30
Set
2013

“Europa: sovranità dimezzata”, di Antonio Pilati

Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Giacomo Lev Mannheimer.

Scovare il “sick man of Europe” è, da 5 anni, un obiettivo che – più o meno dichiaratamente – tormenta la classe politica del vecchio continente, persa nell’affannosa ricerca di un capro espiatorio a cui addebitare la profonda crisi politico-economica che l’ha colpito.
Questa ricerca, e più in generale l’atteggiamento dei Paesi membri dell’UE nei confronti delle enormi difficoltà che hanno dovuto affrontare in questi ultimi anni, è emblematica sotto due aspetti.
Il primo è, per così dire, sociologico: si tratta infatti di un atteggiamento che riflette perfettamente il comportamento medio di gruppi sociali non coesi e sfiduciati, così impegnati dall’addebitarsi colpe e responsabilità da rinunciare a collaborare per uscirne. Una sorta di antropomorfismo, questo, che ci ricorda ancora una volta come dietro agli oscuri meccanismi della politica ci siano pur sempre esseri umani, nel bene e nel male.
Il secondo aspetto rilevante ha carattere storico, ed è la profonda distanza politica che separa questa gestione della crisi dalle grandi speranze che dal secondo dopoguerra – e ancor di più dalla caduta del muro di Berlino – avevano contraddistinto la nascita di un progetto comunitario che doveva essere fondato sulla cooperazione e sulla solidarietà degli Stati membri, e che facesse da contraltare al dominio economico-morale degli USA.
Indagando il lungo processo che ha portato alla formazione dell’Unione Europea, la domanda che sorge spontanea è dunque: 25 anni dopo, perché ci siamo ridotti così?
E proprio questa domanda è la leva da cui parte Antonio Pilati nel suo libro “Europa: sovranità dimezzata” (IBL Libri/Il Foglio, 2003), che ricostruisce in dodici capitoli le cause scatenanti dei più importanti e spinosi problemi dell’Europa contemporanea.
L’autore indaga la costruzione europea nei suoi elementi strutturali, esaminando il ruolo (e il peso specifico) che hanno giocato i diversi organi al suo interno, anche e soprattutto in riferimento alla politica economica e monetaria (straordinariamente brillanti sono le analisi sul debito pubblico e sulle strategie della BCE), senza dimenticare un altro dei temi più scottanti del dibattito sull’Europa di questi ultimi anni: il rapporto tra la Germania – potenza egemone, benchmark o madre premurosa a seconda dei punti di vista – e gli altri Stati europei e non (gli Stati Uniti e i BRICS, in primis) che è, secondo l’autore, una delle chiavi di volta per comprendere l’instabilità e le asimmetrie dell’architettura europea.
Dopo aver passato in rassegna le ingenti implicazioni economiche, politiche e anche sociali che questi fenomeni hanno avuto negli Stati membri, nell’ultimo capitolo del libro viene analizzato il rapporto tra la politica e il suo bersaglio preferito nella ricerca del colpevole: i mercati, che pur nella loro impersonalità (e conseguente imparzialità) hanno saputo essere, secondo alcuni, un tempo i garanti della libera circolazione di merci e capitali, e oggi gli avidi speculatori responsabili della crisi.
Eppure, forse è la politica a puntare il dito contro i mercati e non viceversa solamente perché, come dicono oltremanica, “the guilty dog barks the loudest”.
Secondo Pilati i fatti dimostrano che la demonizzazione andrebbe ribaltata: “il mercato funziona se opera secondo la logica che miliardi di scambi e centinaia di anni sono venuti affermando, e la politica, che da tempo si atteggia a salvatore del circuito creditizio e senza sosta biasima gli errori del mercato, diventa il principale responsabile della crisi.”
“Europa: sovranità dimezzata” è un libro da leggere per comprendere i difetti, emersi prepotentemente in questi anni, della costruzione europea. Un libro che ha il raro merito di offrirci – accanto ad un’attenta analisi delle cause della crisi del vecchio continente – molteplici spunti per provare a risolverla.

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1 Response

  1. marco

    Io credo semplicemente che sia molto difficile fare una qualsiasi politica con persone che hanno estrazioni tanto diverse.
    Anzitutto le culture incomparabile la Norvegese con la Croata
    Abbiamo sistemi sociali molto diversi (Portogallo e Austria ad esempio)
    Sistemi e livelli scolastici distantissimi
    E soprattutto una concezione delle esigenze di selezione meritocratica delle classe dirigenti (ed in particolare quella politica) Borghezio chi può eleggerlo se non un paese molto squallido?
    E QUANTI BORGHEZIO CI SONO TRA UNGHERESI AUSTRIACI RUMENI SPAGNOLI TEDESCHI E ITALIANI????? E forse qualche inglese e francese
    Ma anche quanti altamente mediocri digiuni di qualsiasi nozione di diritto e di economia e nauseati di lavorare come coloro tra rappresentanti apicali si vantano di non leggere le bozze di cosa si deve votare e ci si orienta sulla base delle opinioni correnti dei colleghi come sembra abbia fatto l’ONOREVOLE Gasparri????

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