Elogio del cicciolo—di Luigi Mariani
Chiamateli grasei, gratu, siccioli, grassoli, lardinzi, grépòle, cicoli, o sfrizzoli… oppure, in italiano, ciccioli. I ciccioli sono a mio parere una delle cose più buone che esistano al mondo, nel senso che li mangio un paio di volte l’anno e poi passo il resto del tempo a rimpiangerli. Questo dipinge nel modo più efficace il mio rapporto affettivo con le carni e mi piace immaginare che in condizioni analoghe siano molti dei lettori.
Peraltro questo rapporto affettivo ce l’abbiamo impresso nel nostro DNA se pensiamo che l’80% del patrimonio genetico di noi europei discende dai popoli di cacciatori – raccoglitori che sopravvissero sul continente durante l’ultima era glaciale, trascorrendo la loro grama, gelida e pericolosissima esistenza a sognare pranzi pantagruelici a base di carne. Al riguardo ricordo con affetto un amico di famiglia che aveva passato gran parte della sua vita con pochi quattrini, mangiando poco e male e facendo mestieri umilissimi. Da vecchio divenne garzone di un pollivendolo che girava i mercati della mia provincia e così poteva finalmente permettersi (così almeno mi disse un volta che lo incontrai) di mangiare un pollo al giorno. Dato che di lì a poco morì, pensai che una tale dieta “estrema” l’avesse mandato al creatore in anticipo ma pensai anche che in quei mesi avesse toccato i cielo con un dito…
Per questo insieme di motivi, il lavoro dei medici dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Heath Organization – WHO) che con un documento pubblicato su Lancet (Bouvard et al., 2013) hanno annunciato di aver qualificato le carni insaccate come probabilmente cancerogene per l’uomo (“probably carcinogenic to humans – Group 2A”) è stato per me un duro colpo, anche se tutt’altro che imprevisto in quanto se n’era ad esempio parlato con tecnici del settore nel convegno “La carne nelle diverse fasi della vita umana” organizzato dal nostro Museo di storia dell’agricoltura e tenutosi a Sant’Angelo lodigiano il 20 ottobre 2013 (gli atti sono disponibili qui).
Per focalizzare un po’ meglio il problema ricordo anzitutto che il WHO divide le sostanze in 5 categorie, che riporto in lingua inglese onde evitare ogni ambiguità legate alla traduzione:
Group 1: Carcinogenic to humans
Group 2A: Probably carcinogenic to humans
Group 2B: Possibly carcinogenic to humans
Group 3: Unclassifiable as to carcinogenicity in humans
Group 4: Probably not carcinogenic to humans.
Agli interessati segnalo che nel sito (qui) si trova l’elenco delle sostanze che ricadono nelle classi 1 e 2A.
Inoltre per approfondire il problema nei riguardi dell’area europea segnalo l’articolo scientifico di Rohmann et al.(2013) dal significativo titolo “Meat consumption and mortality – results from the European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition”. Tale lavoro si riferisce ad un’indagine eseguita nell’ambito del progetto European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition (EPIC) su un gruppo di 448.568 individui (uomini e donne) sani, di età compresa fra 35 e 69 anni e provenienti da 10 nazioni europee (Italia, Spagna, Olanda, Gran Bretagna, Grecia, Germania, Norvegia e Danimarca) e reclutati fra il 1992 ed il 2000. Su tale gruppo al giugno 2009 si erano osservati in tutto 26.344 decessi e la correlazione fra mortalità e consumo di carni si è rivelata significativa solo per le carni trasformate. Più in particolare si è stimato che il 3,3% dei decessi avrebbe potuto essere evitato se tutti i partecipanti avessero avuto un consumo di carni trasformate inferiore a 20 g / giorno. Non significativo è risultato invece il legame fra mortalità e consumo di carni rosse e di pollame.
Sulla scorta di quanto sopra mi pare anzitutto sensato pensare che il problema alimentare lo si possa oggi ragionevolmente risolvere con una dieta variata e che preveda cibi di origine vegetale (pasta, pane, insalate, legumi, frutta, ecc.) ed animale (latte, uova, carni rosse e bianche, insaccati, pesce, ecc.). Nulla di nuovo sotto il sole, dunque!
Ho tuttavia anche maturato l’idea, e gli amici medici mi perdoneranno per i cattivi pensieri, che se lasciassimo fare a loro, ai medici, si finirebbe per dichiarare come pericoloso e potenzialmente cancerogeno quasi tutto quello con cui abbiamo a che fare (sole, aria aperta, fuoco di legna, …) e questo ci condannerebbe a rinchiuderci per tutta la vita in una stanza alimentandoci con pane, pochi tipi di verdura, legumi e acqua. Così magari camperemmo mille anni, certo, ma questa vi pare vita? D’accordo che come dice il poeta “la morte si sconta vivendo” ma le idee del professor Umberto Veronesi sul vegetarianesimo imposto per legge mi paiono più che mai inumane (qui).
Si aggiunga a ciò che quello del WHO mi pare un segnale importante circa il paradosso dell’applicazione del principio di precauzione che, se portato all’estremo, può diventare distruttivo per le nostre società, come ben sanno i gruppi ambientalistici che ne hanno fatto la loro bandiera e che con la scusa di salvare il pianeta, impediscono ormai qualunque forma di innovazione (gli esempi dell’ingegneria genetica e del nucleare di pace sono davanti a tutti noi).
Anche alla luce di quanto sopra penso anche che il WHO dovrebbe sforzarsi di trovare un modo più costruttivo per dialogare con la collettività onde evitare allarmismi che causano danni enormi alla nostra economia e alla nostra stessa salute, se si pensa che le carni rosse sono fonti di proteine di alto valore biologico e importanti micronutrienti come le vitamine del gruppo B, vitamina A, ferro (libero e eme) e zinco, come del resto specificano sia il documento del WHO a firma di Bouvard et al. (2015) sia l’articolo di Rohmann et al. (2013). E il modo “più costruttivo” di cui sopra passa anche attraverso la valutazione dei presupposti storici e culturali che stanno dietro a una dieta e che fanno sì che una persona acquisisca e mantenga nel tempo una propria identità, il che costituisce un presupposto essenziale per una vita sana,ricca di emozioni e soprattutto lunga.
Concludo rammentando che quanto fin qui detto vale anche per il vino, bevanda che costituisce una delle basi più forti della nostra identità culturale e che corre oggi il rischio sempre più concreto di essere criminalizzata per ragioni salutistiche. Se infatti nel gruppo 2A (probabilmente cancerogene per gli umani) troviamo a questo punto le carni rosse e gli insaccati , nel gruppo 1 (cancerogene per gli umani) fanno bella mostra di sé le bevande alcoliche, tutte.
Articolo pubblicato originariamente su Agrarian Sciences, 30 ottobre 2015
“il WHO dovrebbe sforzarsi di trovare un modo più costruttivo per dialogare con la collettività onde evitare allarmismi”
Vero, ma anche i giornalisti dovrebbero evitare di aggiungere altro: nel documento WHO/IARC si parla di classificazione, non di incremento del rischio.. e comunque il fatto che un cibo/bevanda sia alla base della nostra ‘tradizione’ non lo fa diventare, purtroppo, meno pericoloso in caso di consumo eccessivo.
L’aspetto che maggiormente mi intristisce in questa vicenda è che consentirà a qualche esponente della sottocultura vegana di aprire la bocca per sostenere la dittatura dei mangiaverdure.
D’accordissimo sulla pizza con gli sfrizzoli, o anche su pizza e mortazza.
Meno d’accordo sul nucleare (anzi, per niente).