9
Ott
2012

Ferrovie ed inquinamento: tecnica o politica?

Più che l’autorevole tecnico sembra che a parlare sia stato un politico di lungo corso. Parliamo del ministro dell’ambiente, Corrado Clini che, intervendo ad un convegno sull’inquinamento atmosferico organizzato dalla Camera di commercio di Milano ha sostenuto, allineandosi alla vulgata corrente, che: “per migliorare la qualità dell’aria servono anche infrastrutture ferroviarie nuove e chi si oppone ad esse ha una posizione che non ha nulla a che vedere con la protezione dell’ambiente, anzi va contro… fino a che non realizzeremo il passaggio dal trasporto delle merci su gomma a quello su rotaia o intermodale – ha aggiunto il ministro – è inutile che Milano chiuda al traffico il centro. C’è una politica infrastrutturale che va fatta, c’è bisogno di scelte più decise”. Il Ministro ha perfettamente ragione quando dice che l’introduzione di Ecopass e poi della congestion charge nel capoluogo lombardo non ha avuto e non avrà alcun effetto apprezzabile sui livelli di inquinamento atmosferico della città. Lo avevamo scritto prima che il provvedimento venisse adottato dalla giunta Moratti e ribadito per la nuova versione del pedaggio varata dalla giunta Pisapia. Ma altrettanto irrilevante, al contrario di quanto sostiene il Ministro, sarebbe l’effetto di nuovi investimenti in infrastrutture ferroviarie. L’ingentissima spesa pubblica per la realizzazione della rete ad alta velocità – i cui costi sono lievitati anche per consentire il transito ai treni merci – non ha finora avuto alcuna ricaduta in termini di riequilibrio modale nè per quanto riguarda i passeggeri, nè per le merci. Nè ci si possono attendere risultati diversi dai nuovi progetti come la nuova linea Torino – Lione o il terzo valico. Il traffico merci di lunga percorrenza che può essere intercettato da queste nuove opere rappresenta una quota del tutto marginale rispetto al totale del traffico su strada che si sviluppa in larghissima quota su distanze medio-brevi. Nel caso della TAV, anche qualora tutti i mezzi pesanti sull’itinerario fra l’Italia e la Francia fossero trasferiti sul treno (desertificando in questo modo un’infrastruttura già oggi largamente sottoutilizzata), il traffico complessivo sulla rete autostradale piemontese verrebbe ridotto di pochi punti percentuali. Ridurre il trasporto su gomma investendo sulla ferrovia è solo una illusione come conferma la stessa recente esperienza della Germania dove il traffico su ferrovia è fortemente cresciuto negli ultimi dieci anni ma con effetti impercettibili sul traffico stradale. Non bisogna poi dimenticare che le emissioni unitarie dei mezzi di oggi sono una piccola frazione rispetto a quelle dei veicoli prodotti un paio di decenni fa: l’impatto sull’inquinamento sarebbe del tutto trascurabile anche in presenza di una significativa riduzione del traffico. Nessun giovamento apprezzabile per l’ambiente potrà venire da una maggiore spesa pubblica per le ferrovie. Potrà solo essere aggravato il pesante bilancio che tale politica ha avuto finora sul debito pubblico in Italia e negli altri Paesi europei. Un interessante termine di paragone è dato dalla Francia che, come noto, non ha lesinato risorse alla ferrovie: il riequilibrio modale non c’è stato ed il traffico merci su ferrovia è quasi scomparso ma l’effetto sui conti pubblici è stato devastante. R. Prud’Homme ha stimato che il 40% dell’attuale debito francese sia attribuibile alla spesa degli ultimi trent’anni per il settore delle ferrovie e dei trasporti collettivi. Non sembrerebbe proprio un modello da imitare. Meglio, come sosteneva qualche anno fa l’allora direttore generale del Ministero dell’Ambiente, definire limiti di concentrazione degli inquinanti diversificati per le varie zone di Europa (meno restrittivi per le zone come la Lombardia che presentano “condizioni al contorno” più sfavorevoli alla dispersione degli inquinanti) senza tentare di migliorare ancora di poco la qualità dell’aria prescidendo da una qualsiasi valutazione di costi e benefici.

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10 Responses

  1. Francesco_P

    Qualsiasi castroneria assurge a frase storica se condita d’ecologia.

    Anche un bimbo, se non costretto a ripetere come un pappagallo le stupidaggini degli eco-adulti, capisce perfettamente che non c’è alcuna relazione fra il traffico all’interno di una città e la presenza di scali merci nella sua fascia esterna: le merci devono essere scaricate dai vagoni e caricate su furgoni per essere distribuite in città.

    Nonostante le frasi ad effetto dei discorsi vuoti dei politici e dei politico/tecnici nessuno affronta il nodo principale della questione: il modello di business commerciale ed organizzativo degli scali merci è adeguato alle necessità delle imprese italiane? Gli operatori ferroviari (FS Cargo e privati) sono in grado di progettare un servizio adeguato alle esigenze di imprese di medie dimensioni con un ciclo produttivo flessibile e una clientela sparsa sul continente europeo?

    Se non si risolve il nodo centrale del traffico merci, la flessibilità e la rapidità nell’accogliere e distribuire le merci e la capacità di gestire in modo altrettanto flessibile i treni nelle fasce d’orario riservate al trasporto merci, qualsiasi investimento a lungo termine in infrastrutture ferroviarie è destinato a rimanere una palla al piede.

    Anche il trasporto su gomma è diseconomico, a maggior ragione con l’attuale costo del lavoro, del leasing, delle assicurazioni e del carburante, ma ha il vantaggio di essere flessibile.

  2. Gianfranco

    In un mondo che diventa sempre piu’ flessibile, granulare e personalizzato, questi tecnici ragionano ancora come l’Unione Sovietica.

    Senza contare, ed e’ termodinamica delle elementari, che se facciamo viaggiare vagoni ferroviari, l’energia per farli muovere viene ancora prodotta con il nucleare importato o con centrali termiche.

    Questa e’ la scuola che i nostri tecnici hanno frequentato. Debito pubblico, debito pubblico, debito pubblico.

    Ovviamente qui il punto e’ quello di rendere onore al sacro Keynes.

    Cordialmente
    Gianfranco.

  3. Assolutamente d’accordo con il contenuto dell’articolo.
    Una nota: allora perchè non facciamo intervenire dei finanziatori privati per costruire le grandi infrastrutture, dando poi la gestione come compenso? Perchè nessuno ci starebbe, lo vedrebbero come un cattivo affare. Invece lo Stato, con in soldi dell’IMU, col 33% di contributi previdenziali per togliere poi la pensione, con i tagli alla ricerca…. dovrebbe fare questo cattivo affare! …ma forse ce lo chiede l’europa

  4. marco maria

    Dott.Ramella piove sul bagnato! Ma come nota casa automobilistica autoctona fino a ieri complice ed opportunista nello sfornare autovetture/automezzi commerciali fino ad un rapporto auto/abitanti incredibilmente alto ed ora che e’ in crisi risolve i propri problemi di saturazione del mercato puntando sul rotabile? Stiamo scherzando e nel frattempo creando un nuovo monopolio/business tutto Italiano? E Arenaways dove la mettiamo? L’equilibrio ferrovia/auto/mezzi commerciali doveva gia’ essere in atto negli anni 60/70 non ora! Certo che ci hanno preso proprio per decerebrati,prima declassano le tratte adriatiche fornendo un servizio allucinante, poi eliminano tratte minori poiche’ non economiche ecc. ed ora si prospetta un nuovo business per i soliti noti! La Francia per certi aspetti non e’ confrontabile con la nostra nazione, si prenda una carta fisica di ambedue i Paesi prima di fare certi paragoni. E i prezzi? Prima di pontificare su certe soluzioni mettete nero su bianco quale saranno i prezzi bloccati per tot.anni sulle tratte esistenti e da costruire poi ne riparleremo (gia’ oggi le tariffe non sono equiparabili a quelle medie europee poiche’ molto piu’ alte) Continuiamo cosi’ a prenderci in giro……

  5. Francesco_P

    @marco maria

    Le ferrovie sono state viste dalla metà degli anni anni ’50 (ripristino dei danni bellici) al 1992 come un ammortizzatore sociale. Dopo la trasformazione in S.p.A. sono state viste come un monopolio pubblico che doveva funzionare contabilmente come una S.p.A. Fino alla fine del secolo scorso il sistema ferroviario italiano ha accumulato un enorme gap rispetto alle reti dei principali paesi europei sia dal punto di vista delle infrastrutture che del materiale rotabile.

    Per liberalizzare il sistema ferroviario serve un Ente indipendente tanto dalle società che possiedono le infrastrutture quanto dagli operatori la cui mission consiste nell’assegnazione delle tracce d’orario. Finché continuerà ad esistere una sostanziale coincidenza di proprietà fra la società responsabile delle infrastrutture e le società di gestione del traffico, la liberalizzazione sarà impossibile.

    Nel settore cargo ci sono altri operatori che svolgono servizi internazionali o servizi interni che non interessano FS Cargo. Non si tratta di una vera liberalizzazione, bensì di complementarietà rispetto ad un monopolista. Nel settore passeggeri a lunga percorrenza NTV è la prima eccezione. Nel settore del traffico regionale/interregionale le vicende di Arenaways, che lei cita giustamente, dimostrano come il carrozzone non ammetta alcuna concorrenza: d’altronde è Trenitalia che riceve i contributi statali e regionali; un concorrente fa veramente paura in questo settore!

    La FIAT è ormai uscita da anni dal settore delle costruzioni ferroviarie dal 2000, quando cedette l’azienda alla Alstom. La FIAT ferroviaria è stata uno dei maggiori innovatori nel campo trazionistico in Italia. FIAT ferroviaria nel passato è stata all’avanguardia nel settore della trazione Diesel (anni ’50-’60) e nella introduzione delle prime locomotive a trazione elettronica (E632-633), delle prime elettromotrici a a trazione elettronica (treni GAI), pioniere mondiale nelle sospensioni ad assetto variabile per treni veloci (pendolino). Purtroppo, avendo un unico cliente conservatore non poteva competere con i colossi esteri, aveva limitate possibilità di offrire progetti chiavi in mano ad operatori stranieri.

    NTV di Montezemolo, Della Valle e altri soci (non ricordo tutti) è solo una società di pura gestione di un servizio passeggeri a lunga percorrenza che impiega materiale rotabile prodotto dalla francese Alstom. Non è una società del gruppo Fiat. Invece partecipano al suo capitale Intesa San Paolo e Generali per poco più di un terzo del capitale (da malizioso sospetto che è per questa partecipazione qualificata che NTV non ha fatto la fine di Arenaways).

  6. giovanni mele

    Condivido quanto affermato dal ministro al quale, tuttavia, mi permetto segnalare che Rfi è molto restia ad adeguare le infrastrutture ferroviarie per il traffico merci nelle zone di confine con la Svizzera. Segnalo al sig. Ministro che a tale proposito il Consiglio Federale elvetico il 26/9 ha stanziato 940 mio di franchi per adeguare le proprie linee alla circolazione di treni merci dal profilo di 4 metri, mettendo a disposizione dell’ Italia un prestito di 290 mio per fare altrettanto nella vicina Italia. E allora si attivi il ministro e costringa Mauro Moretti a pensare anche al traffico merci e non solo all’ AV, rispettando gli impegni concordati con le ferrovie svizzere nel maggio 2001 in merito alle 2 fasi che prevedevano necessari miglioramenti di binari, gallerie, ponti ed altre necessità tecniche. Tutto rimangiato. Motivo: mancano i soldi (dice lui).
    Giovanni Mele- Luino

  7. Lorenzo

    Clini un tecnico? Per favore, solo un mega burocrate incrostato. Provate a fare una pratica emission trading (dove lui era dirigente prima di diventare ministro) per credere.
    Il disastro del trasporto pubblico italiano è solo uno degli aspetti del declino.
    All’estero c’è meno drenaggio di risorse e di conseguenza ogni città media ha un sistema di traporti pubblici ben articolato su almeno tre livelli coordinati: in Germania superficie, U-bahn (metro e tram), S-Bahn (regionale). In Italia a parte Milano e Roma deserto quasi totale.
    Per quanto riguarda il traffico all’estero non si mettono ostacoli: si separano i flussi a corta, medio e lungo raggio. Qui solo rotonde sulle statali e zone ZTL per far pagare il pedaggio ed i parcheggi. L’ecologia è usata solo come clava. Svizzera e Germania hanno ottime ferrovie ed ANCHE ottime strade, la Svizzera malgrado un’orografia non certo favorevole.
    Usciamo poi da quella logica assurda delle emissoni. Vogliamo spostarci si o no? Ci sono o non ci sono venti e pioggia? Che qualità hanno i nostri mezzi? La conseguenza è un livello di qualità dell’arai che può essere un indicatore ma porlo come limite di legge è ipocrita e porta al tutti a casa o ad ignorare il limite.

  8. Guido_G

    Questo articolo contiene una serie di imprecisioni e pensieri medi politici a mio giudizio non degni dell’importanza della materia.
    1- E’ indubbio che l’intervento di Clini sia insufficiente, ma non nel verso riportato dall’autore. E’ insufficiente perchè non entra nella disamina del come decongestionare e del modal shift.
    2- Gli investimenti in infrastrutture sono essenziali per dare al paese una geografica ferroviaria merci esiziale per l’insediamento industriale. Continuare a confondere TAV con TAC, e rete merci con rete alta velocità facendo una zuppa di tutto, può solo confondere le idee di chi legge.
    3- Investire in infrastrutture merci non significa solo ridurre l’inquinamento. Significa liberare le strade dai TIR. Le statistiche parlano chiaro. Solo un dato. I morti in ferrovia su base annua non superano le 100 unità di media. I morti sulle strade superano le migliaia. I danni i miliardi.
    4- I dati sui costi esterni della ferrovia rispetto alla strada sono stati pubblicati dalla commissione europea e sono IMBARAZZANTI. Forse vale la pena di leggerli. Eppure la strada prende 1 mld di euro all’anno di sovvenzioni. La ferrovia lo scorso anno (ferrobonus) 25 mln… (miliardi contro pochi milioni).
    5- Probabilmente la Torino – Lione non serve per le merci, ma mettere sullo stesso piano tutte le opere (ad esempio Terzo Valico) è semplicemente da ignoranti (nel senso etimologico del termine). Forse in pochi hanno percorso la A7 in salita e discesa, contando i TIR e gli incidenti. E forse in pochi sanno che attraversare le alpi liguri con i treni costa il doppio di quello che costa salire dai porti francesi perchè ci vuole uno o due locomotori in più (che non sono regalati). E quindi per il territorio ligure, per il LAVORO di migliaia di persone, forse conviene considerare questo. Uno sviluppo della ferrovia in liguria significa decongestionamento strade, sviluppo del porto e reinsediamento industriale con un volano positivo incredibile.

    Continuare a inseguire modelli stracotti senza guardare alla conversione modale del paese è suicida. Lo insegna la Storia Industriale.

    Ergo, invito chi scrive di ferrovia a informarsi prima di scrivere. Anche sui blog.
    Grazie

  9. Francesco Ramella

    @Guido_G
    I dati parlano chiaro. Ma bisogna saperli (e volerli) leggere
    1) Prendo atto che nessun dato viene da Lei fornito per dimostrare che il riequilibrio modale dalla ferrovia alla strada avrebbe un qualche apprezzabile impatto sull’inquinamento.
    2) E’ facile dimostare come gli investimenti in nuove linee ferrroviarie avrebbero effetti del tutto trascurabili su sicurezza e congestione. Per quanto riguarda la congestione, è sufficiente valutare quale sarebbe l’effetto sulla riduzione del traffico stradale anche a seguito di una strepitosa crescita di quello su ferrovia. I numeri sono indicati nell’articolo.
    3) A fortiori, se l’effetto sul traffico è modesto, lo è quello sulla sicurezza. A tal riguardo è poi necessario sottolineare come negli ultimi trent’anni, in presenza di un forte aumento del traffico, il numero di morti sulla rete autostradale causati dai veicoli pesanti si è ridotto di oltre il 75% (da 274 a 66). Sia sulla A7 che sulla A26 gli incidenti sono stati drasticamente ridotti dopo l’introduzione del Tutor: nel bienno 2010-2011 i mezzi pesanti hanno provocato un solo incidente mortale sulla Milano – Serravalle e due sulla Genova – Voltri.
    4) A parità di risorse investite, interventi volti a incrementare ulteriormente la sicurezza stradale sono molto più efficienti di quelli destinati al riequilibrio modale: destinare risorse alla ferrovia invece che alla sicurezza vuol dire avere più morti sulle strade.
    5) Non ha alcun senso parlare di sussidi in termini assoluti. Il confronto va fatto in rapporto ai fatturati della gomma e della ferrovia. In tale prospettiva, storicamente, la ferrovia ha ricevuto sussidi molto più elevati che la strada. Ciò non toglie che sarebbe opportuno eliminare quanto prima anche i trasferimenti alla gomma. Poi, vinca il migliore.
    6) A Rotterdam, porto con un traffico container cinque volte superiore a quello di Genova, la quota modale della ferrovia è un misero 10%.

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