16
Lug
2010

Dopo la riforma della lirica, ora è il turno del cinema?

Dopo la conversione in legge del decreto di riforma delle fondazioni lirico-sinfoniche, il Ministro Bondi si sta preparando ad affrontare anche il capitolo cinema. A breve dovrebbe arrivare in Consiglio dei Ministri un ddl governativo che, come minimo, scatenerà lo stesso clamore che si è avuto nel mondo della lirica. Da una nota di agenzia si è infatti appreso che, a partire dal 2011, la volontà del governo è quella di concedere “l’esclusività del finanziamento [pubblico] ai soli documentari, cortometraggi e opere prime e seconde”. Dall’elenco mancano i cosiddetti film di interesse culturale nazionale. La cosa non è di poco conto.
Nonostante si sia cercato di rendere sempre più oggettivi e premianti i criteri per l’erogazione dei contributi pubblici, lo stabilire quali siano le pellicole di “qualità” che abbiano diritto al sostegno dello Stato è sempre stato oggetto di polemiche. Naturalmente, non si può discutere di un disegno di legge estrapolando una riga da una nota di agenzia. Resta il fatto che su tale omissione si giocherà gran parte della discussione intorno alla approvazione della nuova legge sul cinema.
Gli operatori, è facile intuirlo, daranno battaglia. D’altronde, sul piede di guerra già ci sono. Andrea Purgatori, rappresentante del movimento dei 100 autori, ha espresso chiaramente la posizione di una buona fetta del mondo del cinema: “Questo governo detesta il cinema italiano”. Per Purgatori, ci sarebbe in atto un preciso disegno per controllare quanto viene prodotto per le sale. Se, con la scusa di recidere il legame fra Stato e cinema, si vogliono stringere i cordoni della spesa, il risultato sarà quello di avere commedie commerciali dallo scontato lieto fine. Sembra un po’ questo il ragionamento dei cinefili “impegnati”.
Senza voler entrare in dispute sulla qualità delle opere, par di capire allora che esista una stretta relazione fra il cinema assistito e quello di qualità. Quest’ultimo non può sopravvivere senza il sostegno dello Stato. In realtà, da parte dei 100 autori si afferma che è ben lontana da loro l’idea di un mondo del cinema che elemosina aiuti dal settore pubblico. La strada da seguire sarebbe piuttosto quella battuta dalla Francia. Il modello francese rappresenta infatti il mondo ideale per i nostri cineasti. Indubbiamente, confrontando i dati, il cinema francese sembrerebbe passarsela decisamente meglio di quello italiano.
Ma, il rilancio della cinema nostrano passa davvero per una tassa di scopo e per la nascita di un Centro nazionale per la cinematografia? Su tale strumento insistono gli addetti ai lavori. Tassare i ricchi (ad esempio, le televisioni) per dare ai poveri (il cinema impegnato). Oppure, tassare il biglietto di ingresso per creare un fondo per il cinema. Che i soldi arrivino dalla fiscalità generale, dai profitti dei cugini fortunati o dalle tasche degli spettatori, non dovrebbe fare una gran differenza. Il problema si porrebbe negli stessi termini: chi decide a chi devono andare i soldi raccolti? La nascita di una Agenzia “indipendente”, riuscirà a recidere il legame fra politica e mondo dello spettacolo?
Anche la storia del tax shelter e del tax credit per il cinema dimostra che, alla fine, ci si va sempre a scontrare con quel muro: un muro fatto di commissioni che decidono chi ha o non ha il diritto di beneficiare delle agevolazioni fiscali.
La stessa sorte potrebbe subire la proposta di ridurre l’Iva per il settore. Attualmente al 10 per cento, il cinema potrebbe avere lo stesso trattamento dei libri (Iva al 4 per cento). Se poi si volesse riservare anche al dvd le condizioni di cui gode il libro, si scenderebbe dal 20 al 4 per cento. Le risorse che si libererebbero sarebbero ingenti. Ma un provvedimento del genere potrebbe mai diventare realtà? Se si dovesse superare lo scoglio del parlamento nazionale, ben più arduo sarebbe scavalcare il bastione comunitario. Aggirarlo vorrebbe dire abbassare l’Iva solamente per quelle pellicole che abbiano un particolare valore culturale. Così facendo, si tornerebbe da capo.
Non rimane allora che aspettare di vedere come il ministro Bondi realizzerà il suo progetto di riforma del cinema. Avremo la fine dei contributi pubblici dati da apposite commissioni alle presunte opere di qualità?
L’alternativa è regalare a tutti gli operatori l’autobiografia di Roger Corman (“Come ho fatto cento film a Hollywood senza mai perdere un dollaro”). Potremmo finalmente avere registi di culto che non necessitano dell’aiuto dello Stato. In tal modo, poi, si potrebbe anche sopprimere il Centro sperimentale di cinematografia. La factory di Corman ha visto passare registi del calibro di Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, Joe Dante, John Sayles e tanti altri. Il tutto, senza perderci un dollaro e senza gravare sulle spalle dei contribuenti.

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