Educazione e profitto: l’esempio della Svezia – di Flavio Stanchi
Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Flavio Stanchi.
Sebbene la riforma dell’istruzione sia sulle bocche di tutti da ormai lungo tempo, in pochi tra i suoi detrattori hanno saputo presentare un’alternativa concreta che non fosse il consolidamento dello status quo. Eppure, qualche esempio non troppo lontano da cui poter trarre ispirazione ci sarebbe.In questo senso, vorrei segnalare l’analisi dell’economista Gabriel H. Sahlgren (PDF), pubblicata dall’Institute of Economic Affairs, a proposito della riforma approvata e messa in pratica già nel 1992 in un paese come la Svezia, da molti considerato la patria del welfare state.
La riforma ha fatto sì che venissero finanziate dallo stato non le scuole, ma le famiglie, tramite un sistema di voucher. Le famiglie possono poi scegliere tra scuole pubbliche (gestite a livello municipale) e scuole private, a loro volta divise in istituti for-profit e istituti non-profit. Queste scuole possono essere fondate da chiunque, ma devono essere approvate dalla National Agency for Education, devono rispettare il programma nazionale e non possono fare distinzione tra gli studenti basandosi su abilità, etnia o status socio-economico. Inoltre, non è loro consentita l’applicazione di rette che superino il valore del voucher.
Prima della riforma, in Svezia vi erano poche scuole private (meno dell’1% degli studenti frequentava questo tipo di istituto). Oggi, circa il 10% degli studenti in età da scuola dell’obbligo le frequenta, e la percentuale complessiva risulta maggiore del 30% guardando anche all’istruzione superiore.
L’obiettivo della riforma era una gestione cost-effective dell’istruzione, realizzata tramite l’incremento della concorrenza. Il principale argomento di critica dei detrattori riguardava la possibilità che questo sistema potesse portare detrimento alle scuole pubbliche, le quali avrebbero visto i fondi a propria disposizione ridursi e la qualità peggiorare. Per smentire questa ipotesi, Sahlgren cita i risultati di numerosi studi svolti tra il 2001 e il 2010, i quali mostrano come l’introduzione della riforma abbia portato a un generale miglioramento nella qualità dell’insegnamento, che si riflette in voti medi più elevati. In particolare, andando ad analizzare i risultati del GPA del nono anno (un esame nazionale standardizzato) nel 2006, Tegle (2010) trova che un aumento del 10% nella percentuale delle scuole private rispetto al totale delle scuole provocherebbe un aumento del 2% nel punteggio GPA relativo alle scuole pubbliche, incrementando il punteggio del test di matematica del 5,9%. Egli mostra anche come frequentare una scuola indipendente porti in media a un punteggio GPA più alto del 21%, con un ancor più stupefacente miglioramento del 33% nel punteggio di matematica rispetto alle scuole pubbliche. Un altro importante dato che emerge dagli studi è quello relativo alla soddisfazione dei genitori e dei professori, che risulta in media maggiore per le scuole private rispetto a quelle pubbliche. Inoltre, il salario degli insegnanti in aree dove è presente concorrenza tra gli istituti è di circa il 2% più elevato rispetto alle aree prive di concorrenza.
Questi risultati possono essere spiegati in due modi. Primo, le scuole private potrebbero essere semplicemente migliori di quelle pubbliche; in questo caso, la riallocazione (volontaria) degli studenti dalle seconde alle prime porta a un miglioramento nell’efficienza. Secondo, la competizione produce un incentivo per le scuole pubbliche a migliorarsi.
Per verificare tali risultati, Sahlgren propone un suo modello, basato sui database di NAE e Statistic Sweden, utilizzando come campione tutte le scuole svedesi con più di 15 studenti. Per isolare l’effetto delle diverse strutture di proprietà sui voti degli studenti, egli utilizza come variabili indipendenti il numero di insegnanti ogni 100 studenti, il livello di istruzione dei genitori, la percentuale di maschi, la percentuale di immigrati, il numero di alunni. In un secondo modello inserisce poi alcune variabili di comodo per segnalare l’effetto di altri particolari fattori influenzanti il risultato (queste riducono la generalità dei risultati del modello, adattandolo maggiormente al caso specifico).
L’autore osserva che la presenza di scuole private dopo la riforma ha un effetto positivo sul voto medio del GPA di quasi 6 punti nel primo modello e di circa 5,5 nel secondo. Le scuole private ottengono risultati migliori rispetto a quelle pubbliche, e quelle non-profit ottengono in media punteggi maggiori rispetto a quelle for-profit. Tuttavia, la presenza di scuole private for-profit ha un effetto maggiore sul punteggio laddove vi sia un livello socio-economico non elevato. Il motivo di profitto, dunque, non solo è un incentivo all’entrata nel mercato e dunque uno stimolo alla concorrenza, ma risulta in questo caso essere anche un buono strumento per la riduzione delle differenze sociali.
Tenuto conto che si riferiscono a periodi di relativa instabilità economica, questi risultati appaiono ancor più interessanti; sebbene non si possa considerare il sistema a voucher come la panacea di tutti i mali, esso può rappresentare uno strumento affidabile ed efficiente, e dunque una possibilità da non trascurare.
Leggo: “non possono fare distinzione tra gli studenti basandosi su abilità, etnia o status socio-economico.”
Domanda: possono fare distinzione in base alla religione?
Gia la semplice gestione municipale delle scuole pubbliche penso che sia una cosa molto molto positiva.
Non mi piace molto la cosa del programma nazionale da rispettare ne l’approvazione da parte dell’Agenzia nazionale, ma quello che mi lascia più perplesso è il non poter applicare rette più alte del voucher, non è forse un limite per gli investimenti verso strutture migliori e professori migliori?
Inoltre ho una curiosità: quante scuole hanno chiuso per insufficienza di fondi. Mi spiego meglio. Quando una scuola inizia a perdere voucher, molti voucher, magari a fronte di una scuola sua nuova concorrente che fa meglio di lei, tanto da mettere a rischio l’esistenza stessa della scuola, questa scuola viene chiusa o viene interposto un qualche interesse pubblico o potere politico locale che ne impedisce la chiusura? Questo mi sembra un punto delicato ma fondamentale per una vera concorrenza.
@Giacomo: non credo proprio, come non credo possano far distinzione in base al colore della pelle, degli occhi o della macchina. Mi stupirei del contrario!
@telc: uno dei fattori che limitano l’influenza della concorrenza sull’efficienza generale dell’istruzione è proprio il fatto che spesso le scuole pubbliche in crisi non vengono chiuse (o cedute a privati), ma spesso si trascinano in perdita per lunghi periodi. Questo però dà ancora più forza ai risultati positivi ottenuti nonostante questo problema. Per le scuole private, non mi risultano particolari pressioni politiche per impedirne la chiusura.
Anch’io personalmente mi stupirei del contrario, soprattutto considerando che la Svezia è uno dei paesi più secolarizzati d’europa. Lo chiedo però perché è pratica comune in molti paesi che una buona parte delle scuole private siano gestite da associazioni religiose, e sono mirate a fornire una educazione confessionale. In quegli stati poi che forniscono un finanziamento pubblico alle scuole private queste scuole confessionali ovviamente non si tirano indietro. Il risultato di questo, almeno in Inghilterra, è che ci sono scuole private finanziate dallo stato che scelgono gli studenti in base alla religione delle famiglie, e che poi aggiungono al curriculum nazionale un catechismo che in alcuni casi è un vero e proprio indottrinamento. Su youtube si trova facilmente il documentario “Fait school menace” su questo problema.