Due parole sull’evergreening
Il termine evergreening potrebbe essere tradotto con “rendere un sempre-verde”; si tratta di una serie di pratiche bancarie volte a mantenere “viva” la posizione creditoria verso un cliente. La “vita creditizia” di un cliente segna un ciclo: la sua posizione verso la banca ha una nascita con la concessione del credito, ha uno svolgimento (che in condizioni normali è fatta di pagamenti periodici), ed ha una fine, o “morte”, con l’estinzione del credito iniziale. Ma la posizione può incorrere in difficoltà di rientro, a causa dell’avversa congiuntura economica o semplicemente da un’errata gestione delle risorse (private o aziendali) da parte del cliente; in tal caso la banca può decidere di lasciar fallire il cliente, facendo quindi “morire” comunque la posizione, o può decidere di rientrare quanto prima la maggior parte possibile del credito (eventualmente anche destabilizzando irrimediabilmente il cliente), ma può anche scegliere di rivedere le condizioni del credito, in termini sia di tasso che di tempi di rientro, pur di mantenere il cliente indefinitamente in vita finché non avrà restituito per lo meno il capitale preso in prestito. Appunto, si rende il cliente un “sempre-verde” che non “muore” mai.
Benché il termine anglosassone di evergreening faccia pensare a qualcosa di “moderno” (personalmente ho scoperto la parola solo al mio collaboratore bancario) si tratta di qualcosa cui, con altri termini magari, si è sempre saputo probabilmente dai tempi di Hammurabi.
La banca ha sempre qualche buon motivo per non agire con eccessiva durezza nei confronti di un cliente in difficoltà. Anzitutto una fattiva collaborazione di un cliente che, pur in difficoltà, cerca un po’ di respiro per onorare alla fine il proprio debito, è una condizione “umanamente” apprezzata (i direttori di banca sono sempre uomini). D’altra parte esiste anche un problema di reputazione, perché nessuna banca vuol essere definita “la mangia-debitori” spaventando così i potenziali clienti e vedendo, necessariamente, ridurre il proprio business (pochi hanno la certezza matematica del successo dei propri piani finanziari, che riguardino consumo o investimento). Poi, l’escussione di (eventuali) garanzie può non essere esattamente un processo rapido e semplice: già un pegno o un’ipoteca non significano che la banca diventa proprietaria del bene quando il cliente non paga, bensì significano che accertata la condizione di insolvenza può venir avviato un procedimento fatto di ritiro del bene (sempre che venga ritrovato e che sia stato tenuto nelle dovute condizioni) e successiva liquidazione per via giudiziale; possiamo inoltre anche tacere di cosa possa rivelarsi una garanzia personale. Inoltre, l’intransigenza della banca può portare il cliente a chiedere il fallimento, il che significa per la banca il venir trascinata in una procedura concorsuale che, sicuramente, si chiuderà in tempi non brevi e con un rientro solo parziale del credito. Infine, l’esplicitazione dello stato di difficoltà del credito implica la sua iscrizione tra i “crediti problematici” o le “sofferenze”, fatto che viene poi riportato in bilancio con le relative conseguenze in termini di “sputtanamento” del management ma soprattutto di “assorbimento di capitale” (capitale e riserve “vincolate” a coprire i cattivi crediti e non utilizzabili per concedere prestiti, finché il capitale disponibile non diventa negativo e la banca va in default).
Insomma, esistono ottime ragioni economiche perché una banca eviti, finché può, di conclamare la cattiva qualità dei propri crediti. Per far questo modifica le condizioni di contratto e concede dilazioni in modo da spostare avanti il rientro del credito pur di rientrare “bonariamente” del capitale e di almeno parte degli interessi pianificati. Questo gioco però ha dei costi, ed è la posizione di questi costi di evergreening rispetto ai suoi vantaggi a definire la strategia della banca.
Accettare interessi complessivi minori significa rinunciare a parte degli utili fino a incorrere anche in coperture parziali dei costi, compreso il rischio imprenditoriale e gli accantonamenti necessari per coprire i vari rischi, compreso il rischio di credito complessivo del proprio portafoglio. Inoltre il rientro più dilazionato del credito comporta un rischio di sopravvenuta incapienza del valore dell’eventuale bene garante a causa della sua obsolescenza. Infine il dilazionato rientro di una posizione comporta un costo vivo per la banca, dato dagli interessi che la banca stessa deve pagare per finanziarsi per tutta la durata di questo sciagurato contratto.
Si veda bene quindi che tassi di mercato del 10% significano che un credito atteso rientrare tra un anno vale oggi di per sé un dieci per cento in meno, cui va tolto anche il valore del rischio di lasciar deteriorare sempre di più una posizione e con essa il valore delle azioni di recupero; il problema si aggrava perché assieme alla procrastinazione del capitale si può rinunciare anche a parte degli interessi, e comunque si procrastina anche la loro percezione. L’evergreening può essere molto molto costoso.
Considerato che le ristrutturazioni dei crediti possono venir misurate addirittura in anni, si capisce come il trade-off tra evergreening e intransigenza passi in modo rilevante per il processo di attualizzazione dei flussi di rientro attesi.
Un esempio. Dato un credito ad un anno di valore nominale 100, possiamo considerare la sua probabilità di rientro ad esempio in un 90%, quindi il valore atteso del credito a un anno è 90. Il punto è che, con tassi al 10% questo credito oggi vale 90/(1+10%) cioè circa 82, che potrebbe non essere considerato sufficiente per la copertura di costi e rischi della banca (un quinto del capitale prestato è considerato statisticamente perso), per cui tanto varrebbe chiudere in un modo o nell’altro la posizione, ottenere quanto possibile e procedere a un nuovo prestito più sicuro e redditizio. Ma se accade una cosa, che io chiamo “la magia della benevola Banca Centrale”, il risultato può ribaltarsi: la “benevola Banca Centrale” guida o impone i tassi verso uno 0%, quindi il valore del suddetto credito oggi diventa 90/(1+0%) cioè 90.
L’azzeramento dei tassi in pratica toglie valore al tempo, una somma futura ha lo stesso valore oggi, e questo perché “non costa nulla” aspettare o meglio finanziarsi fino alla nuova più lontana scadenza concessa. Si può allora concedere del tempo al cliente perché questi cerchi di risistemare la propria posizione finanziaria, e concedendo del tempo si può anche considerare la possibilità che il cliente riesca a rientrare della sua intera posizione, restituendo così il 100% del capitale prestato. Se prima si ragionava di un valore atteso oggi di 82, si finisce per prospettare addirittura un rientro di 100 in vari anni, anni che non hanno valore, e questa seconda prospettiva rende dominante l’ipotesi di evergreening.
E se l’ipotesi evergreening domina, la banca si vincola a sostenere in pratica degli zombie invece di liquidare il malinvestment e volgere il credito verso attività funzionali.
In altre parole, tassi spinti in basso comportano il consolidamento della presente struttura del capitale, non importa quanto “disfunzionale” o “distruttiva” sia. D’altronde non è un caso che la fase di crisi del ciclo economico austriaco debba essere accompagnata da tensione sul credito che comporta un rialzo dei tassi: si tratta di una reazione naturale del sistema che, anche per questa via, stimola la liquidazione dei progetti peggiori rendendone l’evergreening sempre meno appetibile.
Si tratta di un meccanismo di crisi, cioè di transizione, cambiamento. E questo è necessario perché se l’impresa è disfunzionale allora il suo accanimento terapeutico diventa costoso per il futuro dell’economia, sia attraverso il costo-opportunità di non star finanziando altri progetti, sia per un costo diretto dato dalla incapacità del progetto-zombi di creare ricchezza netta. Questo processo si vuol “deviare” incentivando l’evergreening.
Dove può portare tutta questa “verzura”? Date un occhio al Giappone…
Si in effetti è così, ma nel mio caso, avevo un rientro con unicredit non andato a buon fine( ho pagato 22mila su 27mila richiesti) e lavoravo con portafoglio sconto con la banca di roma,in maniera regolarissima, ma dopo la fusione mi hanno bloccato all’improvviso anche la posizione di banca di roma che era aperta da 20 anni e che lavorava tranquillamente. Risultato dopo 3 anni non hanno fatto nulla per recuperare, la posizione è a incaglio, e rifiutano le mie proposte di saldo e stralcio al 50%. Non era meglio se mi lasciavano lavorare e avrei potuto estinguere la totalità restante di unicredit?
L’articolo mi lascia un dubbio: tiene conto degli interessi come costo sopportato dalla banca nell’attesa del rimborso del credito, ma – se ho capito bene – assume l’ipotesi che la banca si accontenti del mero capitale e non chieda il pagamento degli interessi di mora. La rinuncia a tale compenso, in realtà, può essere forzosa, quando la capienza del patrimonio del debitore o dei garanti non è tale da permettere di ottenerne il pagamento: ma, in linea di principio, la banca potrebbe imputare ad interessi le somme riscosse in via esecutiva e continuare a pretendere il capitale o la frazione residua di esso. secondo la mia pluriennale esperienza, le banche non rinunciano spontaneamente agli interessi di mora.
La pratica di tenere a galla il cliente in difficoltà, d’altro canto, è pericolosa: la banca che non provoca il fallimento di un debitore decotto rischia di rispondere del danno che altri creditori di questo sopportano per avere creduto che egli fosse solvibile ed avere stipulato con lui contratti di fornitura, ecc.; perciò i comportamenti descritti nell’articolo e nell’intervento di Gaetano mi lasciano perplesso.
Ringrazio dei commenti.
La mia pluriennale esperienza di banca mi dice che quando si “pratica” l’evergreening si modifica il piano finanziario facendo risultare come se il cliente “non fosse tenuto a pagare” certe rate, pertanto il problema degli interessi di mora non si pone neppure (ho litigato giusto negli ultimi giorni sull’abuso di questo modo di fare). Chiaramente gli interessi, come il resto, sono incassabili solo nei limiti in cui il cliente li paghi (tautologico).
In ogni caso l’articolo non è inteso come una “rivelazione” del fatto che le banche tengano in piedi i morti (di quelli piccoli poi, si sa, se ne fregano), bensì come questo sia legato alla politica monetaria e quindi inerente al ciclo economico. Mi spiace che non sia stato chiaro.
Faccio un esempio più ampio dei casi singoli: i vari programmi di riscadenziamento del debito nel settore dei mutui ipotecari sono un esempio di evergreening a seguito della bolla immobiliare.
Al di là delle contrattazioni con il singolo debitore (ci sono sempre dei costi connessi al fallimento per cui soluzioni extragiudiziali possono risultare preferibili per ambo le parti), credo il punto saliente sia il fatto che questo mettere la testa sotto la sabbia come uno struzzo è reso possibile dalla politica della banca centrale. Ovvero è un fenomeno che va ben oltre la gestione dei crediti incagliati o in sofferenza (attività che sempre c’è stata e sempre ci sarà). E’ la conseguenza di tenere in piedi banche decotte, le quali a loro volta tengono in piedi crediti decotti. Tutto questo senza i fiumi di liquidità immessi nel sistema non sarebbe possibile.
trovo questo articolo molto interessante. Si potrebbe verificare la validità del meccanismo dell’evergreen, nell’influenzare il funzionamento del canale bancario nella trasmissione della politica monetaria sulla economia reale, dovuto, per esempio ad uno shock di natura monetaria esogeno al sistema europeo.
Andrebbe chiesto a un economista…
Mah, vediamo: la Fed si lancia in una ipotesi di Quantitative Flooding chiamandola QE II (sì, so che è alquanto irrealistico :D), incrementa a morte l’offerta di dollari, che gira gira diventano anche acquisti di euro o titoli europei, quindi diventano uno shock di liquidità nella UEM, che quindi potrebbe sperimentare un incremento di offerta di credito, o almeno di possibilità di credito – l’offerta di fondi comunque fa scendere i tassi nella UEM, il che diffonde un fiat-boom USA (o la reflatione USA), e stimola il malinvestment UEM (o l’evergreening UEM in quanto “deprezza” il tempo e incrementa il valore attuale di prestiti problematici o fino al momento sub-marginali).
Intendevi questo?
ahia, replica complicata! un attimo per organizzare le mie idee:
partendo dall’azione di Reflation della FED (o di qualsiasi altra banca centrale), attraverso l’intervento sulla massa monetaria in un momento di tassi di interesse troppo bassi perché intervenire su di essi possa essere utile, produrrebbe in una economia, per es. quella americana, uno stimolo alla produzione, (se tutto va bene) mentre in quella europea, abbasserebbe il tasso di interesse,per eccesso di offerta di fondi, ma nel contempo la potenzialità di credito del sistema bancario non sarebbe del tutto danneggiate, per cui, nel medio periodo, in termini di trasferimento del primo shock esogeno sulle variabili reali dell’economia (quindi su output e occupazione), l’evergreening potrebbe lavorare come vincolo nominale nel canale di trasmissione bancario della politica monetaria, in questo senso:
– offre alle aziende così legate alla banche ancora margini per non chiudere, se le banche non chiudono i rubinetti del credito;
– attenua la possibilità che variazione dei tassi si scarichino sui prezzi della azioni, o sui cash flow aziendali con effetti depressivi dei bilanci aziendali di piccole medie imprese, e quindi sul loro patrimonio, e quindi sul merito di credito e quindi rallentare la validità del canale finanziario di trasmissione della politica monetaria sulle variabili reali;
spero che abbia senso, perché in realtà mi interessava capire che effetti può avere la pratica bancaria dell’evergreen sui canali di trasmissione della politica monetaria sulle variabili reali della economia.
@emanuele
Per la verità non sono certi gli effetti positivi sugli USA anche secondo economisti interni alla Fed (in un prossimo pezzo darò i link) e per me è certo che non ci saranno. Allo stesso modo la diffusione degli effetti di questa politica (tassi giù, o che restano bassi, ovunque) non è detto che dia (e secondo me non darà) effetti positivi all’estero.
L’effetto che l’evergreening dà sul canale del credito, spiegando meglio il mio pezzo, è evitare che il credito si contragga tout-court.
La contrazione del credito comporta riduzione di attività reale; l’imperfettezza del mondo comporta che il credito si ridurrà sia verso i buoi che verso i cattivi, ma la probabilità sta tutta che chi sconta di più il problema saranno i cattivi, quindi non ci saranno tendenzialmente zombi: la contrazione di attività reale (PIL) sarà dovuta soprattutto a cattive aziende che falliscono come meritano, con altre che sorgono e metteranno ricchezza netta in più dopo un po’ di tempo (a fine processo produttivo).
L’evergreening causato da una politica fortemente espansiva impedisce questo, e sposta il maggior risultato possibile dal finanziare nuovi progetti al salvare quelli vecchi. In un primo momento si salva il PIL dalla sua caduta (essenzialmente restano sul mercato le attività che c’erano anche prima) e questo è proprio l’effetto desiderato, ma contemporaneamente la situazione problematica scoraggia l’assunzione di rischi nuovi (niente credito aggiuntivo), quindi il PIL che resta è dato da imprese submarginali, zombie, che per definizione non producono ricchezza netta, e vivono erodendo fondi (consumando ammortamento, direbbe probabilmente Monsurrò). Il danno si vedrà nei periodi successivi quando la crescita del PIL sarà ridotta, se non negativa, alla faccia dei salvataggi precedenti.
C’è una forte rilevanza del fattore tempo: il tempo serve per creare ricchezza, ma l’evergreening è fondato sull’assenza di valore del tempo data da tassi bassi.