Federalismo, democrazia, referendum — di Francesco Forti
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Francesco Forti.
A proposito di Vero Federalismo giorni fa leggendo questo articolo di NfA sono stato stimolato a riprendere le fila un tema importante su cui da tempo non rifletto pur essendo a me noto per la sua importanza. La relazione tra Federalismo e Democrazia Diretta.
Ritengo che non sia un caso che i paesi federali abbiano un’estensione maggiore degli strumenti di democrazia diretta, anche se questa estensione non è omogenea. Mi sembra un dato di fatto che tali strumenti siano maggiormente in voga ed usati nei paesi federali anche se non ho una statistica completa a sostegno. Vedo che sono previsti un po’ ovunque: Svizzera, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Austria, Germania, stati uniti. In comune nei paesi federali vi è lo strumento referendario usato localmente mentre in alcuni casi è previsto anche nel livello federale. Venendo invece a paesi notoriamente definibili come centralizzati/decentrati, come sappiamo in Italia è previsto solo uno sparuto referendum abrogativo (che esclude intere materie, in evidenza quelle fiscali) mentre in Francia è previsto come facoltà del presidente della Repubblica (Art 11) e non so cosa accada localmente.
Dove il referendum è previsto in senso esteso, esso passa dalla possibilità di proporre leggi da parte di un certo numero di cittadini (referendum propositivo) alla facoltà di confermare o meno testi votati dalla camere, agendo come camera di ultima istanza (referendum confermativo). Vi sono poi situazioni in cui il popolo può destitituire gli eletti dell’esecutivo (recall in Canada, Svizzera e USA) ed è chiamato obbligatoriamente a ratificare convenzioni internazionali o modifiche costituzionali come in Svizzera.
Esiste relazione tra democrazia diretta, federalismo e contenimento della spesa e del debito?
Per me sì ed intendo mostrarlo in quattro punti.
- Per prima cosa il federalismo suddivide il potere politico (competenze e gestione del gettito per il loro finanziamento) in più livelli, solitamente tre. Si considera che un grande potere tenda a crescere sempre di più (in modo esponenziale?) ma se lo stesso potere è suddiviso in tre, di peso proporzionalmente ridotto, la sua massa critica è più controllabile dal cittadino, soprattutto quella locale. Questo però solo in un ambito di vero federalismo, in cui il cittadino ha controllo sulla spesa, è consapevole dei costi, ed ha gli strumenti di intervento.
- In secondo luogo un federalismo che unisca cooperazione e competizione, riesce ad avere un profilo di prestazioni e di costi decisamente inferiore rispetto ad un semplice stato centralizzato che decentralizza alcune funzioni. Si parte, nel federalismo che definisco vero, dalla completa responsabilità di spesa e di gettito di ogni singola giurisidizione, relativamente ai compiti attribuiti, per arrivare, se e quando occorre, a momenti di cooperazione orizzontale e verticale che evitano di trasferire il compito tutto al livello superiore (fatto a volte oneroso). L’aspetto competitivo (fiscale) si innesta su questo premiando le soluzioni locali migliori sul piano del rapporto prestazioni prezzi. Altrimenti i cittadini, e soprattutto le aziende, votano con i piedi. Lo fanno nei fatti, soprattutto se le giurisdizioni sono piccole, ma basta l’aspetto potenziale a scoraggiare scelte sbagliate. Questo si trasforma in una stretta osservanza dell’imperativo “Keep it simple, stupid”, che non è solo qualcosa che riguarda l’informatica ma ogni sistema che tende a diventare complesso. Quindi meno burocrazia, meno leggi, meno complicazioni e freni all’iniziativa privata, meno costi pubblici.
- La democrazia diretta a questo punto interviene come ulteriore elemento e strumento regolatorio, a tutti i livelli ma soprattutto a mio avviso in quello federale, che essendo il più elevato, senza democrazia diretta non avrebbe alcun potere limitante superiore. Ed è su questo punto che avevo notato la differenza tra la crescita notevole del bilancio e del debito federale USA, dove non è previsto il referendum nei temi federali, rispetto all’ambito svizzero, che più conosco vivendoci da 25 anni. Pur considerando che gli USA sono una potenza militare, con relativi costi, osserviamo le preponderanza delle spese federali USA che sono il 50% del totale, contro 1/3 circa per il peso federale CH. Anche sulla spesa pubblica su PIL e sul debito pubblico abbiamo numeri notevoli per gli USA, ballerini a seconda di cosa si consideri ma in massima parte generati dal livello federale, e dati estremamente bassi in CH. Perché questo “elemento regolatorio”? Per due motivi:
a) il primo riguarda la sola possibilità che la legge, ad ogni livello federale compreso, sia sottoponibile a referendum. Questo implica una particolare attenzione nella formulazione della legge stessa, implica spesso una consultazione preventiva nella società civile per cogliere eventuali aspetti critici e resistenze. Le camere quindi sono attente a non legiferare troppo ed a legiferare bene.
b) il secondo riguarda l’aspetto del log rolling. In assenza di facoltà di referendum ogni politico eletto al Parlamento può tentare accordi con i colleghi, anche di altri partiti, al fine di sostenere progetti in modo incrociato. Io oggi voto a favore delle tua proposta, di cui non me ne frega nulla anche se so che costerà parecchio, perché tu domani voterai a favore della mia, a cui tengo particolarmente per continuare ad avere il sostegno del mio elettorato. Da solo non ce la faccio, tu da solo non ce la fai, in due (o più) portiamo a casa qualche cosa (e le spese si sommano). In presenza di referendum il politico può ancora tentarci ma il fatto stesso che sia possibile fare ricorso al referendum scompagina i piani. Il log-rolling è asincrono, il referendum è atto unico ed anche se due temi fossero abbinati, l’elettorato vota in base al suo interesse singolo, non alla somma. L’analisi dei 587 referendum federali svizzeri intercorsi dal 1848 ad oggi (4.6 in media all’anno) mostra che il 52% è stato rifiutato dal popolo ed il 48% accettato. Essere bloccati da un referendum quindi non è un rischio basso ma assolutamente da considerare ed evitare. E se vediamo le raccolte di firme per i referendum federali facoltativi, l’86.7% ha successo. Inoltre dagli anni ’70 del secolo scorso via, l’uso del referendum è aumentato a circa 8 all’anno e dagli anni ’90 siamo a 9 in media, sempre federali. Le percentuali di successo e bocciatura non sono cambiate ma recentemente il popolo ha deciso di essere molto più presente ed i politici lo sanno.
- Referendum obbligatori. Se le considerazioni di prima si riferivano ai referendum facoltativi, e quindi alla possibilità di stoppare leggi votate dalla camere prima che entrino in vigore (non è un referendum abrogativo, quindi) oppure di proporre leggi federali nuove ad hoc, un altro aspetto riguarda i referendum obbligatori, che sono la maggioranza. Questi referendum si riferiscono alle modifiche costituzionali ed alla ratifica delle convenzioni internazionali.
a) le modifiche costituzionali in buona parte riguardano o la diversa attribuzione di compiti tra livello federale e cantoni, e quindi un cambio del chi-fa-cosa e del chi-paga, oppure nuovi compiti, nuove imposte, modifiche di aliquote fiscali. Sì perché proprio per evitare abusi per esempio la stessa esistenza di imposte federali è scritta nella Costituzione svizzera e nel caso dell’IVA non solo sono scritte nel testo le aliquote massime ma anche la destinazione del gettito a scopi precisi. Da qui si capisce che il fatto che modifiche al testo costituzionale siano obbligatorie, con doppia maggioranza di popolo e stati membri, implica di fatto uno stretto controllo dei compiti dello stato e del suoi livelli di spesa. E questo non è che blocchi ogni aumento, anzi. Recentemente l’IVA è aumentata perché il testo costituzionale (approvato) preveda la possibilità che se le assicurazioni sociali (pensione di base) avessero avuto difficoltà il popolo era già d’accordo di aumentare l’IVA, ma solo di un certo “tot” scritto nel testo. E non oltre. Può sembrare un approccio popolare assai diffidente ed ingombrante per una Costituzione ma conoscendo i politici in generale, direi che è straordinariamente saggio. Entrambi solo quando il popolo è d’accordo.
Naturalmente tutto questo è presente anche a livello locale (cantonale e comunale) relativo ad ogni spesa pubblica e tassazione. Non ci sono limiti ed impedimenti. E non esiste quorum partecipativo. Chi non vota ha sempre torto e non somma il suo non voto al NO. Si vota su tutto, dall’abolizione dell’esercito a temi fiscali federali e locali, dalla costruzione di un ponte in un comune ad una galleria come quella del Gottardo, dal nuovo piano regolatore a Lugano all’acquisto di arei da caccia a livello federale. Qui un compendio sulle votazioni federali.
Poi nel caso concreto americano si può capire che una potenza mondiale potrebbe essere in netto imbarazzo se le sue scelte di spesa e di politica estera fossero ogni volta soggette a referendum popolare. Come sarebbe la storia mondiale se la guerra del Vietnam o la conquista dello spazio (per le relative spese) fossero state soggette a referendum? Diversa, forse sì. Peggio o meglio è opinione personale ed ognuno può immaginare lo scenario che più gli aggrada.
Conclusioni
Va da sé però che pur prendendo spunti analitici da mondi lontani (USA) e vicini (Svizzera) guardiamo all’Italia. Conosciamo la nosrta realtà: politici e popolo. Cosa significherebbe il referendum da noi? Il rischio di “derive plebiscitarie” come ossessivamente paventava il PCI? Oppure un maggiore e migliore controllo sui politici e la spesa pubblica? Osservando un popolo che è senza dubbio facile preda del populismo e della demagogia probabilmente molti saranno scettici.
Tuttavia se c’è un aspetto da sottolineare sui referendum è la loro funzione educativa. Vale la pena di ricordare il caso del referendum Schwarzenbach del 1970, quello che voleva limitare al 10% gli stranieri, il 54% dei quali allora erano italiani. Inizialmente si temeva, per i vari sondaggi, che il referendum (populista e razzista) potesse avere successo. La discussione fu ampia, accesa e approfondita; il 75% partecipò (un vero record elvetico) e Schwarzenbach fu sconfitto. Invece di tacitare il referendum, rendendolo inammissibile, la popolazione discusse ed arrivò alla fine ad un esito diverso da quello inizialmente previsto. Si può in effetti sostenere che il referendum stesso, per il solo fatto di essere tenuto e di obbligare la popolazione ad una presa di posizione responsabile, implica una presa di coscienza ed una maturazione. In senso antipopulista. Questo varrebbe anche sull’euro? Con i referendum l’Italia migliorerebbe o peggiorerebbe? Io sono ottimista.
Considero che il referendum propositivo e confermativo sono entrambi strumenti non solo per il contenimento dell’invadenza dello stato ma anche per lenta e graduale maturazione di un popolo attraverso le prove collettive a cui è chiamato, un po’ come le tragedie greche di un tempo. Si prede una decisione e difficilmente si torna indietro.
Per favore, dedicate una puntata su Radio 24 a come funziona l’istituto del recall? L’avete già fatto? Si può sperare di introdurlo in Italia, o dobbiamo definitivamente attrezzarci per andarcene fuori?
Grazie
Personalmente sono a favore di un maggior uso del referendum in Italia, soprattutto per modifiche costituzionali, legge elettorale e tematiche etiche come matrimoni gay, eutanasia etc. Mi paicerebbe pure un referendum sull’Euro ma qui voglio fare una provocazione: far votare solo under 50. Non credo sia lungimirante far votare su una questiona macroeconomica di cosí lungo termine persone che hanno ormai concluso la parte attiva della propria vita
Ottimo articolo chiaro e condivisibili sono assolutamente convinto che l’Italia ha bisogno di questo federalismo accompagnato da un buon sistema referendario complimenti.
Direi che è quanto meno fragile, molto fragile sul piano teorico il tentativo – non dirò la pretesa – di stabilire una correlazione tra concetti quale stato federale/unitario e grandezze come spesa pubblica/Pil o debito pubblico/Pil. Senza addentrarsi in difficili disamine teoriche, basti rilevare la semplice evidenza empirica che pone in totale contrasto p.es. Svizzera e Stati Uniti, passando per il Canada. Questi tre ordinamenti hanno un rapporto debito/pil pari rispettivamente a 46,7, 107,2, 87,5% (http://it.wikipedia.org/wiki/Stati_per_debito_pubblico). Già questo basta a evidenziare come, a parità teorica di ‘tipo’ di stato (federale), si riscontrano valori della massima differenza sul piano del debito pubblico – lascio da parte la spesa – che vanno dalla relativa virtuosità della Svizzera ad una situazione piuttosto critica degli USA (sostenibile peraltro per motivi del tutto peculiari). A ciascuno di questi livelli di debito si possono tranquillamente riscontrare altri tipi di stato che sono indifferentemente più o meno accentrati, dunque assai discutibile è la significatività della correlazione qui prospettata.
Men che meno scomoderei gli istituti di democrazia diretta, o meglio le forme di partecipazione popolare alla democrazia rappresentativa. Andrebbe fatta un’analisi storica delle cause dell’assenza di referendum federale negli USA (ma anche in Germania).
Non si tenta poi neanche di dimostrare perché, se il meccanismo di log rolling vale tra i politici – io voto la tua spesa se tu voti la mia, e pazienza per le conseguenze – esso non dovrebbe valere a livello popolare. Non voglio dire che il ceto politico sia più riflessivo, ma anche l’asserzione del contrario mi pare indimostrata. Controprova brutale: vogliamo immaginare referendum propositivi di spesa o di imposta nell’Italia di oggi 2013? Facciamoli! Ce la sentiremmo di dire che, a una stessa tornata referendaria, gli elettori di cdx voterebbero ‘illuminati’ contro l’abolizione delle varie micro e macro-patrimoniali, mentre quelli di sx e M5S sarebbero contrari all’introduzione di un reddito garantito ‘di cittadinanza’ in quanto troppo oneroso per le casse pubbliche? O immaginiamo che si accorderebbero tra loro al fine di stabilire un patto virtuoso (tu blocchi il taglio irresponsabile e io in cambio freno lo spreco insostenibile)? Non credo proprio: ciascuno voterebbe per l’incremento di spesa o il taglio di imposte di proprio immediato interesse, senza troppo badare alle conseguenze di bilancio (appunto: non “l’elettorato” che in quanto tale non esiste, ma ciascun segmento di elettorato voterebbe in base al suo interesse ‘singolo’, non al complesso della posta in gioco). Su questo, peraltro, checché se ne dica, assai poco influisce la distinzione stato federale/regionale/unitario.
Vero tuttavia che in diverse occasioni anche l’elettorato di paesi democratici – es. Italia, scala mobile – ha dato prova a sorpresa di resistere alla demagogia populista. Ma appunto, non c’è bisogno di federalismo per questo. Piuttosto sommaria e ingiusta peraltro la definizione di ‘sparuto’ per il referendum abrogativo italiano. Lo è diventato per una somma di circostanze – giurisprudenza cost. iperrestrittiva e contraddittoria, quorum con giochetti politici conseguenti, inattuazione delle modifiche approvate – al punto da rendere inservibile, questo sì, un istituto per nulla sparuto ma per molti versi illuminato.
Non si chiarisce poi cosa debba significare il fatto che in Svizzera il 52% dei referendum dal 1848 ad oggi è stato respinto mentre solo il 48% accettato. Per usare tale constatazione come conforto alla propria tesi di partenza, occorrerebbe dimostrare puntualmente quali e quanti di questi quesiti determinassero effetti immediati di finanza pubblica, e quali e quanti di questi siano stati vinti o respinti proprio a seconda che fossero ‘virtuosi’ o meno sotto questo profilo.
Serve invece concorrenza fiscale, su questo non c’è dubbio. Serve una radicale modifica della ‘costituzione economica’, serve la fissazione al più alto livello di limiti e tetti alla spesa e alla pressione fiscale.
Comunque analisi molto interessante.
In parziale risposta a Jan, sul tema del perché la scelta popolare via referendum non comporta il logrolling ritengo che la dimostrazione piu’ classica sia contenuta in “Il calcolo del Consenso” di Buchanan, James M. and Gordon Tullock ( http://www.econlib.org/library/Buchanan/buchCv3.html ). Sicuramente potrebbe servire un’analisi piu’ approfindita sui temi accettati e respinti e quali con impatto sulle finanze pubbliche ma chi vive in Svizzera su questo ha già un certo “feeling” ricordando quante volte l’IVA è stata bocciata prima di essere accettata (ovviamente con le correzioni che l’hanno resa accettabile). Il problema infatti è di tipo “potenziale”. Il legislatore sa che la legge puo’ essere bocciata dal popolo e si regola di conseguenza. Alla fine quello che conta è il risultato (bassa pressione fiscale, basso indebitamento) e che il popolo abbia la possibilità di intervenire come “camera di ultima istanza”.
Se dove questa possibilità non esiste la spesa pubblica è piu elevata, è chiaro che non esiste ancora “prova provata” sul piano statistico perché il campione di riferimento (i paesi federali e/o paesi con forte DD) è troppo piccolo per fare considerazioni con un rigore di tipo matematico. Rimane pero’ un’opinione abbastanza forte (e Buchanam di dimostrazioni ne mette piu’ d’una) e da approfondire.
Grazie per l’approfondimento, che mi chiarisce almeno una parte dei dubbi. Confermo che James M. Buchanan, recentemente scomparso, è un fior di studioso, uno di quelli che lasceranno una traccia duratura e non solo in quanto premio Nobel (tra l’altro si considerava debitore del grande italiano De Viti De Marco). Pur non essendo io un economista ma un giurista-cultore di diritto costituzionale, lo ritengo fondamentale per i suoi studi liminari tra le due discipline, che mi propongo da tempo di approfondire.
Sulla Svizzera ho solo da apprendere. Certo l’idea che gli elettori si possano opporre a iniziative di taglio ad es. dell’Iva è intrigante, e farebbe cadere in contraddizione la diffidenza con cui i costituenti del 1947 esclusero le leggi in materia tributaria dal referendum abrogativo ex art. 75.
In Italia, la Corte cost. non ci ha fatto votare neanche sulle ritenute fiscali alla fonte per i dipendenti.
A Mr Giannino chiedo: non Le sembra che quello che è avvenuto nel PDL e “venduto” anche dal PDL come una scissione bella e buona contrariamente trattasi di una vera e ben pilotata “alchimia politica” concordata fra PDL + PD+ Colle per salvare non solo capre e cavoli ma la faccia politica dei predetti PDL+PD+Colle alfine di poter procrastinare tutto e forse per permettere al Berlusca di salvarsi via la “cruna dell’ago” con buona pace e salvaguardia di e per tutti? Alfano “orfano anomalo e gaudente” di Berlusca potrà continuare a spalleggiare Letta( Berlusca docet?) il quale così stando le cose, salva la faccia nei confronti di tutta la sinistra e cioè continuerà il suo mandato senza l’appoggio del PDL-infatti Alfano non è più PDL- PDL che, nel frattempo, ha provveduto a “liftarsi” e nel contempo il Berlusca -Forza Italia-, potrà fare opposizione tranquillamente senza nessun vincolo politico con gli italiani della destra. Vincolo dettato dal fatto che i suoi, erano governativamente partecipi e dicisionali. Come vedete pure “quà” si usa il…….io dò una cosa a te e tu dai una cosa a me…..o se credete l’ ancora più famosa…..faccite ammuina……di Ferdinanda memoria od ancora….invertendo l’ordine dei fattori il prodotto non cambia? E così sia
Ke Linse
Guardi che ha postato fuori luogo. Non so se Giannino risponda in assoluto, ma dubito lo farà qui.
Nel referendum sull’ “acqua pubblica” il 53% degli elettori ha votato per avere più Stato…
Già, il 53% degli elettori. E quale percentuale sui votanti?:(