutto ciò gronda di socialismo altro ke liberismo! Se l’economia di mercato non vuole essere una truffa si agisca di conseguenza, ma in direzione di una efficiente allocazione di risorse.
In tempi di “vacche magre” tenere aperti 5 stabilimenti FIAT in Italia è pazzesco: la battaglia di Termini Imerese è persa in partenza, la fabbrica va chiusa perchè non possiamo più permetteci di mantenere aperte “sine die” produzioni in perdita.- Detto ciò (con buona pace di Scajola, sindacati e lavoratori…) la FIAT deve “rimettere il sedere in carreggiata” e cominciare a produrre auto senza “aiutini” di Stato (leggi rottamazione).- Noi del nordest non abbiamo mai goduto di alcun “privilegio” od “aiutino” di Stato, viviamo benissimo anche senza FIAT e – con le nostre piccole e media imprese competitive sui mercati mondiali – abbiamo un tasso di disoccupazione che è circa la metà di quello medio italiano.- Il tutto nel disinteresse totale di Roma che da trent’anni ci tratta come una colonia da cui attingere soldi senza dare nulla in cambio (ad esempio una rete viaria degna di questo nome….).- Quindi da noi i piagnistei “non attaccano”: gli operai FIAT di Termini Imerese e di Pomigliano d’Arco per noi sono stati dei privilegiati, adesso è tempo che imparino a camminare sulle loro gambe.- Una cosa deve essere ben chiara: noi del nordest non pagheremo più per gli errori degli altri, i “carrozzoni” pubblico/privato vanno smontati definitivamente, non è più tempo di “assistenzialismo di stato”.-
@enzo
Vuoi ridere? In questo momento la pag. 131 del Televideo rai recita così:
“Stavamo esaminando l’erogazione di incentivi al settore auto, ma pare che il principale produttore italiano, la Fiat, non sia interessato ad averli”.
Lo ha detto il premier Berlusconi al termine del cdm, aggiungendo: comunque “è ancora un capitolo aperto, stiamo discutendo con altri protagonisti del settore”, “noi siamo sempre pronti a dare una mano, là dove serve”.
E poi su una eventuale fusione Telecom-Telefonica: “Non ho avuto ancora sul tavolo nessuna proposta, ma RICORDO CHE SIAMO IN UN’ECONOMIA DI LIBERO MERCATO”.