Distanze sociali
Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, da Mario Dal Co.
Insane abitudini
Al gioco dell’Oca chi arrivava alla casella 58 doveva tornare indietro alla 1 e gli mancavano solo 5 caselle alla fine. L’epidemia non uscirà di scena a breve. Però, nel tunnel non è possibile fare conversione ad U e tornare indietro. Lo schema stop and go, annunciato dal governo e suggerito da molti esperti non ha senso. Non che manchino i rischi. Si parla di guerra, ma quando mai si è vinta una guerra ritornando indietro? Semmai il tema è come recuperare, da subito tutto il terreno perduto: indietro ci siamo già andati e molto.
C’è un’espressione che è entrata nel lessico di ogni giorno: distanziamento sociale. È un’espressione sbagliata. Ciò che stiamo praticando è un distanziamento sanitario, non sociale. Questione di termini?
Non solo. Distanziamento sociale è un dovere sociale, di tutti a beneficio di tutti. Distanziamento sanitario, che è quello che stiamo praticando per ridurre la diffusione dell’epidemia, è una prescrizione igienica che serve a tutelare la salute soprattutto degli anziani. (A scanso di equivoci sono uno di quelli). La seguiamo tutti, ma la seguiamo non per la salute di tutti, ossia della società, ma per la tutela della salute degli anziani.
Le nuove barriere contro il diffondersi della pandemia non possono essere la ripetizione delle vecchie, né possono essere innescate sulla base di algoritmi, a meno di abdicare alla funzione stessa di un governo. Per la verità non ci dovranno essere nuove barriere, ma nuovi strumenti: se il governo dovrà sostenere i redditi, lo faccia in modo produttivo. Ad esempio, creiamo borse di studio per i giovani che vanno all’università, commisurate al reddito, ma capaci di sostenere coloro che frequentano con successo e non ne hanno i mezzi. È un investimento nel futuro dei giovani e del Paese e costa come sussidiarli a non fare nulla, come accadde con il reddito di cittadinanza.
Occorre investire nella sanità, dalle case per gli anziani, alle terapie intensive, ai presidi territoriali, ad un Centro per il Controllo delle Epidemie? Lo si faccia coinvolgendo anche i beneficiari. Se si decide di investire in RSA (veri buchi neri della fase 1) si ponga una assicurazione privata obbligatoria per gli anziani: sono i principali beneficiari e basterà limitare l’intervento assistenziale a chi non ha i mezzi sufficienti. Una società non sta insieme sulla base della assistenza e dei lacrimevoli trailer delle pubblicità sociali. Occorre agevolare il lavoro, non ostacolarlo, agevolare l’andare a scuola, incentivare lo studio, prolungare i turni e le lezioni, non garantire la promozione agli esami. Invece vado alla Posta, dove le distanze sanitarie concordate tra azienda e sindacati sono 4 volte quelle delle fabbriche e quindi attendo in ordinata fila all’esterno. Ma siamo in un servizio essenziale, con lavoratori ipertutelati, in un’azienda ipergarantita, guidata da manager intonsi eppure mancano i bollettini per le spedizioni ordinarie! Il governo e i suoi enti si preoccupino di funzionare bene: meno assistenza e più lavoro.
Si sono posti vincoli terribili sulle attività produttive, in particolare sui servizi, con effetti drammatici sul turismo, primo settore esportatore del nostro Paese? Bene, si semplifichi e si liberalizzino le attività si tolgano divieti, si consenta di innovare, si riduca la burocrazia da subito, si evitino nazionalizzazioni nefaste. Se per viaggiare occorrono nuovi sistemi di condizionamento si investa su quelli, non sui divieti di trasporto. Meno blocchi e più lavoro.
Il governo ricomprerà per l’ennesima volta l’Alitalia, nel momento di mercato meno favorevole: dovrebbe chiedere dei soldi ai vecchi azionisti per farsene carico. Questo intervento produrrà non posti di lavoro ma esuberi. Nel Parlamento, poche obiezioni. Però si è levato un muro contro il ricorso a SACE da parte del Gruppo FCA. SACE assicura l’export: se FCA-Italy esporterà prodotti italiani dall’Italia, perché non dovrebbe accedere? Sembra il vecchio riflesso della sinistra adottato ora da buona parte dei sovranisti: quello contro i “padroni”, ieri Marchionne e prima l’Avvocato e prima ancora Valletta. Coazione a ripetere. Meno discussioni e più lavoro.
Le Regioni incartate
Nessun cittadino animato dalla migliore volontà potrebbe tollerare un ritorno al passato recente. Tutte le carenze, e non intendo solo quelle dovute al governo in carica, di impreparazione, di miopia, verrebbero al pettine in una crisi politica e sociale che travalicherebbe la drammatica situazione economica e sanitaria. Non è andato affatto tutto bene.
Penso che l’errore peggiore sia quello di annunciare che si può tornare indietro in base ad algoritmi regionali: si tratta di una salomonica astuzia dalle perniciose conseguenze. Dando alle Regioni l’autonomia di decisione sulle modalità di sblocco, il governo ha deciso di attribuire loro tutte le responsabilità del fallimento. In tal modo ha anche introdotto un automatismo per salvare l’anima al governo, dicendo più o meno così: non solo te lo avevo detto che sbagliavi a chiedere l’autonomia, ma ho anche predisposto lo strumento per rimediare ai tuoi errori.
Eppure non è così. La decisione di uscire dalla fase del blocco deve essere accompagnata da tutto ciò che serve per non tornare indietro, da decisioni operative che ci facciano andare avanti, con interventi di semplificazione, snellimento burocratico, privatizzazioni, investimenti pubblici e privati.
Le regioni si sono fatte incastrare dal governo, Conte ha dimostrato altre volte la sua abilità dialettico-istituzionale, usandola per coprire il vuoto politico decisionale dei diversi governi e l’assenza di una strategia di rilancio dell’attività economica e della competitività. Le Regioni hanno rivendicato, giustamente, la loro autonomia, anche per difendere le attività economiche sul territorio. Ma non hanno imposto al governo le necessarie scelte per far fronte all’emergere di una nuova crisi. Dovevano insistere sul sistema di garanzie e di servizi necessari a sostenere la riapertura. Meno incertezze e più lavoro.
Immuni?
La vicenda di Immuni, la app che dovrebbe assicurare il tracciamento dei contatti a rischio, è emblematica. Partita in ritardo, senza voler affrontare il problema centrale: vale la pena rinunciare a qualche tutela della privacy a fronte di una maggiore libertà individuale e possibilità di lavorare? La domanda non è stata posta al cittadino (come fecero in Corea dopo la MERS arrivando così ben preparati all’appuntamento COVID-19): non abbiamo avuto la possibilità di esprimerci sul trade off salute per gli anziani / salute della società. Uno solo ci ha provato a farlo in modo esplicito, Boris Jonhnson, e gliene va reso merito anche se poi è risultato che anche lui era del tutto impreparato.
Ora Immuni dovrebbe essere in fase attuativa e tutta l’attenzione si è spostata sulla privacy e sulla sicurezza, temi che andavano esplicitati chiedendo con chiarezza quanta privacy e quanta sicurezza eravamo disposti a tollerare pur di avere uno strumento efficace per contenere l’epidemia e tornare al lavoro e alle nostre insane abitudini.
Ma si tratta di un problema secondario: non è questo il problema principale della app. Il suo funzionamento dipenderà solo in minima parte dalla tutela della privacy e dipenderà in modo stringente dalla capacità di alimentare la banca dati dei contagiati da parte del back office della sanità. Sistema Sanitario Nazionale e quindi soprattutto Regioni devono avere una struttura unica, coordinata, efficiente e autorevole per alimentare e gestire velocemente le segnalazioni al fine di consentire il tracciamento dei contatti a rischio. Questo back office è lo stesso che deve funzionare per l’ordinaria gestione della sanità in periodo di coronavirus, ma non è in lavorazione: nulla di ciò che serve programmare e predisporre sta avvenendo: il so buon funzionamento ridurrebbe gran parte del rumore di fondo che disturba, dall’inizio le trasmissioni del governo nell’etere del coronavirus: mascherine sì, anzi no, anzi sì, tamponi no, anzi sì, anzi solo a etc.
Anche a livello europeo troppo poco si è fatto per dotarci di un sistema condiviso di gestione della fase 2. Davvero crediamo che la ripresa e il ritorno alla crescita possano avvenire al di fuori del ripristino delle condizioni di libera circolazione non solo tra Regioni, ma in Europa? Davvero le staccionate tra Regioni a base di ordinanze hanno un qualche senso e sono compatibili con una ripartenza? Meno barriere e più lavoro.
Esplicitare e discutere le scelte
L’accesso alle informazioni dei cittadini è considerato violazione della privacy dai paesi occidentali, ma una limitazione di tale tutela sta a fronte di una minore limitazione delle libertà di movimento e di lavoro. Occorre pesare questi due costi, prima di fare scelte ideologiche. Rinunciare a discutere questo punto è sbagliato. Il lock down è destinato a proteggere prevalentemente gli anziani: il costo è prevalentemente sulle spalle dei giovani dei disoccupati dei lavoratori autonomi dei servizi, delle donne.
I sacrifici e i benefici che ci vengono annunciati come generali, nell’ideologia “andrà tutto bene” e “il Paese riscopre il bene pubblico della solidarietà” non sono beni comuni: settori della società come i pensionati e il pubblico impiego – con l’eccezione del sub-settore sanitario – sono esenti da questi costi. Anzi il lock down induce risparmi notevoli sulle spese, mentre i costi delle piccole imprese in larga misura corrono, senza fatturato. Così i risparmi dei primi aumentano e si consumano per i secondi o aumenta il loro indebitamento, le loro imprese falliscono. Quindi, il costo del lock down è distribuito molto diversamente tra gruppi e settori della società. Anche i benefici del lock down sono distribuiti in modo differenziato: il maggiore beneficio va agli anziani che sono anche, spesso, pensionati. Questi ultimi non hanno affrontato costi e hanno i maggiori benefici dalle politiche di tutela della salute. Io sono un privilegiato.
Se il lock down è così fortemente distorsivo dal punto di vista distributivo, esso non deve e non può durare, soprattutto perché esso non ha legittimità, non essendo stata affrontata la discussione sul trade off salute per gli anziani / salute della società. Meno paura e più lavoro.