“Facciamo come gli USA”, dicono quelli che di flessibilità spesa e tasse americane non ne vogliono sapere
Gli Stati Uniti crescono nel terzo trimestre 2014 del 5% su quello dell’anno precedente, l’Europa stenta a raggiungere l’1%, l’Italia chiuderà il 2014 con un Pil tra -0,3% e -0,4% , e oggi nessuno si azzarda a credere che nel 2015 potrà andare oltre il mezzo punto. Facciamo come gli States, verrebbe da dire. Renzi lo ha twittato subito, dicendo che l’Europa in quanto tale deve cambiare verso, sposando la via della crescita e degli investimenti al posto di quella del rigore. Sembra facile. Fare come l’America significa infatti alcune cose che alla politica antirigorista piacciono ormai per definizione. Ma soprattutto tante altre che alla politica europea, e soprattutto italiana, piacciono per niente.
Cominciano da quelle “popolari”. Da destra a sinistra in Italia oggi molttissimi ripetono che la cosa che più ci manca per “fare come l’America” è una bella banca centrale che usi il torchio monetario e batta moneta a palate, e quando non basta compri carrettate di titoli privati, bancari e pubblici per sostenerne il prezzo e il reddito che ne ricavano i possessori. Ah, se la BCE di Mario Draghi lo capisse e decidesse di fare come la FED!
E’ facile? Non si tratta di volontà della BCE, visto che gli statuti e gli obiettivi delle due banche centrali sono diversi. La FED ha come obiettivo il miglior tasso di crescita non inflazionistico con la più elevata occupazione e utilizzo degli impianti ottenibile rispetto a quella potenziale ma tale da non arroventare i prezzi. La BCE ha invece come obiettivo la stabilità dell’euro e un’inflazione non oltre il 2%. Bisognerebbe dunque modificare l’obiettivo della BCE cambiando il Trattato europeo e lo statuto. E passare dall’inflazione annua al 2% – che la BCE come si vede non riesce a garantire – a un obiettivo costituto dal prodotto nominale, cioè dalla somma dell’andamento del Pil reale più l’inflazione anzi oggi meno, visto che il rischio deflazionistico è realtà. Solo in quel caso, potremmo avere una BCE iper interventista sui mercati come la FED, che è arrivata ad avere asset per 4 trilioni di dollari nel suo bilancio mentre la BCE stenta oggi a passare da 1 trilione di euro a 2.
Praticamente si ferma a questo, il ritornello anti-euro che indica il modello americano come quello da seguire. Ma la crescita “reale” americana si deve solo in minima parte all’euforia di Borsa grazie agli acquisti FED, con l’indice DOW che sfonda il tetto di quota 18mila e macina massimi storici ogni 3 mesi. Se osserviamo che cosa spinge verso l’alto gli Stati Uniti nel terzo trimestre, la componente più significativa sono i consumi. Quelli delle famiglie crescono più del 3% (e la componente più elevata si deve alla spesa per regolarizzarsi nello schema sanitario Obamacare). E quelli delle imprese crescono stellarmente in alcuni settori “sensibili” alla fiducia in una ripresa ormai solida, come attesta il +11% nei nuovi macchinari e il +8,8% in ricerca, sviluppo e software.
Il fatto che negli States i consumi “tirino” il Pil molto più che da noi dipende storicamente dal fatto che è quella la molla essenziale per ogni paese-impero, non l’export come nel nostro caso di piccola nazione trasformatrice. Ma quel che conta di più è l’assenza di alcuni potenti disincentivi che invece da noi frenano velocità e int6ensità con cui i consumi possono ripartire. Quei disincentivi sono essenzialmente il maggior peso dello Stato del nostro modello economico europeo, e massime poi di quello italiano.
La media delle entrate federali sul PIL USA è del 17,4% tra il 1974 e il 2014 (sommando quelle statali e locali si supera il 30%), e quella delle spese federali è del 20,5% con una punta fino al 25% nel 2009 per effetto della crisi (nel 2009-2010, sommando spese degli Stati e locali si è giunti al 37%). In Italia il totale delle entrate è tra il 48 e il 49% del Pil, e la spesa tra il 50 e il 51%.
Da noi per preservare il rientro del deficit pubblico scattano automaticamente aumenti di tasse, e anche il governo attuale tra 2016 e 2018 prevede 30 miliardi di IVA e accise aggiuntive. Negli Stati Uniti, il debito pubblico non può aumentare a piacere come da noi ma c’è un limite quantitativo votato dal Congresso: se si sfora, scatta automaticamente non l’aumento delle tasse ma il cosiddetto sequester della spesa pubblica, cioè voci intere per punti di Pil della spesa pubblica vengono in alcuni casi congelate, e in tanti altri si riducono automaticamente e drasticamente. Nel 2013 è accaduto: statalisti e keynesiani dissero che in quel modo l’America si sarebbe piantata. Invece grazie a secche riduzioni di spesa automatiche il deficit federale è sceso da oltre l’11% a meno del 5%, e oggi scenderà ancora, grazie alla ripresa travolgente del Pil che è seguita ai tagli di spesa senza aumenti di tasse.
Al contempo, se in questi ultimi mesi grazie alla creazione di oltre 250 mila nuovi posti ogni 4 settimane il tasso di disoccupazione USA è sceso sotto il 6% cioè meno della metà del nostro (un tasso che la FED aveva indicato come soglia oltre la quale tornare a rialzare i tassi, e la scommessa e quando lo farà nel 2015), è anche vero che il tasso di occupazione è sceso al 65% cioè ai minimi dai primi anni Settanta, quando superava il 72%. La nuova occupazione è soprattutto a tempo e a basso costo, e in questo modo le imprese hanno ricostruito i loro margini prima di riscattare in avanti: ma questo fenomeno riguarda tutto il mondo del lavoro USA tranne i settori hi-tech e le posizioni apicali, perché il mercato del lavoro non è ingessato come il nostro tra garantiti e non garantiti. Col risultato che nelle crisi in America si aggrava la differenza di reddito tra chi sta in alto e chi in basso, ma si riparte prima tutti perché le imprese hanno margini di manovra sul costo reale e sul miglioramento del CLUP che a noi sono sconosciuti, per il peso del cuneo fiscale e l’asimmetria delle tutele. Siamo per finta più egualitari degli americani – per finta visto che autonomi e giovani continueranno a non godere delle tutele di chi aveva il vecchio articolo 18 – ma siamo enormemente più lenti a creare nuovi posti di lavoro, perché le imprese sono appesantite da piombo che in America manca.
Infine: gli States hanno lo shale gas e shale oil che in 6 anni ha fatto crescere di 5 milioni di barile-giorno la loro produzione di petrolio equivalente e noi non ce l’abbiamo, e non hanno un fisco rapinoso come il nostro sui carburanti visto che all’altroieri il prezzo medio in USA di un gallone di benzina era di 2 dollari e 39 centesmui, cioè 50 centesimi di euro al litro.
E soprattutto: gli States hanno mercati del lavoro, dei beni e dei servizi con le stesse regole, che funzionano da vasi comunicanti consentendo ad attività e lavoratori di spostarsi a seconda del ciclo e dei prezzi laddove è più vantaggioso. Esattamente ciò che i politici anti-euro, nazionalisti e autarchici come sono, da noi non vogliono neanche se li spari.
Innanzitutto auguri di buon natale a lei e a tutti i lettori.
La lezione americana è importante perché gli USA, nonostante che Obama abbia cercato di “europeizzare” gli USA, hanno una burocrazia molto più snella e che pesa infinitamente meno sul bilancio degli Stati come su quelli delle imprese.
Il calo dei prezzi dei combustibili per gli utenti finali hanno avuto un effetto di stimolo non indifferente sull’economia USA. L’effetto sui costi di produzione, di trasporto e sui consumi e equivalente ad aver ridotto l’imposta sul valore aggiunto.
Da noi, invece, niente di tutto questo. Anzi, si parla solo di nuove tasse, di maggiori complicazioni burocratiche e normative e di maggiore spesa pubblica, tutte cose che fanno fuggire gli investitori e puniscono i consumatori. Eppure il calo del petrolio e – in misura minore – di quello del gas sono significativi anche tenendo presente il minore rapporto di cambio fra euro e dollaro.
Coloro che parlano di finanziare a debito la riduzione fiscale sono in malafede; oggi – in periodo di tassi infimi – se ne va in interessi più del 5% del PIL (la Germania è poco sopra al 2%). Inoltre finché non ridurremo la pressione fiscale snellendo il settore pubblico ci sarà solo recessione o, al meglio, stagnazione economica.
Oscar, non si può fare sintesi, per capire bisogna scrivere un libro. Oltre al tutto vero che hai detto, senza velleità di essere esauriente hai dimenticato
-il numero di politici (includendo confindustria e sindacati che appartengono a costi non produttivi io dico che sono un italiano su 6 certamente (quasi su 5)
-non hai detto quanti livelli di snodi decisionali (con notevoli strumenti di interdizione quindi di “lubrificazione” o tangenti) dai comuni, comunità, province, regioni, e molteplicità di ministeri coinvolti
-non hai detto la mediocrità della classe dirigente sostanzialmente integrata nelle pastoie politiche anche nelle industrie “private” più o meno sovvenzionate (dall’ufficio tecnico comunale per il capannone o i visti ai contributi consortili dall’acqua all’energia, alle sovvenzioni vere e proprie)
. da cui una incoltura scolastica, universitaria, sociale che non pensa nemmeno al merito reale ma a quello relazionale
SOLO QUESTI 3 PESANO MOLTO Più DEI TAGLI AUTOMATICI E DELLO SHALE
SOLO PARTENDO DA QUESTO SI TROVA IL NOCCIOLO DUURO PER CAMBIARE LENTAMENTA Mentalità E COMPORTAMENTI
la misera fine di FARE è la tragedia vera dei mediocri che ci affliggono
Caro amico, innanzitutto buon anno, poi una breve cosiderazione sul “facciamo come gli USA” , chi l’ha scritto, non essendo stupido, è in malafede marcia. Chi si trova da anni a dirigere istituzioni di questo disgraziato paese sa bene che per “fare come gli USA” è necessario prima demolire il moloch dello stato italiano e tutti quelli che ci mangiano sopra ed intorno. Tutto quello che hai scritto è evidente da molti anni e, penso, noto ai mediamente informati, ma i comportamenti della politica vanno SEMPRE nella direzione che ci ha portato al disastro ( forse per pietà non hai citato i dati sulla disoccupazione ). Dunque tutti sappiamo, e sanno, quale sia la situazione; quale sia il risultato di scelte esattamente opposte alle nostre; andate a guardare la legge di stabilità 2015 e ditemi : perchè ci prendono in giro così clamorosamente?