Ferragosto Sartori mio non ti conosco
Ieri come ogni Ferragosto, il professor Giovanni Sartori ci ha spiegato, dalla prima pagina del Corriere, che il mondo è in grave pericolo a causa della crisi ambientale. Stranamente assente dal suo pezzo la consueta enfasi sui guasti della sovrappopolazione (gli sarà nato un nipotino), resta invece la sua verve anti-americana – del resto gli Usa sono il paese che, nonostante la crisi, più e meglio di tutti gli altri incarna l’idea capitalistica, almeno in punto di percezione pubblica – mitigata solo per la vittoria di Barack Obama, grazie al quale
ci siamo liberati del “texano tossico”, del nefsto ex presidente Bush.
Sartori però deve aver letto un po’ troppo rapidamente i giornali, perché attribuisce al nuovo inquilino della Casa Bianca l’approvazione, da parte del Congresso, di una fantomatica legge anti-inquinamento. Le cose sono un po’ diverse e, almeno per ora, migliori dal punto di vista mio e peggiori da quello di Sartori. Poi il professore se la prende con Silvio Berlusconi, reo di aver detto che
Trovo assurdo parlare di emissioni quando è in atto una crisi.
Chiosa Sartori:
Sì, ma no. Perché una catastrofe ecologica sarebbe mille volte più grave della crisi in atto.
Naturalmente, non possiamo saperlo. Nel senso che ancora non conosciamo il bilancio reale della crisi in atto, compreso l’effetto dell’immensa liquidità gettata sul terreno dalle banche centrali, né quello della violenza perpetrata dai governi ai mercati a suon di stimoli. Ma soprattutto, non sappiamo cosa Sartori intenda – e più ancora, quale possa essere l’effettivo aspetto – di una “catastrofe ecologica”. Probabilmente la collisione di un asteroide col pianeta Terra sarebbe effettivamente più grave della crisi in atto, e anche di quella del ’29, e anche di tutte e due messe assieme. Ma se parliamo dell’aumento graduale e moderato delle temperature medie, chissà.
Sul futuro, taccio. Ma il passato lo conosciamo: a fronte di un riscaldamento di circa 0,7 gradi, nel ventesimo secolo il Pil pro capite medio globale è aumentato del 1700 per cento. Alzi la mano chi avrebbe preferito un mondo più freddo.
Sempre che l’innalzamento di 0,7 gradi sia legato a ciò…è tutto da dimostrare!
Senza intenzioni polemiche ma solo in quanto interessato alla questione che vorrei capire al meglio possibile. L’intervento umano genera, credo senza dubbi, inquinamento che non rimane senxza conseguenze. Interventi di urbanizzazione massicci che mutano il microclima. In alcun zone, i polmoni verdi del pianeta, il disboscamento avviene a tappe forzate. E via di seguito. Capisco che la questione sia legata alla grande discussione del riscaldamento in modi che qualcuno ritiene sufficientemente documentati ed altri no. Ma non sarebbe meglio e saggio fare attenzione alla manutenzione dell’anbiente? E questo sarebbe necessariamente contraddittorio con la crescita e lo sviluppo?
luigi zoppoli
se l’innalzamento della temperatura non e’ legato alle emissioni di co2 ,allora siamo veramente nei guai , visto che dovremmo semplicemnte adattarci a un mondo in cui le fasce arabili si spostano verso il polo e l’acuqa scarseggia … per fortuna le nazioni unite stanno facendo un bel lavoro dal punto di vista scientifico . leggetevi le conclusioni dello IPCC .
Zoppoli – Credo che sia importante non mischiare cose diverse. Quelli che lei cita sono problemi di vasta e primaria importanza, ma sono problemi LOCALI. Devono (o dovrebbero) essere affrontati localmente, caso per caso, anche se in molti casi (come per il disboscamento e la perdita di alcuni habitat) parte della causa va cercata nella scarsa o assente definizione dei diritti di proprietà. Non so se le singole soluzioni possano o meno ostacolare la crescita economica, ma sospetto che non necessariamente ciò accada. In fin dei conti, lo sviluppo abbisogna di un’infrastruttura normativa solida e orientata a proteggere i diritti di proprietà. Il riscaldamento globale è tutto un altro paio di maniche, perché in quel caso la (presunta) soluzione prevede un accordo internazionale tra governi per limitare le emissioni di gas serra, cioè, in buona sostanza, i consumi di energia. Qui sì, c’è un chiaro trade-off tra l’ambiente (ammesso che sia in pericolo) e la crescita economica.