Doppia morale
A volte penso che la corruzione in politica non serve perché grazie al potere legislativo è possibile semplicemente cambiare le leggi per ottenere lo stesso risultato. Ovviamente è un’esagerazione, ma coglie l’essenza del problema.
Nell’attesa di riprendermi da una collezione di sintomi parainfluenzali notevolmente fastidiosi, mi limito a linkare questo post di Frederic Sautet su Coordination Problem, che finisce con questa frase terribilmente vera:
“The irony is that private sector firms that have engaged in this type of behavior have been pilloried and their executives faced prison time. None of that will happen to government members and parliamentarians; that’s the privilege of making the rules and enforcing them.”
Partendo un po’ per la tangente, ma neanche tanto, si potrebbe dire che ciò che in società si chiama falso in bilancio, in politica si chiama regulatory forebearance; quello che viene chiamato bancarotta, viene ridefinito politica fiscale; ciò che costituisce contraffazione, diventa politica monetaria; ciò che tutti chiamano furto, viene ridefinito fisco.
Sono completamente d’accordo, e cito 3 esempi, di cui i primi due storici ed il terzo ancora attuale.
Contraffazione: Lira tra gli anni ’60 ed ’80, contraffatta numerose volte con le cosiddette “svalutazioni competitive”. Alcuni poveri italiani, come Pinocchio nei confronti del Gatto e della Volpe, affermano di rimpiangerla!
Bancarotta: “riforma Brodolini” delle pensioni (pensioni retributive), non ancora completamente risanata.
Furto: mancata restituzione del “fiscal drag”, che consente tutt’oggi allo stato di lucrare sull’inflazione (sia quella ufficiale, che quella vera).
Osservazione interessante; così gli elettori (se democrazia) sarebbero assimilabili agli azionisti.
Il paragone però non regge; la corruzione serve ad agevolare alcuni partecipanti alla gestione, non a tutti.
Leggi imposte ad una Società privata servono a cautelare (anche) altre Società o azionisti con scarso potere contrattuale. In teoria, un controllo che nella politica viene esercitato con le elezioni.
La similitudine appare molto aderente alla realtà in questi due casi:
* SPA ad azionariato diffuso con sede assembleare fuori mano
* Democrazia in presenza di giornalismo asservito
Per giornalismo asservito intendo giornalismo che non fa domande imbarazzanti, del tipo:
– Perchè un processo che dura fino a 8 anni lo definite breve?
– E’ stato annunciata una iniziativa di legge popolare per ridurre il numero di parlamentari; a che punto siamo?
– Avere magistrati ed avvocati in parlamento presuppone un conflitto di interesse (chi vive sull’applicazione della legge è corretto che le sviluppi)?
– Dove è la separazione dei poteri in Italia, se il potere esecutivo viene eletto dall’assemblea legislativa?
Le tasse sono un furto?
Confesso che ero venuto su questo blog perché avevo visto che era primo nelle classifiche.
Ma se il livello è questo…
Spero di essere capitato su un commento un po’ troppo tranchant dovuto alla stringatezza del testo.
Magari sarò più fortunato la prossima visita.
Io mi riferisco semplicemente al fatto che ciò che è stupido e criminale nella vita privata diventa intelligente e lecito nella vita politica.
Io non credo che esistano democrazie che funzionano bene: la politica fa sempre e ovunque gli interessi di chi comanda, e cioè, certo non della maggioranza. Potrei fare innumerevoli esempi tratti dai due paesi di cui conosco le politiche relativamente meglio, gli USA e l’Italia, ma probabilmente potrei metterci qualunque altro stato.
La stragrande maggioranza delle politiche non ha alcuna utilità sociale, e spesso è anche socialmente dannosa.
Detto questo, indubbiamente l’Italia è messa relativamente peggio. Ci sono paesi dove la disfunzionalità della politica è relativamente meno grave e paesi dove non ci si vuole fermare lungo la strada del declino. L’Italia appartiene alla seconda categoria.
In ogni caso, occorre distinguere le specificità di alcuni quasi-failed state come l’Italia, dai problemi generali quasi ovunque onnipresenti in politica, che non dipendono da dettagli come la legge elettorale, la costituzione, o la qualità dei giornalisti. Debiti pubblici, politiche monetarie irresponsabili, sindacati che creano disoccupazione soprattutto tra poveri e giovani, fondi a pioggia verso settori non produttivi, protezionismo che danneggia i consumatori, stati sociali costosissimi, lobby che cercano rendite di posizione a spese del contribuente… per queste cose non occorre stare in Italia, in Grecia o in Russia. Sono proprietà inevitabili di ogni sistema politico democratico in cui l’ambito della scelta politica non è strettamente vincolato da principi generali che impediscono l’assalto alla diligenza che si ha quando un solo attore controlla il 40-60% delle risorse di una nazione.
Ecco perché nel libertarismo si sostiene che non è lecito considerare morale o, comunque, non immorale, un’azione commessa dallo Stato, se tale azione è giudicata comunemente immorale se commessa da privati. E mi riferisco a corruzione, tassazione e compagnia bella.
@Pietro M.
Dice bene, ovviamente. La mia speranza, destinata a rimanere tale, è che sempre più persone comincino ad utilizzare un po’ la logica per rendersi conto di queste cose, superando l’indottrinamento statocentrico ricevuto sin da bambini. Dopotutto sono questioni piuttosto ovvie, una volta toltisi gli occhiali della religione statalista.
Circa tutti gli esempi che fa, mi preoccupa invece una cosa: che tutto ciò dilaga sempre più, e non sembra avere alcun freno.
Considerando che le democrazie occidentali sono, tutto sommato, piuttosto giovani, mi chiedo fino a che punto si possa arrivare in un arco di tempo relativamente breve (diciamo pochi decenni).
In tanti, secondo me stoltamente, continuano a dire che “le ideologie del ‘900 sono superate, finite”: be’, a me pare che siano più vive che mai, perchè troppi concetti da esse derivanti permeano i cervelli delle persone sin dalle fondamenta.
@Armando
Ovviamente è un’esagerazione. Però è fuori dubbio che le differenze sono spesso non fattuali ma concettuali: è il modo in cui interpretiamo la realtà che ci porta a dire che due cose sono simili o dissimili. Così ieri ho visto a San Lorenzo una scritta totalmente ridicola: “No alla pena di morte, morte ai fascisti”, scritta dalla stessa mano.
E’ anche la stessa logica secondo cui se la ‘ndrangheta mi ruba la macchina, e il boss locale mi contatta per restituirmela e istituire un rapporto di riconoscenza/subordinazione, è un’attività mafiosa; se lo stato crea disoccupazione al 30% nel Sud con le sue politiche, e poi mi assume come portiere a qualche sede comunale più o meno inutile, invece si tratta di politica sociale. In realtà le due situazioni obbediscono alla stessa logica interna, che è quella di creare un rapporto di dipendenza per creare una situazione di potere sociale.
Non c’è dubbio che ogni tanto lo stato fornisca anche servizi utili, e sicuramente questa è una differenza che in molti casi è rilevante. Ciononostante, l’approccio alla politica è in genere basato su assiomi assunti acriticamente (come “i politici mi rappresentano”), slogan privi di significato (“il popolo sovrano”) e pregiudizi (“la politica fa l’interesse nazionale”). Un’analisi seria della politica non può fermarsi a queste cose (ovviamente non può neanche limitarsi a “le tasse sono un furto”: che è uno slogan scherzoso).
la differenza tra politici e potere economico è molto più labile di quel che i teorici comunisti ed i teorici liberisti vorrebbero pensare.. ed il legame è bi-direzionale..
ma attenti all’Italia ormai troppo vicino alla Grecia.. la GS è MOLTO vicina.. il nostro piccolo Napoleone sarà costretto ad andare al mare.. sembrerà merito o colpa, dipende dalla sQuadra x cui ognuno tifa, dei soliti partigiani contro la corruzione e le veline..
anche questa volta per fortuna quasi nessuno capirà.. poi verrà l’amara medicina.. lacrime e sangue x il bilancio… speriamo che anche questa volta come negli anni 90 possa bastare.. altrimento AMen..
Il Grillo Scrivente (che non è x niente Beppe:)
La democrazia è un sistema dove decide la maggioranza; non è possibile una democrazia alla ateniese, siamo troppi, quindi si ripiega su una democrazia rappresentativa; creandosi uno spazio tra chi fa le leggi e chi le subisce, e che dovrebbe controllare, si crea la possibilità che i primi operino secondo logiche clientelari o secondo principi avvulsi da quelli della congrega privata; la mancanza di una vera accountability della politica crea un livello di libertà d’azione dall’alto; questo si concretizza anche in una distinzione tra diritto pubblico e il subordinato diritto privato, che permette alcuni dei paradossi citati da Pietro.
In un sistema repubblicano esistono dei principi che sono fuori dalla portata di qualsiasi maggioranza, sopra dal bene e dal male, di là dalle sfere di diritto pubblico e privato. L’ordinamento italiano è un misto, dove lo spazio “repubblicano” è molto ridotto e enunciato in termini fin troppo astratti, tanto astratti che sono inapplicabili nella vita di tutti i giorni in modo universale (non esiste un principio di “contraffazione” che copra tutto fino alla moneta, né un principio di bancarotta che arrivi fino alla politica fiscale, neppure un principio di uguaglianza che parifichi tutti i lavoratori sotto l’art.18 – per le aziendine infatti non vale – eccetera).
In questo vacuum di principi fondamentali (che potrebbero anche essere quelli del codice civile, se non fossero sottomessi al diritto pubblico) c’è spazio per ridefinire i parametri di legalità più o meno a piacere, e per scalare i principi dipendentemente dall’ambito, privato o pubblico, di applicazione.
E’ sì un problema della democrazia, ma della democrazia in quanto “meccanismo” imperniato su un’assenza di riferimenti superiori, da cui l’assenza di una vera responsabilità. Si lascia uno spazio “sopra il diritto civile”, e giustamente chi lo abita ne prende i benefici o li utilizza come “merce” per socializzare la propria responsabilità.