8
Ott
2018

Energia, ambiente e turismo per lo sviluppo economico—di Lorenzo Ieva

Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Lorenzo Ieva.

Lo sviluppo economico passa sovente attraverso importanti innovazioni (Schumpeter) e riforme (Cavour) in ambiti della vita sociale e produttiva, che presentano in partenza insoddisfacenti assetti normativi ed organizzativi.
Pensando all’Italia, ne vogliamo, in questa sede, enumerare tre, consapevoli che qualunque lettore, anche profano della materia, riesca a coglierne, con immediatezza, le potenzialità di incremento di sviluppo, qualora si decida di non lasciare questi settori isolati ed ai margini delle decisioni pubbliche.

Il primo riguarda l’“Energia”. In Italia, un Paese sostanzialmente privo di giacimenti di fonti fossili, in un settore così delicato e strategico per la produttività dell’impresa qual è l’approvvigionamento energetico, siamo riusciti, con la riforma costituzionale del Titolo V del 2001, a rinunciare ad una politica energetica nazionale, avendo fatto della disciplina giuridica dell’energia solo una materia a legislazione concorrente Stato-Regioni, variabile da regione a regione, quando invece la competitività nazionale ed internazionale delle nostre imprese si misura in gran parte sul costo dell’energia necessaria per la produzione.

Tanto che, ai numerosi gaps, che ci separano dai sistemi più competitivi, abbiamo aggiunto alla tassazione oppressiva ed al costo del lavoro eccessivo, anche un costo energetico elevato, tendenzialmente incomprimibile, per la carenza di una politica energetica nazionale, quando poi una parte importante della disciplina normativa rilevante nel settore, segnatamente nel campo delle fonti rinnovabili, è di matrice europea ed internazionale. Sic est!

Il secondo concerne l’“Ambiente”. La materia dell’ambiente è una materia riservata alla legislazione statale, è vero. Tutto bene, allora ? No, perché i principali enti ed organi di tutela, ossia le Arpa, sono regionali. Seppure la legislazione più recente abbia tentato un coordinamento forzoso tra le diverse Arpa regionali, non è forse meglio prendere atto che si tratta di una cruciale questione nazionale, che esige la presenza di un ente pubblico unitario, con diramazioni regionali (e magari provinciali), come un qualsiasi ente pubblico statale ? Poi, la gestione della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti è materia amministrata dai comuni. La situazione in cui versa il trattamento dei rifiuti è a tutti noto. Comporta forti disservizi nelle città, inquinamento delle acque, del suolo e dell’aria. La gestione dei rifiuti, ingentissimi negli aggregati urbani del XXI sec., non può più essere trattata come una spicciola questione comunale. Lo smaltimento non può rimanere affidato agli enti locali, che oramai non sanno più dove collocare la cd. immondizia. Meglio sarebbe passare alla imposizione tassativa della raccolta differenziata per il riciclo, all’utilizzo integrato della termovalorizzazione per ricavare nuova energia, allo smaltimento per il residuale in discariche collocate dove è possibile, considerando l’insieme del territorio nazionale e non già l’ambito locale, altrimenti si finisce per assistere, un po’ ovunque, al degrado di strade, campagne e ambienti marini, dove i rifiuti vengono inopinatamente abbandonati.

Il terzo ed ultimo ambito attiene al “Turismo”. E’ il turismo una materia a legislazione regionale residuale, prima della riforma dell’art. 117 Cost. era una materia a legislazione concorrente, cioè la regione poteva legiferare nei limiti delle leggi statali cd. quadro (o cornice), che ne prefissassero i principi fondamentali e la disciplina essenziale.

Tanto appare irrinunciabile una riconduzione ad unità del sistema che esiste un dipartimento ministeriale, che si occupa di turismo, già inserito nel Ministero dei beni ed attività culturali ed ora “trasmigrato” nel Ministero delle politiche agricole, alimentari, forestali e – appunto – “del turismo”. Così come esiste un ente pubblico, l’Enit, Ente nazionale per il turismo (poi “ribattezzato” Agenzia per il turismo), che si occupa di promuovere l’immagine unitaria dell’offerta turistica nazionale italiana.

Ma, stante il vincolo costituzionale che vuole il turismo materia solo regionale, lo Stato italiano deve ritagliarsi, a fatica, uno spazio per poter fare quello che tutti gli Stati del mondo, in queste materie, invero fanno, ossia sostenere e svolgere politiche pubbliche efficaci, che sostengano l’innovazione delle imprese che operano in questi settori strategici, la qual cosa appare imperativa per di più in un Paese come l’Italia, che possiede notorie caratteristiche peculiari di favore nel campo.

Ecco l’esempio di tre formidabili sprechi: energia, ambiente, turismo.

Tre settori, dove lo Stato potrebbe ben dire la sua. Ma, abbandonati alla iniziativa virtuosa – quando vi è – localistica. Questo, a causa di una riforma costituzionale, quella del Titolo V della Cost. fatta nel 2001, frettolosa, sul finire della legislatura, solo per giocare al rialzo sul tema allora “di moda” del federalismo, senza considerare, con cognizione di causa, gli effetti devastanti, che ci sono stati e che hanno finito per imbrigliare l’azione dello Stato unitario in settori così fondamentali di tutela e di sviluppo. Quando invece, altrove, questi temi costituiscono l’ordine del giorno, sempre presente, sul quale si misurano i governi e le sfide di competitività delle imprese.

Epperò, poiché la realtà è più forte della “fantasia” dei riformatori imprudenti, in tutti e tre i settori, la presenza dello Stato si fa – a forza – sentire, ma senza la dovuta incisività, a causa della assenza della giusta legittimazione costituzionale.

Cos’altro si aspetta a rimediare in questi (ed altri) settori dell’ordinamento e dell’economia ?

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