Euro3 ed Euro4 al bando: il dirigismo colpisce ancora
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Cosimo Melella e Giovanni S. Di Frisco.
Il 1° Ottobre è entrata in vigore la nuova misura di limitazione permanente alla circolazione. Questo provvedimento, che rientra nel piano regionale degli interventi per la qualità dell’aria, sancisce in 209 comuni italiani la messa al bando dei veicoli a diesel di classe Euro3 e dal 1° Ottobre 2020 dei veicoli di classe Euro4. L’azione è la conseguenza di uno sforzo congiunto che coinvolge le regioni più dinamiche del paese: l’Emilia-Romagna, il Veneto, il Piemonte e la Lombardia, con il supporto del Ministero dell’Ambiente.
Ogni regione ha uno spazio di manovra, se pur minimo, nell’emanazione del proprio regolamento interno anche se l’accordo mira a limitare la circolazione dei veicoli a diesel fino alla categoria Euro3 nei giorni lavorativi dalle 8 alle 19* dal 1° Ottobre al 31° Marzo di ogni anno.
Sono già previsti esoneri che riguardano alcune tipologie professionali, l’età, i parametri Isee e le dimensioni del comune di residenza. È fattuale, però, che quasi un milione e centomila unità su ruote siano state rese inutilizzabili, causando a migliaia di famiglie e a centinaia di aziende una riduzione preponderante del proprio patrimonio: il valore di ogni singolo veicolo si aggira in media intorno a qualche migliaio di euro.
I mezzi di trasporto in questione vengono ad oggi usati sia per consentire ai dipendenti di spostarsi a grande distanza e arrivare sul posto di lavoro in orario, non potendo lavorare da remoto, sia per permettere alle aziende di trasportare su gomma merci che non potrebbero arrivare a destinazione diversamente.
Inoltre, non si fatica ad immaginare che l’impiego di qualunque alternativa implichi costi aggiuntivi sui bilanci e disagi non indifferenti. Ad esempio: se le famiglie decidessero di effettuare nel breve periodo un ulteriore investimento, stabilendo di acquistare un veicolo a benzina che sia conforme alle nuove normative vigenti, come ci insegna Frédéric Bastiat, sottrarrebbero per volontà del legislatore risorse che sarebbero potute essere destinate ad altro come la spesa pensionistica complementare o la formazione universitaria dei figli.
Fatte queste premesse, è innegabile che la ratio di questa misura nasca per ridurre le emissioni nell’aria di gas inquinanti come ossido di azoto, ammoniaca o biossido di zolfo. Come, però, ribadito dagli economisti Paul Romer e William Nordahus, di recente vincitori del Premio Nobel per l’economia, gli agenti economici dovrebbero prima valutare l’impatto di questo genere di manovre, per poi concretizzarle solo se fossero certi che i benefici superino nettamente i costi. Questo concetto, semplice in apparenza, difficilmente viene incamerato dalla classe politica, statale o regionale che sia.
Questa vicenda ci riporta indietro nel tempo, quando nel 1998 in risposta al protocollo di Kyoto la Comunità Europea decise con il comunicato IP/98/734 di dar vita ad iniziative mirate a sostituire i veicoli a benzina con quelli a diesel. Questi ultimi, infatti, a parità di prestazione emettevano nell’aria una quantità inferiore di anidride carbonica rispetto ai propri analoghi a benzina. Per due decenni i governi del continente europeo hanno suggerito ed incoraggiato i propri cittadini-consumatori ad acquistare autoveicoli a diesel, attingendo al gettito e a tanti slogan ambientalisti. I risultati, contrari alle attese, hanno, invece, prodotto sprechi innumerevoli.
Ad oggi ci si trova con il tavolo che si ribalta e con la proposta di abbandonare il diesel in favore della benzina, giustificando una tale adozione con gli effetti a lungo termine degli ossidi di azoto che contribuirebbero alla genesi di piogge acide, smog e ad effetti deleteri per la salute degli abitanti delle città metropolitane e dei comuni di medie dimensioni. I dati dimostrano che la quantità di microgrammi di biossido di azoto emessa nell’aria non comporta, però, alcun rischio rilevante sulla salute dei residenti, inoltre l’Italia negli ultimi 15 anni ne ha dimezzato le emissioni passando da 1,046Gg nel 1992 a 371Gg nel 2016. Questo trend continua a decrescere come mostrato dal grafico in allegato.
Ci si ritrova, quindi, per l’ennesima volta dinanzi ad un provvedimento inefficiente ed iniquo che rischia di peggiorare il già fragile equilibrio economico del Paese, provocando uno shock non irrilevante: il solo smaltimento delle auto obsolete richiede uno sforzo economico e ambientale non indifferente che rischia di cancellare ogni beneficio precedente. Ci si augura – anche se, dati i trascorsi, chi scrive, ormai, annega nel cinismo – che la classe politica impari una buona volta dagli errori del passato, smettendo di mettere a repentaglio il portafoglio dei consumatori.