Ferrovie regionali al capolinea?—di Ivan Beltramba
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Ivan Beltramba.
Il disastro di Corato sulla linea “Bari Nord” ha portato alla ribalta le “Ferrovie Regionali”, talune gestite da società a capitale privato, il resto da società di proprietà degli Enti Locali. La maggior parte di queste linee sono interconnesse con la rete Nazionale gestita da RFI ed a seguito del recepimento della DIR UE 34/2012 (cd. RECAST) con il D.Lgs 112/2015 alcune di queste saranno trasferite per le questioni inerenti la sicurezza dal Ministero delle Infrastrutture e Trasporti alla Agenzia Nazionale della Sicurezza Ferroviaria, creata con il D.Lgs 162/2007 recepimento della DIR UE 49/2004 sulla sicurezza delle ferrovie. È stato pubblicato in GU il 15 settembre il Decreto Ministeriale previsto dall’articolo 1 comma 6 che dovrebbe indicare le Ferrovie Regionali “di interesse strategico”.
Le bozze del DM circolate non hanno suscitato la gioia delle Regioni proprietarie di Infrastrutture (trasferite in due fasi alle Regioni dal DPR 616/77 e dal D.Lgs 422/97) dato che da oltre 6 anni il Governo non ha più rifinanziato la legge 297/79 per l’ammodernamento e la manutenzione delle ferrovie di interesse locale ed anche i fondi della legge 910/86 sono esauriti da tempo.
Non solo. Con un eccesso di zelo incomprensibile il 112 ed il DM impongono alle reti regionali anche la separazione societaria tra gestore dell’infrastruttura e gestore dei servizi. Per società che gestiscono poche decine di km ed hanno alcune decine di dipendenti. E dimenticando che la DIR 34 non prevede la separazione societaria (la Francia non ha mai separato e la Slovenia addirittura ha fatto marcia indietro per eccesso di costi; non sono in procedura di infrazione e i treni vanno lo stesso) né tanto meno è prevista nel IV pacchetto che sta entrando in vigore per fasi quest’anno.
Riassumendo: le Regioni nel 1998 hanno ricevuto delle reti in gran parte in Gestione Commissariale Governativa e spesso con standard tecnologici d’anteguerra quando non fatiscenti (Dirigente Unico, PL manuali, trazione diesel, scambi a mano). Per alcuni anni le ex-GCG vennero “affidate al Gruppo FS per il risanamento tecnico-economico”, ma non è che ci furono dei gran passi avanti, anzi, e soprattutto non solo le GCG erano malmesse.
Molte linee FS a metà anni Settanta erano anch’esse arretrate, ma con il Piano Integrativo del 1981 (12.450 miliardi del vecchio conio diventati 41.000 nel 1987) si era fatta pulizia di apparecchiature obsolete e non sicure. Restano ad oggi in ambito RFI poche linee senza blocco contaassi e con Dirigente Unico intorno al nodo di Spinazzola (in Puglia, non lontano da Andria…) mentre altre sono state recentemente chiuse all’esercizio.
Il DM prescritto dal Dlgs. 112/2015 costringerà le Ferrovie Regionali ed i loro proprietari ad adeguare gli standard organizzativi, tecnologici, operativi, di sicurezza (sistemi di blocco automatico o ERTMS) e di protezione della marcia dei treni (SCMT o ERTMS) senza prevedere risorse finanziarie specifiche, neanche i fichi secchi.
Però per il Gruppo FS (sia per l’infrastruttura gestita da RFI che per i veicoli di Trenitalia) il Governo ha contribuito con oltre 4 Miliardi di Euro per la installazione del SCMT e la eliminazione di apparecchiature non affidabili. Molti impianti sono poi stati disattivati e molte locomotive sono state demolite pochi mesi dopo il loro attrezzaggio, completato in circa 6 anni per 16.000 km di linee e oltre 4000 locomotive. E questo nonostante fosse ormai disponibile il ERTMS/L1 e ne fosse prescritta dalle Decisioni UE l’uso per i nuovi impianti, ma la Commissione UE ha lasciato fare perché FS ha garantito che le boe SCMT sono “eurobalise” e potranno trasmettere il segnale ERTMS/L1. Peccato che nessuno lo abbia ancora visto.
Le Regioni avevano chiesto un comportamento analogo per le Reti e le Imprese Regionali, quantificando le risorse necessarie in circa 500 milioni per 2000 km di linee interconnesse ed almeno 4 anni tempo; considerato anche il consistente contributo che lo Stato riconosce a RFI per la soppressione dei Passaggi a Livello, mentre le Regioni devono arrangiarsi, era lecito aspettarsi una leale collaborazione, anche perché l’installazione SCMT è a “standard RFI”, che per alcuni impianti delle linee regionali richiede pesantissime modifiche non giustificate da motivi di sicurezza o di esercizio. Alcune di queste modifiche porteranno tempi di “chiuso” di molti Passaggi a Livello dai 3 minuti attuali fino 8 o 10 a seconda delle situazioni.
Il Governo però non ha voluto sentire ragioni dicendo che “le linee sono di competenza regionale e pertanto spetta a loro reperire le risorse”. Anche la promessa fatta dal Ministro, riferendo in aula dopo il tragico evento sulla Bari-Barletta, di avere a disposizione 1,8 Miliardi di Euro per le ferrovie regionali non sembra del tutto vera, perché quelle risorse pare verranno date al gruppo FSI per risanare le ferrovie che le Regioni vorranno cedere. Nulla verrà dato alle odiate Regioni. Mettendo quindi sullo stesso piano chi ha lavorato bene e chi ha lavorato male. Un dejàvu Italico.
In altri stati dell’Unione Europea, la introduzione di nuovi standard o sistemi di sicurezza sulle linee ferroviarie nazionali ha poi visto i Governi finanziare anche ai nuovi entrati già ammessi a circolare la installazione delle apparecchiature obbligatorie, per ovvie ragioni di “accesso equo e non discriminatorio” alla infrastruttura ferroviaria. Proprio come da noi, dove si ostacola in tutti i modi una gestione non statale dei servizi su ferro, perlomeno quelli passeggeri.
L’Umbria ha già provveduto in agosto a disfarsi della propria rete sottoscrivendo un Accordo con il gruppo FSI. Le Ferrovie del Sud-Est della Puglia, una ex GCG diventata Srl. di proprietà del Ministero delle Infrastrutture ed assunta alle cronache giudiziarie per varie vicende poco edificanti, passeranno a FSI probabilmente dal prossimo 1° gennaio.
È un vero peccato che anche questa volta, nella smania accentratrice del Governo, si sia persa l’occasione per premiare chi ha fatto il proprio dovere a partire dal D.M. 5 agosto 2005 (G.U. 3/11/2005 n. 256) senza risorse aggiuntive statali, sottraendole quindi all’acquisto di nuovo materiale rotabile o alla elettrificazione.
Il sospetto è che ci si voglia disfare in un modo o nell’altro di un pericoloso “benchmarking” nel settore esercizio ferroviario, dove forse alcune piccole reti verticalmente integrate riescono ad ottenere economie di gestione invidiabili. E la separazione societaria non è garanzia di comportamenti non discriminatori, come l’esperienza ci insegna, mentre il la creazione della Autorità di Regolazione potrebbe essere un vero deterrente per pratiche scorrette.
La cosa più preoccupante però è che scorrendo l’elenco dei disastri ferroviari degli ultimi 20 anni (diciamo dal 12 gennaio 1997, disastro di Piacenza) non sembra che le le ferrovie in gestione allo stato abbiano brillato per sicurezza, senza contare i disastri senza vittime come lo svio a 140 km/h del RV 2885 a Lavino del 14 luglio 2012 che avrebbe potuto tradursi in una carneficina. E le precauzioni e procedure operative prescritte alle Imprese Ferroviarie dopo il disastro di Viareggio non garantiscono affatto il non ripetersi di un incidente identico.