Diritti acquisiti (e le risorse a chi le sottraiamo?)
Poiché le condizioni della finanza pubblica e il duro giudizio su di noi dei mercati finanziari ci impediscono di continuare con deleterie ma consolidate abitudini di spreco delle risorse collettive bisogna con immediatezza ripristinare rigide regole di comportamenti virtuosi ai quali saranno drasticamente assoggettati … i successori dell’attuale classe politica. Un pò prima delle calende greche, lustro più lustro meno, ma non sappiamo se prima o dopo il default.
Questa è la lettura delle recenti decisioni, regionali e parlamentari, di abolizione dei vitalizi che decorrerà tuttavia solo dalle prossime legislature e solo per i membri di nuova elezione:
Le Regioni sono pronte ad abrogare i vitalizi ai propri consiglieri a partire dalla prossima legislatura. Lo ha deciso la Conferenza delle Regioni d’intesa con i presidenti dei vari Consigli.
Dalla prossima legislatura i consiglieri regionali della Sardegna non percepiranno più l’assegno vitalizio.
Fini ha anche annunciato che la Camera abolirà il vitalizio degli ex parlamentari. A sostituirli dovrebbero arrivare, dalla prossima legislatura, nuove e diverse forme di previdenza.
Palazzo Madama ha reso noto che il Consiglio di Presidenza del Senato, presieduto dal presidente Renato Schifani, ha deliberato all’unanimità il superamento dell’attuale sistema degli assegni vitalizi, … questa abrogazione si verificherà “a partire dalla prossima legislatura per i nuovi eletti”.
Per equità e simmetria bisognerebbe allora prevedere che le nuove e maggiori tasse che sono state e saranno stabilite si applicheranno solo a coloro che perverranno nello status di contribuenti dalla prossima legislatura. Sia ben chiaro che non si tratta di una provocazione ma di una proposta serissima e ineccepibile che mi auguro qualche parlamentare ragionevole voglia tradurre in proposta normativa. Infatti la ragione da tutti addotta all’impossibilità di intervenire sui vitalizi esistenti e sui vitalizi promessi ai parlamentari esistenti consiste nei cosiddetti ‘diritti acquisiti’ che secondo molti commentatori multipartisan, non neutrali ma rientranti a pieno titolo nei beneficiari o aspiranti tali dei vitalizi, sarebbero addirittura garantiti dalla Costituzione. Ma da quale articolo non viene precisato, essendo forse stato scritto con inchiostro simpatico da quei bontemponi dei padri costituenti…
Un ragionamento analogo viene applicato, su ben più vasta scala, ai trattamenti pensionistici: sino ai primi anni ’90 era concesso ai dipendenti pubblici femmine di andare in pensione con quattordici anni, sei mesi e un giorno di contributi e ai maschi con diciannove anni, sei mesi e un giorno. Il riscatto della laurea e il periodo del servizio militare rientravano a pieno titolo nel computo di tali requisiti. Questi casi estremi sono stati superati dalle riforme senza peraltro chiedere, sempre per la ragione dei diritti acquisiti, nessun sacrificio ai già beneficiati; sono rimaste inoltre le pensioni di anzianità che è ragionevole sussistano per chi fa lavori pesanti ma non certo per chi lavora ad una scrivania.
Siamo sicuri che tutti questi diritti acquisiti siano davvero intoccabili? Si tratta di diritti acquisiti che richiedono risorse che tuttavia non sono state per nulla acquisite. A chi dobbiamo sottrarle allora per pagare questi diritti? E i possessori delle risorse espropriande non dovrebbero avere anch’essi acquisito il diritto di non vedersele sottrarre dal legislatore corrente per pagare gli onerosi diritti che i legislatori passati hanno allegramente elargito a destra, a manca e soprattutto (come direbbe Crozza) ad minchiam? Il contribuente attuale, che ha iniziato a lavorare quando la pressione fiscale era al 25, 30 o 35% non ha dunque acquisito il diritto di non vedersi espropriare i frutti del suo lavoro al fine di distribuire ad altri benefici che egli non potrà tuttavia avere quando si ritroverà in identiche condizioni?
Non ci accorgiamo che tutte queste irragionevoli asimmetrie cozzano pesantamente con quella semplice definizione di equità orizzontale e di equità verticale che Aristotele aveva, un pò di legislature fa, offerto ai lettori dell’Etica Nicomachea? Trattare in maniera eguale gli eguali e in maniera differenziata e proporzionale i diseguali non dovrebbe essere opera complessa e irrealizzabile. Se però infiliamo nella definizione di Aristotele il cuneo dei diritti acquisiti ecco che gli eguali diventano diseguali (gli eguali coi diritti acquisiti diventano più eguali degli eguali senza diritti) e i diseguali che hanno versato meno contributi possono, grazie ai diritti acquisiti, eguagliare nei trattamenti coloro che hanno versato molti più contributi.
Il principio di Aristotele è sufficiente a ridisegnare da cima a fondo all’insegna dell’equità il nostro sistema fiscale e quello previdenziale (sono convinto che incorporerebbe in automatico anche il principio della minimizzazione della distorsione delle imposte) e potrebbe portarci a un pò di risparmi di spesa pubblica. Propongo allora alcuni petali di una sorta di margherita aristotelica (non completa) di riforma della previdenza (prendendo da Aristotele sia la definizione di equità sia il principio del μέσον τε καὶ ἄριστον, della ricerca di soluzioni equilibrate distanti da quelle estreme) :
- Poichè le pensioni in essere sono tutte più consistenti rispetto all’ipotesi di applicazione integrale del criterio di calcolo contributivo, si limita (per il 2012 ed eventualmente anche oltre) l’applicazione dei previsti criteri di indicizzazione ai soli importi non superiori allo stipendio medio lordo mensile di un neolaureato assunto nell’ultimo anno (è un modo grezzo ma simbolico per segnalare l’esigenza di equità intergenerazionale).
- Dal 1° gennaio 2012 si applica pro rata a tutti i lavoratori il criterio contributivo, cancellando la dicotomia del sistema introdotto dalla riforma Dini del 1995.
- Dal 1° gennaio 2012 a tutti i lavoratori che fanno domanda per la pensione di anzianità si applica il criterio contributivo per il periodo successivo alla riforma Dini; se può sembrare soluzione troppo estrema si applica il criterio contributivo almeno per gli n anni più recenti di contribuzione corrispondenti agli anni mancanti ad ogni richiedente al raggiungimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia.
Naturalmente, a seconda del coraggio del riformatore, si possono adottare tutti o solo alcuni dei provvedimenti precedenti. L’importante è avviare un cambiamento all’insegna dell’equità e della sostenibilità del sistema. Se vogliamo ridurre il famoso spread di rendimento tra btp e bund dovremmo forse iniziare a ridurre lo spread tra i benefici e gli oneri previdenziali dei titolari dei diritti acquisiti (ivi compresi i beneficiari dei vitalizi ‘politici’). In caso contrario come possiamo permetterci di criticare la Merkel per il fatto che non vuol chiedere ai suoi concittadini, i quali vanno in pensione a 67 anni, di sostenere economicamente gli inguaiati italiani affinché possano continuare ad andare in pensione mediamente un decennio prima dei tedeschi?
Magari.
Vitalizi con una “z”, però. 🙂
Un lapsus freudiano? Forse data la loro consistenza monetaria una “z” sola sembrava troppo poco. O il raddoppio faceva da pendant al mio sentimento in merito il quale include una doppia zeta a metà della parola.
Che ne dice, si potrebbe mantenere i diritti acquisiti e tassarli con un aliquota dell’85%……
Mi sembra molto logico e giusto! Una generazione si e’ appropriata delle risorse dell’altra e si cerca di far passare il furto in un diritto acquisito!! Come dire…ormai e’ fatta!!!
Molto intelligente il riferimento ad Aristotele. ( su questo sono fiducioso, Monti i classici li ha letti!! )
Qualcuno saprebbe dirmi dove sta la complicatezza nel voler erigere una società in cui tutto è conseguenza dei diritti umani e non in cui i diritti umani sono una conseguenza del tutto? E’ così difficile radere a zero tutto ciò che è esterno allo scopo dell’uomo (la felicità) e basare tutto su di essa? Euro? Riforme? Corruzione? Tasse? No. Casa, lavoro e tempo libero.
Mi rendo conto della genericità della domanda, forse anche un pò fuori luogo (in realtà non lo è mai, fuori luogo), ma magari qualcuno ha voglia di dedicarmi due minuti del suo tempo.
Grazie 🙂
Pienamente d’accordo.
Diritti acquisiti uguale diritti rubati.
Carissimo Giò, la domanda che poni è, per cos’ dire, molto umana… ma la “complicatezza” c’è, eccome.
Il nocciolo del discorso è filosofico (quali devono essere considerati diritti umani inalienabili e quali no). Io per esempio mi accontento di uno Stato che protegga l’incolumità e la proprietà e che non interferisca mai tra adulti consenzienti. Invece mi ritrovo imprigionato in un Sistema-babysitter che pretende di accompagnarmi dalla culla alla tomba.
La casa? No grazie, me la procuro da solo. Il lavoro? No grazie, me lo procuro da solo. Il tempo libero? No grazie, il tempo è solo mio ed è libero sempre per definizione.. e non sarà certo lo Stato a decidere quando deve essere libero e quando invece può essere occupato.
é sacrosanto che tu abbia diritto di far parte di uno Sistema-babysitter ma non trovo giusto che mi obblighi a pagare per te.
Se poi ci fate caso, chi oggi gode di diritti acquisiti, sono proprio i nostri padri (o nonni) che come è noto di tasse ne hanno pagate, se va bene, un decimo di quelle che paghiamo noi e da tanti anni incassano la pensione. Probabile che abbiano già incassato dieci, venti, (cento?) volte quello che hanno versato. Come diceva il Principe De Curtis ….. e io pago!
Se dobbiamo avere il contributivo, da domani TUTTE le pensioni anche quelle pregresse saranno ricalcolate con il contributivo, chi scende sotto il minimo avrà la pensione minima, amen.
Fantascienza, quello che avverrà e che chi è andato in pensione e ha poi fatto un secondo lavoro avrà investito in immobili con il risultato di:
1) avere i figli disoccupati in casa una vita
2) lascierà in eredità gli immobili al figlio 50 enne laureato in scienza delle comunicazioni
3) quando l’anno prossima si scongelerà anche da noi la bolla dell’immobiliare il figlio si mangerà i mattoni
Io è da un ventennio che li chiamo “furti acquisiti” e da una vita che vedo il modello di ragionamento trasversale più applicato in Italia: “il culo degli altri”.
Tra poco il ponte crollerà e qualcuno si ricrederà, ma non prima, siamo fatti così
@claudio
Caro Claudio, grazie per la risposta..
Anche io ritengo che il problema sia di tipo filosofico, sostanzialmente. Sono giovane e ancora non conosco ampiamente le dinamiche del liberalismo cui ti riferisci (perchè è di quello che si tratta, giusto?), ma ciò che so, o che penso di sapere, è che effettivamente esistano diritti inviolabili che sono esperienzalmente e quotidianamente condivisibili da tutti coloro che hanno una coscienza.
Ripeto, io non conosco a fondo le dinamiche del liberalismo, ma mi sembra di aver capito che il suo funzionamento a pieno regime garantirebbe (forse) un ampio benessere ad una società, gravando però in maniera consistente su di un’altra in cui i diritti umani inesistenti garantirebbero una concorrenza. Il liberalismo ideale sarebbe (forse) garante della salute dell’uomo (ed è per la salute e per la libertà dell’uomo che una società esiste, o sbaglio?) solo a condizione che tutte le società appartenenti al circolo del libero scambio garantiscono al proprio popolo un adeguato e similare livello di diritto. E così’ non è.
Evitare che questo accada vorrebbe dire limitare il mercato, e a quel punto però, non sarebbe più liberalismo. Ripeto, non ho letto molto in proposito….sto parlando affidandomi ad autonome speculazioni…ma ciò cui sono arrivato, adesso, è la sensazione che in QUESTO mondo il liberalismo arriverebbe a contraddirsi profondamente. E questo, senza entrare nel merito (perchè non ne ho le conoscenze) dell’effettiva qualità di una (singola) società liberale. Può darsi che a prescindere dal problema che ho sollevato il liberalismo non funzioni comunque.
Detto questo, penso che se come dici è vero che è la libertà ad essere ciò cui l’uomo deve aspirare, credo siano sono state pensate formule ben più attinenti a questo tema. Ad esempio, l’Anarchia. Peccato però che esista il denaro.
Il concetto di libertà applicato alla società moderna è profondamente legato all’esistenza di diritti inviolabili. Non è libero colui che è costretto. E al di la delle costrizioni individuali decise dalla propria coscienza, in questa società esistono una marea di più o meno sottili costrizioni provenienti dall’esterno. E l’hai sostenuto anche te! Ci ritroviamo d’accordo col sostenere che lo stato dovrebbe limitarsi a garantire l’incolumità (in un futuro ideale lo stato non dovrebbe fare neanche quello, per come la vedo io. Sono un pò anarchico in realtà, ma mi rendo conto che la società non è pronta per un sistema anarchico).
Il problema è: che cosa si intende per incolumità? Se provi a stringere, un pò arditamente il cerchio, noterai che incolumità è sinonimo di felicità, non di libertà. La libertà è tollerabile finchè non mette in discussione il principio dell’incolumità. E, oggettivamente, sul nostro percorso di vita ci sono tante, tante, tante cose condivisibili che mettono in discussione proprio la nostra felicità (e in un altro momento potrei tentare di dimostrarne l’oggettività, entro certi limiti).
Concludendo, non è possibile dare libero sfogo alle nostre più sfrenate fantasie senza rompere rovinosamente il patto civile stipulato con l’insorgere dell’intelligenza, dell’educazione e del rispetto. I diritti esistono, e sono “quelli che non fanno male a nessuno”.
Giò.
@claudio
…e aggiungo che io non voglio, come hai scritto, uno stato che organizzi il tuo tempo!! Al contrario! Se ho scritto casa, lavoro e tempo libero, è perchè è diritto di tutti avere questi 3 elementi, ma non penso che si debba essere obbligati dallo stato ad averli nei modi da esso decisi.
I have a dream: che un giorno il lavoratore ed il datore di lavoro saranno liberi da obblighi contributivi; che chi vorrà la pensione se la costruirà mentre lavora; che, se proprio dovrà esserci una pensione obbligatoria, essa pagherà ogni mese solo 3 kg, di pasta, 5 kg, di verdura ed un po’ di corrente elettrica al pensionato, E BASTA, con contributi proporzionati e non folli.
Adesso mi fermo, perchè un altro disse “I have a dream”, ed ha fatto una brutta fine.
Caro professore, le faccio una domanda precisa e vorrei una risposta precisa; se uno è andato in pensione con il retributivo, diciamo 10 anni fa con le regole di quel momento e con 35 anni di contributi e poteva restare invece al lavoro, ed accettasse la logica del contributivo, non le pare che avrebbe per lo meno il diritto di essere reintegrato nel suo lavoro? Perchè a fronte di un contratto di allora tra le due parti, liberamente sottoscritto, l’ eventuale rescissione da parte di una delle due parti, unilateralmente, dovrebbe prevedere un risarcimento che è appunto rappresentato dal reintegro nel proprio lavoro per cui si godeva nella fattispecie di uno stipendio del 30% superiore all’ importo dell’ assegno.
Altra questione che le pongo, è quella che i contributi versati, se si pensa che sono per 2/3 a carico delle aziende e per 1/3 a carico del lavoratore, negli anni 70/80 con i tassi di rendimento di allora degli investimenti, avrebbero reso molto di più, di eventuali investimenti in periodi successivi al 1996/97, se investiti ad esempio in altri canali, pertanto non tutte le logiche su retributivo o contributivo, da un punto di vista strettamente utilitaristico, sono equivalenti.
Certamente! Che siano finiti i soldi, che ai giovani e meno giovani di oggi non spetta e non spetterà nesun diritto, che siano cambiate le aspettative di vita, sono particolari irrilevanti rispetto ai diritti acquisiti giusto?