22
Ago
2009

Exit strategy, tasse ed evasione

Se si tratta di deficit pubblici, tenere elezioni politiche in tempi ordinari può rappresentare un freno: le parti politiche si sforzano almeno a parole di presentare piattaforme di riduzione. Ma andare alle urne in tempi di crisi può anche sfociare nell’esito opposto, perché partiti e coalizioni “temono” di apparire agli elettori troppo frenati sulle misure di sostegno alla domanda e all’offerta. Vedremo presto in Germania come e se il voto contribuirà a definire un abbozzo almeno di exit strategy dall’alto deficit e debito pubblico – vedi articolo dell’Economist. Ma almeno sino a questo momento il tema fiscale non è stato propriamente al centro dell’arena elettorale tedesca. Quanto all’Italia, dall’attuale governo è in corso la più che prevedibile pressione mediatica antievasori, in vista dello scudo fiscale: ma sui fondamenti regna la notte fonda, e vengono diffusi studi che a mio giudizio sono infondati. Dobbiamo davvero morire ancor più tassati di prima, per colpa della crisi? Vediamo meglio.In Germania, è evidentemente per la diffusa – ma attenzione: minoritaria – preoccupazione fiscale che i liberali della FDP di Guido Westerwelle sono risultati in costante ascesa nelle ultime tornate elettorali locali. E’ infatti l’unico partito tedesco a proporre in vista delle prossime elezioni politiche autunnali una secca potatura all’aliquota marginale sulle persone fisiche, oggi al 42%. La FDP  mira a riorganizzare l’intero sistema su tre soli scaglioni, 10% 25% e 35%, “liberando” risorse dallo Stato a vantaggio dei privati e del loro impulso alla crescita. Finora la CDU ha promesso anch’essa un manifesto fiscale più favorevole al contribuente. Ma non  è andata oltre la proposta di abbassare l’aliquota più bassa dal 14% al 12%, e di porre quella del 42% a una soglia di reddito maggiore dell’attuale.  Con un deficit pubblico tedesco che si presenta prossimo al 5% del Pil quest’anno e verso il 6% l’anno prossimo, e con un debito pubblico in ascesa dal 66% del Pil precrisi a oltre l’80%, una simile mancanza di chiarezza agli elettori rende davvero difficile credere che la Germania sarà poi in grado di adempiere all’obiettivo che essa ha recentemente posto attraverso un emendamento nella sua stessa Costituzione: che entro il 2016 il deficit federale al netto del ciclo sia ridotto allo 0,35% del Pil,  e quello dei 16 Laender azzerato al 2020.

Ma se Berlino piange, Roma certo non ride. Ogni giorno ormai i due quotidiani di punta del centrodestra innalzano peana a Giulio Tremonti che finalmente stana gli evasori senza abbassare le tasse, e nomi che ci sono cari come quello di Francesco Forte si spendono per tesi di circostanza abbastanza risibili, come quella odierna sul Giornale per la quale a identificare gli evasori tra l’Italia e gli Usa vince l’Italia. Almeno Antonio Martino non demorde, e su Libero continua a sparare ogni volta contro le esose e inefficienti pretese del fisco. Ma è rimasto solo, praticamente. Al contrario, anche sotto l’attuale governo dal sito del ministero dell’Economia vengono diffusi studi come questo, pubblicato tra i working papers del Tesoro. Bruno Chiarini ed Elisabetta Marzano dell’università Partenope di Napoli, e Friedrich Schneider dell’Università di Linz, affrontano un tema essenziale ma giungono a conclusioni assolutamente opinabili: anzi del tutto non condivisibili, per quanto mi riguarda.

Gli autori scandagliano la differenza tra pressione fiscale apparente e pressione fiscale reale, e su questo convergo pienamente, lo scrivo da anni e aggiorno anch’io un mio dato estrapolato. Un conto infatti è seguire l’evoluzione della pressione fiscale sul Pil nazionale come calcolato dall’Istat, che dagli anni Novanta vi ingloba (secondo metodologie che non mi convincono, l’ho più volte spiegato) un calcolo approssimato dell’economia in nero italiana (in crescita tra il 15% di fine anni Novanta, e il 16,8% del Pil attuale). Altra cosa è applicare il numeratore del gettito raccolto al denominatore dal quale esso si ricava concretamente, cioè l’economia emersa di chi le tasse le paga: è quella e solo quella, la pressione fiscale reale. Essa è in media di circa 11-12 punti maggiore di quella dichiarata dalla contabilità nazionale, dunque attualmente intorno al 54% del Pil “rosso”, fatto da noi che le tasse le paghiamo. È ovvio che alla politica e allo Stato convenga molto che la pressione fiscale dichiarata sia quella apparente e non quella reale, perché in questo modo l’Italia resta altissima nelle classifiche del prelievo internazionale ma non svettante di molti punti, come altrimenti sarebbe. Su questo primo argomento, condivido pienamente la traccia di ricerca dei tre autori.

Essi passano poi a un secondo tema, stimano secondo una propria metodologia l’evasione fiscale. Per poi passare a un terzo, interrelare pressione fiscale “reale” ed evasione stimata, al fine di verificare se esista una connessione tra aumento della pressione e crescita dell’evasione. Sul metodo adottato al punto due non sono affatto d’accordo, ed ecco perché considero largamente fuorviante la conclusione dello studio: secondo la quale, a conforto delle pretese dei governi tassatori di ogni colore – e dunque anche dell’attuale – non esiste correlazione tra aumento della pressione ed  aumento dell’evasione.

I tre studiosi adottano per la stima dell’evasione un criterio derivato dalla stima della base imponibile IVA e dal relativo gettito evasi, stima elaborata annualmente dall’Agenzia delle Entrate per differenza tra l’imposta indiretta raccolta, e gli input su cui essa grava misurati secondo le cifre nello stesso anno rilevate dalla contabilità nazionale. È un sistema, come riconoscono del resto gli stessi autori, molto rozzo, e che porta poi a quei 200 miliardi di euro di imponibile non dichiarato che ultimamente l’Agenzia delle Entrate “spara” nelle sue stime annuali. Perché è un sistema rozzo, al fine almeno che qui ci si propone? Perché l’IVA, per le caratteristiche ormai “storiche” delle sue strutture di aliquota, è la componente mediamente meno elastica al variare della pressione fiscale “reale” (tranne che per l’elasticità dei consumi finali).  Se non siete appassionati ai particolari, accontentavi di guardare con i vostri occhi due grafici: mentre in figura 2 la pressione fiscale “reale” passa da poco superiore al 40% a inizio anni Ottanta ad oltre il 50% negli anni recenti, la stima di base IVA evasa sul totale imponibile rilevata negli stessi anni  dall’amministrazione tributaria in figura 1 scende addirittura, passando da più del 34% a poco più del 30%.  Con questo criterio, deliberatamente si tiene da parte tutta la componente di evasione da redditi di persone fisiche rispondente a variazioni – quelle assai più frequenti delle aliquote IVA –  delle aliquote marginali, delle deduzioni d’imponibile personali e familiari sotto il centrodestra, e delle detrazioni d’imposta sotto il centrosinistra. Diventa così comprensibile credo anche ai non addetti ai lavori, che su questa base la conclusione dei tre economisti sia che in realtà l’evasione fiscale italiana mostri delle componenti di regolarità di lungo periodo assolutamente non dipendenti dalla pressione reale elevata, perché a un suo variare verso l’alto o il basso l’evasione si riallinea restando stabile.

Di altri studi e parametri, ci sarebbe bisogno. Faccio presente che la pressione fiscale ufficiale in Italia è passata dal 28% del Pil negli anni Settanta al 43% del Pil nel 1999 (e da allora purtroppo siamo lì inchiodati, frazione di punto in più o in meno): cioè è aumentata in due decenni di oltre il 50%. Un vero e proprio shock, in termini di disincentivo di massa sul lavoro, consumo e  risparmio degli italiani. Purtroppo – in questo Stato che ha contabilità nazionale e stime accettabili solo per gli ultimi decenni – manca ogni stima anche solo approssimativa dell’evasione fiscale precedente. Ma una vastissima letteratura, sia pur non econometrica ma sociologica e di costume, converge nell’indicare che l’evasione italiana esplode da fine anni 70 e poi negli anni 80, per effetto dell’instabilità italiana crescente, ma anche delle aumentate pretese dell’ordinamento, che a fasi alterne fa seguire alla continua crescita di spesa pubblica e debito “strappi” decisi e non graduali verso l’alto del prelievo (vedi da ultimo quello dei primi anni Novanta, dal 38 al 42%). Con l’assenza di correlazione tra pressione ed evasione, gli economisti del mainstream battono le mani alla lotta all’evasione e offrono ai politici esattamente ciò che essi vogliono sentirsi dire: che il problema è il dannato carattere di quei delinquenti atavici degli italiani, non l’oltre 50% del reddito che lo Stato pretende in cambio di servizi ed efficienza da Quarto mondo.

You may also like

“Paradise Papers”: dov’è lo scandalo?
Quer pasticciaccio brutto dell’obbligo di Pos
La Legge di stabilità, ovvero come ignorare il merito per finanziare gli sprechi
“Coi soldi dell’Imu mi compro la vaselina”

6 Responses

  1. Franco Bocchini

    Ecco, Oscar, questa è esattamente la questione che dovremmo mettere sempre in primo piano, a prescindere dai problemi contingenti. Battere sul tema con perseveranza ed intensità, sbugiardando ad ogni minima occasione le frottole di provenienza governativa – qualunque sia il governo in carica – e politica in genere. Dati ed analisi alla mano, ma nel modo più semplice e divulgativo possibile, perché la cultura economica media è drammaticamente carente e si rivela perfettamente per quello che è nei commenti dei lettori ospitati da tutti i quotidiani: una rancorosa (e disarmante per la sua pochezza) sequela di contumelie riservate al “nemico del popolo”, quella figura mitica ch’è sempre altra da noi. Il mostro Evasore, colui ch’è colpevole d’ogni male e mina la stessa convivenza civile.
    Sbugiardare, dicevo. A partire dalla pioggia di dati sparati acriticamente dai media, con i quali Agenzia delle Entrate e Guardia di Finanza vantano successi inenarrabili – veri tesori scoperti e raccolti che, sommati, consentirebbero persino incrementi della già scandalosa spesa pubblica, se fossero veritieri anche solo in parte ….. – sempre, inesorabilmente, decimati alla conclusione del contenzioso. Alla faccia del truffaldino termine utilizzato: “accertati” …….

  2. Non sono esperto di economia. Tuttavia ho inziato un blog che ne vuole parlare perchè particolarmente sensibile all’argomento e spinto dall’esigenza di divulgare una cultura che rispetti chi cerca di creare lavoro e quindi benessere sociale. Purtroppo la lotta all’evasione è solo un cartello elettorale cavalcato più volte dalle varie fazioni politiche per ottenere i voti degli invidiosi. La gente non comprende, per esempio, che molte attività economiche vivono solo pechè in nero e non potrebbero mai emergere con l’attuale pressione fiscale. Così le varie politiche fiscali finiscono solo per inasprire la pressione per chi già paga le tasse impedendo sempre di più, a chi volesse, di mettersi in regola. Credo che per capire questo non bisogna essere degli economisti, eppure come diceva nel precedente commento, Franco Bocchini, è tangibile che da parte di molti Italiani vi è un insano ed incomprensibile rancore per “Il mostro Evasore”. Eppure senza quegli evasori molti Italiani non avrebbero di che mangiare.

  3. eonia

    Sicuramente non sono fra i soggetti che naviga nei siti dell’agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza anche se conosco il liev motiv della cronica evasione fiscale di cui parla Giannino e che voglio ringraziare del suo lavoro.
    Sicuramente la cantilena dell’evasione ormai è stata suonata in tutte le note da tutti i governi in modo da renderla una stucchevole nota, anche per chi è privo di questa specifica conoscenza.
    Sicuramente però conosco gli sviluppi che questa crisi ha prodotto su tutte le economie occidentali europee. Tutti gli stati stanno scovando evasori come fossero funghi spuntati dopo la pioggia. Ed in effetti lo sono, fra la necessità di coprire deficit e debito ormai in ascesa inarrestabile, con pressione ormai da rapina e con limitata capacità di ulteriore aumento diretto delle aliquote, sembrerebbe il modo più elegante per coprire inefficienze e sprechi prodotti della casta dominante.
    Il cittadino è il delinquente e loro con il bagno purificatore dei parametri auto imposti le guardie celestiali dei bilanci statali.
    Bilanci che ogni volta che sono presentati sono pieni di innumerevoli omissioni ed aggiustamenti come regolarmente si scopre post esame.
    Se non altro sappiamo cosa serve Bruxelles. Sede di mediazione continua fra direttive e stati sovrani.
    Perfino la Germania ormai scova evasori nel suo territorio.
    Chi sa perché l’uomo di strada cerca di evadere. I misteri delle classi subalterne.

  4. stefano

    In parole semplici clientelismo e ipocrisia ci toglieranno anche le mutande. Aveva ragione Reagan quando, parafrasando la pubblicità dell’American Express, diceva: “se date loro la vostra carta di credito non usciranno più senza”.
    Nessuna speranza di cambiare fascia di reddito quindi: chi è povero resta tale, bisogna salvare i TBTF. Ci vuole un’altra “marcia dei 40’000”, contro le tasse (e le banche), o qui continuando a sperare che abbiano pietà di noi faremo la fine della rana bollita.

  5. @stefano
    Hi Stefano…facciamo un passo avanti: tagliare le tasse significa ablare con dovizia crani tra i 3,7M culi della PA (fonte Brunetta).
    Arnold “TERMINATOR” docet in quel di CAlifornia.
    Dopo sara’ possibile intervenire sulle tasse.
    Per inciso, ce la menavano con il “pagare meno, pagare tutti”, nell’ultima versione Weltroniana.
    OGGI, qui ed ora, dopo scudi spaziali e recuperi fiscali galattici millantati…..di quanto diminuiscono le tasse ?
    La retorica domanda ha come risposta: NULLA, perche’ non abbiamo tagliato alcuna testa nella Pubblica Amministrazione.
    Serenissimi Saluti.
    Martin-Lutero.blogspot.com

Leave a Reply