Europeisti, cioè socialisti e “no global” – di Dario Ciccarelli
Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Dario Ciccarelli.
Il mercato globale sta dimostrando ogni giorno, in modo sempre più eloquente, che la costruzione comunitaria, così com’è, non ha senso. Di fronte a tale consapevolezza, in Italia gli europeisti, il Presidente Monti e il Presidente Napolitano in primis, affermano con convinzione che l’Italia non ha altra strada che spingere verso la costruzione di uno Stato europeo. I non-europeisti, dal prof. Savona all’on. Berlusconi, dal canto loro si mostrano orientati a percorrere la strada che porterebbe l’Italia a riprendersi la propria autonomia monetaria, politica e giuridica e quindi, recuperando in pieno lo status di nazione, a legarsi alle altre nazioni non attraverso il sistema UE (fondato sulla centralità della tecnostruttura della Commissione Europea) ma attraverso le Organizzazioni Inter-nazionali (fondate sugli accordi tra le Nazioni).
Va operata una precisazione: per gli europeisti lo Stato europeo non è in sé politicamente neutro, cioè pronto ad ospitare e rappresentare le diverse opzioni politiche che il popolo verrebbe nel tempo ad esprimere.
La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizioni più umane di vita (Manifesto di Ventotene, 22 gennaio 1944).
In analogia con altre esperienze storiche (Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche; Repubblica socialista di Romania; Repubblica socialista di Jugoslavia) lo Stato sognato dagli europeisti dovrebbe contenere nella sua struttura organizzativa (da qui la “irrinunciabile” centralità della tecnostruttura della Commissione europea) una unica opzione politica, quella socialista.
Non c’è avvenire per l’Italia se non nel rifiuto di ogni stanca tentazione di ripiegamento su illusorie e meschine rivendicazioni dell’interesse nazionale e su sterili abbandoni allo scetticismo verso il progetto europeo (On. Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica, 21 maggio 2006, Ventotene, manifestazione per il ventesimo anniversario della scomparsa di Altiero Spinelli).
Ma cosa accade nel mondo mentre in Italia si disserta sull’alternativa “Nazione italiana”/”Stato socialista europeo”?
Sul sito web dell’Organizzazione Mondiale del Commercio è riportato l’elenco, aggiornato al 10 maggio 2012, dei Membri che aderiscono all’Organizzazione. In testa all’elenco si dice che i Membri sono 155: nell’elenco dei 155 Membri figurano sia l’Italia (come pure la Francia, la Spagna, la Grecia, la Germania, etc.) che l’Unione Europea. E’ però evidente che nessuna organizzazione, né un Condominio né una società per azioni né l’Organizzazione Mondiale del Commercio, può convivere con un’ambiguità circa l’identità dei soggetti che al suo interno sono titolari dei diritti e dei doveri: diritti e doveri nel Condominio appartengono al “condomino”, nelle spa all’”azionista”, nell’Organizzazione Mondiale del Commercio al “Membro”. Tutti gli accordi dell’Organizzazione Mondiale del Commercio sono incentrati sulla condotta dei “Membri”; alcune importanti disposizioni dell’Organizzazione Mondiale del Commercio che disciplinano il “made in” si fondano sulla categoria della “country of origin” (art. IX Gatt, Accordo sulle barriere tecniche al commercio, Accordo sulle Regole d’origine).
Nella vita in concreto del sistema dell’Organizzazione Mondiale del Commercio non è dunque possibile che siano allo stesso tempo “Membri” sia l’Italia che l’Unione Europea. Nei suoi scritti l’ex Ministro Giulio Tremonti affermava: con l’Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization) “il mondo non sarebbe stato più, e non è più, come prima”. Della portata rivoluzionaria dell’Organizzazione Mondiale del Commercio si resero conto anche gli attivisti del movimento “no global”, costituitosi in occasione di una Conferenza ministeriale (Seattle, 1999) dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Ma per l’Organizzazione Mondiale del Commercio qual è la nazione cioè il Membro cioè la “country of origin”, l’Italia o l’UE? Chi rappresenta gli italiani nel sistema dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, il Governo italiano oppure la Commissione Europea?
Quando, nel 2001, si dovette decidere sulla richiesta di accesso della Cina, chi votò “sì” (all’OMC si delibera all’unanimità), per conto degli italiani, il rappresentante del Governo italiano oppure il funzionario della Commissione Europea? Il problema “Italia/UE” si pose in modo eclatante quando si trattò di firmare il Trattato istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Il 7 marzo 1994, pochi giorni prima che i governi nazionali di tutto il mondo si incontrassero a Marrakesh (15 aprile 1994) per dare vita all’Organizzazione Mondiale del Commercio, si riunì il Consiglio europeo per decidere sulla competenza a firmare il nuovo Trattato. Alla fine del Consiglio europeo furono messe a verbale le due seguenti dichiarazioni, di tenore opposto: “La Commissione ritiene che l’Atto finale e gli accordi allegati sono di competenza esclusiva della Comunità Europea”; “I rappresentanti dei governi degli Stati Membri [dell’UE] hanno concordato … di procedere alla firma … a nome dei loro governi. Gli Stati Membri ritengono infatti che l’Atto finale e l’Accordo che istituisce l’Organizzazione Mondiale del Commercio riguardano ugualmente questioni di competenza nazionale”.
Il 6 aprile 1994 la Commissione Europea chiese l’intervento della Corte di Giustizia.
Secondo le previsioni più attendibili, il parere della Corte di Giustizia dovrebbe intervenire solo verso la fine del 1994. Se prima di tale data non si verificheranno nuovi elementi… potrebbe concretizzarsi il rischio che la Comunità ed i suoi Stati membri non saranno in grado di ratificare gli accordi di Marrakech in tempo utile per partecipare alla nuova Organizzazione Mondiale del Commercio, la cui entrata in vigore si auspica, allo stato attuale, possa avvenire dal 1 gennaio 1995 (Quaderno n. 2/1994 del Ministero del Commercio estero).
A Marrakesh firmarono tutti: la Commissione europea, il Rappresentante del Consiglio europeo, i Rappresentanti dei Governi dei singoli Stati (per l’Italia, il Ministro del Commercio estero). Ma quale firma era necessaria e quale no? chi decise a Marrakesh per gli italiani? L’on. Tremonti ha scritto: “Il negoziato Unione europea – Cina sul WTO viene chiuso il 19 maggio 2000. A questo punto per i singoli Stati europei l’adesione è un atto dovuto”. L’on. Tremonti si è però sbagliato: per il diritto inter-nazionale, tra l’Unione Europea e lo Stato italiano il vero “Membro” OMC è il secondo e non la prima. In quanto “Membro” (art. VII del Trattato) l’Italia versa ogni anno oltre sette milioni di euro al bilancio dell’OMC: l’Unione Europea non è mai stata richiesta di alcun versamento. Olanda e Belgio non hanno avuto esitazione ad invocare le regole OMC per introdurre una normativa nazionale che vieta sul loro territorio le importazioni dei prodotti derivanti da pelli di foca.
L’Italia aveva dunque il pieno diritto di votare contro l’accesso della Cina all’OMC; l’Italia ha il diritto di introdurre, avvalendosi dell’Accordo OMC sulle misure di salvaguardia, misure di difesa contro i prodotti cinesi (in caso di “ serio danno all’industria domestica produttrice di prodotti simili”, art. 2). Come Membro OMC, l’Italia ha pure il pieno diritto di introdurre dazi, di tutelare il made in Italy (art. IX Gatt) e tutelare i propri consumatori contro le importazioni di prodotti tossici (Accordo OMC sulle misure sanitarie e fitosanitarie). Se un Membro OMC rinuncia ad avvalersi delle regole in essere per tutelare i propri interessi nazionali questo Membro gioca, di fatto, una partita “a perdere”.
Le Autorità comunitarie negano che l’Organizzazione Mondiale del Commercio esista. La Commissione Europea e la Corte di Giustizia dell’UE affermano che le norme dell’Organizzazione Mondiale del Commercio non hanno “rilevanza” e provano ad imporre ai Tribunali nazionali di non prendere in considerazione le regole internazionali.
L’atteggiamento degli organi comunitari sa di “rigor mortis”.
Nonostante il differente orientamento della giurisprudenza comunitaria, i protocolli di cui all’accordo GATT, grazie alle leggi di ratifica ed esecuzione, attribuiscono ai singoli diritti pienamente tutelabili dinanzi alla giurisdizione nazionale (Tribunale di Napoli, 12 novembre 1984, Soc. Montedison C. Min. fin.).
… almeno parte della nostra dottrina si è da qualche tempo posta in termini più concreti e quindi più produttivi, abbandonando finalmente la pretesa .. di poter tutto semplicisticamente risolvere deducendo dalle solite generiche considerazioni sulla cd. sopranazionalità e quindi sulle finalità e le caratteristiche del processo d’integrazione comunitaria … [I fautori della ‘primauté’ del diritto comunitario] .. peccando ancora una volta di … troppo amore comunitario, essi sono sembrati unicamente ispirati dall’ansia di ‘privilegiare’ a tutti i costi i trattati europei, per farne una sorta di supertrattati, di valore inusitato e di forza irresistibile, in nome non tanto di rigorose valutazioni scientifiche o di indiscutibili dati normativi, quanto di apodittiche proclamazioni di ‘novità’, ‘diversità’, ecc. direttamente connesse alla dichiarata superiorità e assolutezza dei fini politici ultimi perseguiti … (“Pretesa diversità di effetti del G.A.T.T. e dei Trattati comunitari nell’ordinamento italiano”, in “Il Foro Italiano”, 1973, n. 9, I, p. 2443-2452).
Il GATT non è la caricatura di un accordo internazionale, ma è obbligatorio per la Comunità ed i suoi Stati Membri. Esso va quindi preso sul serio dalle istituzioni e dalla Corte (Everling U., “Will Europe slip on bananas? The bananas judgment of the Court of Justice and National Courts”, in Comm. Mark. Law Rev., 1996).
Il mercato globale è la sommatoria di individui che, in tutto il mondo, mostrano oggi di diffidare di quei Paesi e di quei popoli che con il loro comportamento si mostrano indifferenti al proprio declino, troppo affezionati ai sogni per accorgersi della realtà. Mentre si discute su “più” o “meno” Europa, forse sarebbe bene prendere atto che dal 1 gennaio 1995 l’Unione Europea ha cessato di esistere: per l’Organizzazione Mondiale del Commercio, su cui si regge il mercato globale, né gli organi né le norme dell’Unione Europea hanno alcuna rilevanza. Il Parlamento italiano ratificò il Trattato OMC con la legge n. 747 del 29 dicembre 1994 così abrogando la legge di ratifica del Trattato comunitario di Roma.
Quello che il bruco chiama fine del mondo il resto del mondo chiama farfalla.
Dario Ciccarelli, già componente, dal 2003 al 2007, della Delegazione Diplomatica d’Italia all’Organizzazione Mondiale del Commercio – dciccarelli@yahoo.it
Tesi bizzarra, visto che non solo l’UE sopravvive alla morte ma sono stati perfezionati nuovi trattati. La primauté del diritto europeo è stata riconosciuta anche dalla Corte costituzionale italiana, in epoca successiva all’articole da Lei citato.
Per altro verso, il Trattato di Roma e quelli che lo hanno seguito hanno sempre propugnato un’economia di mercato, non un’economia socialista.
@Luciano Pontiroli
Sinceramente non riesco a notare tesi bizzarre; leggo invece una serie di fatti in aperta contraddizione fra di loro.
La costruzione europea è fragile perché nessuno vuole veramente rimuovere le contraddizioni che impediscono all’Europa di reagire di fronte allo spostamento degli equilibri economico industriali nel mondo. Il mondo ha aumentato la propria velocità. Al contrario l’Europa, che si crede l’ombelico del mondo, ha rallentato per gestire i fragili equilibri fra burocrazie e ideologie.
Se si ritornasse agli Stati ed alle monete nazionali, i Paesi europei NON saprebbero cavarsela da soli per via del pregiudizio che l’ambiguità ed il tatticismo siano “il sale della politica”. Purtroppo questo atteggiamento da Magna Grecia accomuna destra e sinistra, Paesi mediterranei e nordici.
Tesi interessante. Quindi, sig. Ciccarelli, se non ho capito male Lei sostiene la tesi dell’abrograzione tacita?
@Francesco P
Il succo del Suo discorso è che gli stati nazionali sono ormai superati: allora dovrebbe – se non essere euroentusiasta – almeno apprezzare il fatto che l’esistenza dell’UE può permettere loro di conservare qualche peso, sempre che sappiano correggerne i difetti. Invece l’esordio del Suo intervento sembra simpatetico con le considerazioni di Ciccarelli.
Ma se l’Unione Europea non esiste più dal 1995, allora di cosa parliamo?
Della truffa della truffa della truffa?
Capisco solo che l’iper-regolamentazione è, per sua natura, confusionaria.
E la confusione toglie certezze.
Tranne a chi l’ha costruita per confondere e lucrarci.
Ma nella nebbia, se ci si muove con cautela, si riescono, prima o poi, a scorgere gli appigli più solidi, almeno per chi ha occhi non solo per guardare, ma per vedere.
Per vedere qualcosa di davvero solido e giallo che splende da secoli ed ha significato perché scelto liberamente dai nostri antenati come valore: …
In quanto Membro dell’Organizzazione Mondiale del Commercio l’Italia è titolare di una serie di prerogative, di diritti, di doveri e di poteri, di cui, in quanto membro dell’UE, invece non disporrebbe. Rispondo a Mike: sì, ritengo che il Trattato istitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio abbia abrogato i trattati comunitari. Su un dato credo si debba peraltro necessariamente tutti concordare: al di là delle dichiarazioni propagandistiche (del tipo: solo l’unità europea può salvare gli italiani; quasi come se la concorrenza non fosse una dinamica fondata sulla libertà e sull’iniziativa individuale e quasi come se con il resto del mondo gli italiani dovessero fare “a botte”) nessuno si è mai preoccupato, e ancor oggi si preoccupa, di verificare la compatibilità del sistema UE con il sistema giuridico inter-nazionale, con l’Organizzazione Mondiale del Commercio e dunque con lo scenario globale.