Di Grecia e slippery slopes – parte I
Questo post si divide in due parti: da un lato l’analisi di breve termine della situazione greca e delle opzioni di policy, dall’altro l’analisi delle conseguenze di lungo termine del modo in cui i problemi politici vengono affrontati. La conclusione della prima parte è che la soluzione migliore è politicamente quasi impossibile da attuare perché è temporalmente inconsistente; la conclusione della seconda è che più i politici creano problemi, più chiedono potere per potervi rimediare: il sistema politico in questo modo si autoalimenta e genera un rincorrersi di problemi veri e soluzioni temporanee che porta a soluzioni inefficienti ed illiberali, e nel lungo termine probabilmente insostenibili. Un cane che si morde la coda è meno assurdo di una politica che si erge a soluzione dei problemi che essa stessa ha creato. Per ora mi limito al primo livello di analisi… la seconda parte è più breve ma più difficile da seguire.
La Grecia – un’analisi pragmatica
Il post di Seminerio sulla crisi greca e il successivo scambio di commenti con Boggero hanno mostrato alcuni gravi problemi che inevitabilmente si dovranno affrontare, qualsiasi cosa si decida di fare. Se le alternative fossero due – salvare o non salvare – sarebbero entrambe pessime alternative: vedremo però che ne esiste una terza, citata da Seminerio nei commenti, che però sconta alcune importanti difficoltà implementative.
Un collasso sistemico greco avrebbe una serie di conseguenze non particolarmente divertenti: anche se i tre porcellini rimanenti (Portogallo, Italia, Spagna, che insieme alla Grecia formano il meritato acronimo PIGS) non hanno finora avuto scontri di piazza come la Grecia, sono politicamente, socialmente ed economicamente molto simili. Di conseguenza, il fallimento della Grecia farebbe probabilmente schizzare verso l’alto anche il costo del debito degli altri governi, e anche di qualche altro paese, magari dell’Europa Orientale, o forse l’Irlanda o la Gran Bretagna (meno probabile), creando una carambola di conseguenze politiche potenzialmente gravi.
D’altra parte, un bailout tout court, totale e incondizionato, creerebbe moral hazard, e danneggerebbe l’economia europea e la credibilità dell’euro nel lungo termine, oppure produrrebbe una totale centralizzazione economica e politica dell’Unione Europea, che verrebbe così ad assomigliare ad un’altra e molto più malfamata Unione, ufficialmente scomparsa una ventina d’anni fa. Un bailout incondizionato, infatti, equivale alla socializzazione dei costi creati dall’irresponsabilità dei governi: gli incentivi politici alla demagogia verrebbero massimizzati, perché i suoi costi diventerebbero europei anziché nazionali. E siccome la demagogia fa quasi sempre guadagnare voti, e rappresenta quindi una tendenza naturale delle dinamiche politiche, meglio evitare di aggiungere incentivi mirati.
Per evitare ciò, ci sarebbero due strade: le regolamentazioni e le nazionalizzazioni. Ogni paragone con la crisi finanziaria non è casuale: il ragionamento è perfettamente simmetrico, tranne per il fatto che i governi tendono spontaneamente a fare idiozie, cosa che imprese soggette a perdite e fallimenti hanno meno incentivi a fare. Regolamentare significa impedire ai governi di adottare politiche fiscali che facciano free riding sugli altri paesi europei: l’esempio più lampante è il Trattato di Maastricht, che sulla carta impone dei limiti a debiti e deficit pubblici, e che in pratica non è stato fatto rispettare, cosa di cui si stanno pagando le conseguenze ora. L’alternativa alle regolamentazioni sono le nazionalizzazioni (in questo caso, forse, si dovrebbe parlare di supernazionalizzazioni): l’Europa deciderebbe tutto centralmente. In questo caso, si avrebbe la totale perdita di autonomia di politica fiscale per i governi, che, irresponsabilizzati dalla safety net dei bailout, non sarebbero più in grado di evitare di creare problemi con decisioni demagogiche. Il pericolo di questa china è che l’Unione Europea diventerebbe una sorta di Stato nazionale, centralizzato ma multi-etnico, e quindi strutturalmente conflittuale e disfunzionale, una sorta di Impero Asburgico con la struttura istituzionale della Francia Giacobina.
Esiste una terza alternativa, ed è quella proposta da Seminerio: un bailout condizionato. Non è un’idea nuova: Bagehot faceva lo stesso identico ragionamento nel difendere il ruolo di lender of last resort della Bank of England nell’Ottocento, cosa che purtroppo almeno nel caso dei mercati finanziari ha prodotto in genere effetti deleteri, perché alle istituzioni politiche rimane difficile, se non impossibile, essere responsabili e credibili. Insomma: la public choice non è un problema solo in Grecia.
La cosa migliore da fare, se non esistessero problemi di public choce, sarebbe che qualcuno, magari la Germania (si può fare di meglio, come vedremo), dia dei soldi alla Grecia per un soft landing: ristrutturare il debito, pagare i debiti a scadenza breve, avere il tempo di ridurre la spesa, ridurre il debito pubblico, creare un attivo di bilancio, e ripagare i debiti al lender of last resort.
Però c’è un però, e, anzi, ce ne sono diversi. Io ho usato la parola soft landing: non un refuso, ma voluta ironia. L’ultima volta che ho sentito parlare di soft landing correva l’anno 2002, ed un tizio socialmente pericoloso, Alan Greenspan, stava creando le precondizioni per il collasso finanziario del 2007, causando moral hazard con salvataggi asimmetrici, e senza contropartita, di tutto il sistema economico.
Il problema principale è che chi salva la Grecia oggi, ad emergenza finita, finirà a fare la figura del cattivo: dovrà esigere serietà alla Grecia, e far soffrire i cittadini greci, per evitare di creare un precedente che è incompatibile con il buon funzionamento della democrazia greca e con la credibilità monetaria, e quindi la stabilità finanziaria ed economica, di tutta l’area dell’euro. E rovinata quella, si perderanno anche i mezzi per evitare future proteste di piazza: l’euro diventerebbe una barzelletta. Se le cose dovessero andare bene, il giorno dopo il bailout ci sarebbe l’assalto dei demagoghi. I cittadini greci, sobillati da qualche populista locale (non mancano mai: la democrazia ne crea spontaneamente), direbbero che non vorranno pagare il costo della ristrutturazione; gli emuli di Keynes scriverebbero “The economic consequences of the peace (boom)” per salvare la Germania (Grecia) dall’ingiustizia del Trattato di Versailles (Maastricht); gli emuli di Tremonti cercherebbero in tutti i modi di estendere a tutta l’Europa le tecniche di compravendita dei voti nazionali a spese dei cittadini di tutto il resto d’Europa che avranno osservato applicate con successo in Grecia.
Insomma: un salvataggio condizionato, come direbbero Kydland e Prescott, è una strategia che è ottimale, ma temporalmente inconsistente. C’è bisogno di coraggio e responsabilità politica – statesmanship, appunto – per affrontare la crisi oggi, per non farla dilagare, ed evitare di pagarne le conseguenze tra qualche anno, creando pericolosi precedenti. Peccato che fare il contrario vada in genere a tutto vantaggio dei politici.
Nel lungo termine, per evitare il free riding sulla credibilità dell’euro, i paesi europei devono regolamentarsi in modo tale da non trovarsi nella situazione della Grecia (e degli altri maialini: non dimentichiamo che i conti italiani sono pessimi): la soluzione già esiste e si chiama Trattato di Maastricht, che però non è stato fatto rispettare con il dovuto rigore (e quindi non è credibile che lo sarà in futuro). Se negli ultimi dieci anni si fosse costretta la Grecia a ridurre il deficit e il debito, l’attuale problema non si sarebbe probabilmente mai posto. Forse Maastricht neanche basta: occorre magari anche porre limiti all’indebitamento a breve, oltre che all’indebitamente assoluto, in modo da minimizzare i rischi di rollover, particolarmente gravi in casi di crisi finanzaria. Ogni paese dovrebbe avere un contingency plan per sopravvivere finanziariamente senza bailout a diversi anni di siccità finanziaria, cosa che è molto difficile da realizzare quando la liquidità abbonda e tutti si illudono di poter vivere la vida loca.
Un ultimo problema è: chi deve salvare la Grecia? Se ci pensasse l’Unione Europea, si avrebbe un problema di concentrazione del potere: una cosa è porre dei paletti ai debiti, come il Trattato di Maastricht, un’altra è creare un centro di potere politico a Bruxelles, probabilmente incontrollabile e irresponsabile. Quindi tutti i paesi europei, proprio come le banche membro di una clearinghouse, dovrebbero mettersi d’accordo per salvare la Grecia: è l’opzione migliore. Salvare la Grecia, non dimenticarsi di chiederle il conto, costringerla seriamente a mettersi in riga, e non farlo attraverso l’Unione Europea: credo sia tecnicamente possibile fare tutto ciò, ma che lo sia politicamente dipenderà dal coraggio e dalla perspicacia dei nostri leader politici, il che non lascia ben sperare. Richard Wagner – l’economista e non il musicista – disse che i politici diventano statisti al più quando giungono all’età per scrivere memoriali: solo quando sono sufficientemente vecchi ed appagati per non curarsi delle pressioni della concorrenza politica, possono fare qualcosa di coraggioso e responsabile, altrimenti soffriranno uno svantaggio competitivo rispetto ai loro colleghi più populisti.
L’ultima complicazine è: quali strumenti ha l’Europa, o i singoli paesi europei, per costringere la Grecia a non comportarsi in maniera irresponsabile? Senza strumenti coercitivi, ogni promessa greca sarebbe time inconsistent. Se si creano questi strumenti, il federalismo europeo diventerà un imperialismo europeo; se non si creano, la credibilità dell’euro non potrà essere mantenuta a lungo. Se non è credibile la minaccia di espulsione dal club, e se le sanzioni di Maastricht sono risibili e non applicate, si avrà una tragedy of the commons e l’Unione Europea ne uscirà con le ossa rotte.
… continua …
UE: Il problema sta tutto lì. Con la crisi greca il rischio è quello di un colpo di mano europeo non da poco. D’altra parte c’è persino chi vorrebbe creare un fondo comune a livello comunitario per le situazioni di emergenza. Se funziona come i fondi di perequazione interni (ad esempio quello tedesco) stiamo messi bene. Altro che federalismo.
Regole:
a) Maastricht è lì apposta. Il non averlo fatto rispettare è stato l’errore principe. Ha ragione De Jasay quando scrive che le costituzioni sono come cinture di castità di cui i politici stessi hanno le chiavi. Ahimè bisogna prenderne atto.
b) Freno ai debiti? La Germania ne ha introdotto uno. Salvo le polemiche di chi dice che si tratta di una decisione perniciosa perché non consente manovre anticicliche (sic), la tara la si trova già nella regola stessa, dato che è piena di eccezioni. Ergo, i politici sono inaffidabili.
Salvataggio condizionato: idea bellissima se solo fosse fattibile. Io sono pronto a scommettere che andrà così. La Grecia otterrà denaro dal FMI e l’UE, che per fortuna non avrà una posizione comune, si limiterà a fissare astratte condizioni per il futuro, alzando il ditino. Verba volant, e tra qualche anno siamo daccapo.
Finora la cosa migliore che abbia letto sulla vicenda greca. L’avessi letta sul Financial Times o su Zero Hedge direi in giro: “eh, questi qui sono quelli bravi!”. Anzi la avrei tradotta e messa nel sito. La ringrazio, mi ha evitato di fare la figura del provinciale.
Il Trattato di Mastricht è una barzelletta: non solo non è stato applicato negli anni precedenti ma addirittura al momento dell’ entrata nell’euro. L’Italia è infatti entrata con un rapporto debito Pil quasi doppio rispetto ai parametri prefissati! Cosa vuol dire poi “tendente” al 60%? Che può essere anche il 400% purche in diminuzione rispetto all’anno precedente?
Tornando alla Grecia: da quasi tutti i commentatori, e anche da questo articolo, mi pare di capire che la Grecia per risolvere i suoi problemi dovrebbe ridurre molto la spesa pubblica e ristrutturarsi profondamente. Il problema è che se la Grecia riducesse la spesa pubblica per ridurre il deficit otterrebbe paradossalmente l’effetto contrario! Si ridurrebbe il pil in modo più che proporzionale (moltiplicatore spesa), inoltre come conseguenza diminuirebbero le entrate fiscali. Credo quindi che non ci sia la possibilità di questo tipo di politica “virtuosa” anche ammesso che i politici riescano a metterla in pratica. L’Italia stessa quando ha “risanato” i propi conti per entrare nell’euro poteva contare su una congiuntura macroeconomica favorevole e sulla possibilità di svalutare la propria moneta, entrambi fattori preclusi alla Grecia. La verità è che la Grecia ha accumulato un differenziale di competitività molto forte con la Germania e un livello di debito insostenibile a fronte di una capacità di generare ricchezza con cui ripagarlo che diminuisce di giorno in giorno! La Grecia ha bisogno di svalutare per riacquisire competitività e per ridurre il valore reale del debito, altrimenti ogni altra soluzione non toccherà i fattori strutturali che hanno portato alla crisi! Non ho mai visto aziende iperindebitate riprendersi aumentando ancora di più i debiti, ma casomai riducendoli sacrificando azionisti e debitori! Molti cercano invece di vendere l’idea che si possa uscire dalla crisi senza che nessuno perda niente!
Cmq per fare previsioni è più utile ragionare su cosa fa più comodo alla Germania piuttosto di cosa servirebbe alla Grecia! Se la Grecia dichiara default o esce dall’euro a perderci sono gli altri paesi che devono sostenere le svalutazioni sui titoli greci e un rialzo dei tassi da pagare sul debito o peggio ancora una fortissima pressione competitiva in caso di svalutazione/uscita euro. Quindi a loro conviene salvare la Grecia anche perchè è l’unico modo per recuperare qualcosa e poter imporre quelle riforme che, data la situazione attuale, non miglioreranno molto la situazione della Grecia ma almeno scongiureranno nel breve le ipotesi del default e della svalutazione!
PS Finalmente qualcuno che attacca Tremonti! Questo blog promercato finora lo aveva sempre immeritatamente incensato! E perchè poi? Perchè nell’ultimo anno ha scassato i conti pubblici un po’ meno di tutti gli altri anni da ministro! Quella che Giannino definisce “una gestione intelligente del debito pubblico”.
Luca Salvarani Mantova.
In attesa di leggere il seguito propongo una visione abbondantemente creativa.
dopo più di dieci anni dalla nascita dell’Euro si è reso manifesto quanto era sin da allora chiaro.
La resistenza di una catena si misura sulla resistenza dell’anello più debole.
La consapevolezza dicevo era così manifesta che il trattato di Maastricht è li a dimostrare quanto le economie forti e soprattutto la Germania fossero preoccupate e critiche circa l’allargamento dell’ Euro
ai PIGS.
L’attrazione fu fatale ed i vantaggi per i cittadini europei fu tale che si passò sopra il fatto che le crisi potevano arrivare sia da fatti endogeni sia da complicazioni di fatti prevalentemente esogeni od un qualiasi mix dei precedenti.
La Germania ed i grandi diligenti pensavano che in fondo, una volta fatti rispettare i patti di Maastricht, non avrebbero avuto nessun problema a pilotare il “Supermarco”.
Una via di uscita, con tutti gli interrogativi aperti nel suo post, sarebbe quella di fare una “rottamazione”, proporzionale per non squilibrare i rapporti interni all’Unione, di porzioni di debito pubblico dei 27 paesi quindi anche non Euro.
Il risultato non cambierebbe la proporzione tra stati più efficienti e stati meno efficienti perchè la quantità di debito “rottamato” dipenderebbe dal debito dei virtuosi.
Non posso dire che questo basti a rimettere in piedi la Grecia, ma può essere utile a rafforzare la catena.
Ridurre e concentrare il massimo comun divisore dei debiti pubblici di tutti i 27 sulla base del più virtuoso in rapporto agli abitanti non metterebbe comunque al riparo da scorribande e speculazioni.
Una nuova volontà politica alla luce dei fatti dovrà sapere:
-come gestire queste porzioni di debito;
-come evitare il moral hazard dei pigs;
-come evitare una eventuale frantumazione dell’Euro;
Siamo nelle mani dei politici comunque.
mario fuoricasa
La svalutazione funziona se non si ha un gran debito pubblico i cui rendimenti sono decisi dai mercati finanziari internazionali e se si ha una base industriale competitiva. Altrimenti, come è il caso della Grecia, potrebbe accadere che i rendimenti richiesti alle aste salgano, perchè tutti vorranno un premio per il rischio maggiore, con l’economia che non riparte per davvero, perchè si ha ben poco da esportare. La svalutazione – ossia l’uscita dall’euro con il ripristino della drachma – porterebbe la Grecia a pagare un onere sul debito maggiore, senza la consolazione di un vero rilancio. Dunque la soluzione è quella di non rendere troppo costoso il debito greco, mentre si comprimono i differenziali di costo. Come lo possa fare è il punto.
Certo che l’euro, finora, è stato davvero un successone: limiti di Maastricht non rispettati, politica monetaria molto più espansiva del previsto (altro che “supermarco”), crisi da distorsioni monetarie da essa derivanti, inflazione alta ma mascherata e “strana”, problemi di compatibilità tra i diversi paesi a non finire. E forse dobbiamo ancora vedere il meglio.
Mi sento di complimentarmi con gli ingegneri sociali che l’hanno costruito, quantomeno per le capacità di giudizio e di equilibrio nel valutarne pro e contro, e posso solo rivolgere una preghiera ai piani alti affinchè la UE non diventi davvero l’Eurss cui assomiglia ogni giorno di più.
@G.B.
Sugli slippery slopes c’è la seconda parte. Finora, mi sono limitato a dire che la soluzione migliore (un salvataggio molto costoso organizzato dai singoli stati) è quella più politicamente ingestibile, e quella più probabile (la concentrazione di potere nelle mani dell’UE per fermare il bellum omnium contra omnes del moral hazard) è invece quella più pericolosa politicamente.
@giorgio arfaras
Molte grazie!
@Luca Salvarani
Bisogna distinguere il breve dal lungo termine. Il moltiplicatore della spesa, ammesso che esista (la letteratura empirica non è assolutamente concorde), è un effetto di breve termine, e quindi la riduzione della spesa non ha l’effetto che dice lei, salvo forse per qualche mese. Sicuramente la cosa si fa più grave in recessione che non in boom, però rimane che le riforme strutturali volendo si possono fare sempre, e che nel lungo termine aiutano e non riducono la crescita e quindi la sostenibilità del debito pubblico.
Idem per le svalutazioni competitive: non servono nel lungo termine perché i prezzi avranno il tempo di adattarsi, e danno soltanto aria d’emergenza nel breve temrine per settori che soffrono per eccesso dei costi rispetto ai ricavi. L’Italia ha fatto svalutazioni competitive per decenni, e le ocnseguenze di lungo termine di questa politica sono più negative che altro.
Non si deve ragionare in termini di sviluppo con strumenti concettuali che, ammesso siano validi nel breve termine, non lo sono certamente nel medio-lungo periodo: le politiche keynesiane sono sempre miopi, proprio perché risolvono tramite svalutazione o debito problemi che in teoria andrebbero affrontati strutturalmente, anche se con costi di breve termine maggiori. Si tratta quindi di curare la polmonite con i famarci sintomatici contro l’influenza…
Per quanto riguarda Tremonti, io da ultraliberista preferivo Cento all’economia, almeno era simpatico. 🙂
X Pietro M. e Giorgio Arfaras:
Vi ringrazio per le vostre risposte! Io non ho una preparazione paragonabile alla vostra però provo comunque a ragionare con voi, soprattutto per imparare. Per quanto riguarda il lungo periodo la pensiamo esattamente allo stesso modo! Qui invece si discute di breve periodo. Al di là di quello che è il deficit o debito corrente della Grecia, quello che conta non è a mio avviso la sua dimensione in termini assoluti bensi in rapporto alla capacita della Grecia di generare oppure no sufficiente reddito per ripagarli!
Ed è qui che casca l’asino! La Grecia deve certamente ridurre la spesa pubblica e ristrutturare il suo sistema produttivo ma per farlo ci vuole del tempo e in un contesto macroeconomico come questo tali misure certamente ridurrebbero il pil e le entrate producendo un circolo vizioso. Si può discutere certamente sui singoli numeri ma penso non sul ragionamento in sè, ben illustrato da Desmond Lashman qualche giorno fà.
Pensiamo alla Grecia come ad una azienda iperindebitata e che vende sempre meno! Per non fallire dovrebbe ridurre il debito e ricominciare a vendere! La Grecia ha come unico strumento la svalutazione o l’uscita dall’euro! Se la Grecia svalutasse sicuramente i tassi di interesse salirebbero per compensare l’aumento del rischio come argomenta Arfaras però questo effetto negativo sarebbe di gran lunga minore rispetto al calo del debito pubblico e privato in termini reali e alla ripresa del sistema produttivo o del turismo, considerando la realtà greca. Aggiungo che forse proprio tassi di interesse artificialmente troppo bassi per la realtà greca hanno prodotto una allocazione inefficente del sistema produttivo e un eccesso di indebitamento pubblico e privato, sfavorendo il risparmio perciò un rialzo dei tassi ritengo sia salutare per il lungo periodo.
Rispondere a questo ragionamento dicendo che le svalutazioni competitive non creano ricchezza credo sia fuori luogo. Le svalutazioni competitive, ripetute nel tempo, finalizzate unicamente ad evitare riforme e gli aggiustamenti richiesti dal mercato, sono senz’altro inutili e fuori luogo, non lo discuto minimamente! Ma qui la situazione è completamente differente! La Grecia ha una moneta che non riflette in alcun modo i fondamentali della sua economia. Non solo ha un grande differenziale di competitività con gli altri paesi (mi riferisco al tasso di cambio reale), come testimoniano tutte le ricerche sul tema, ma questo aumenta di anno in anno mentre gli altri paesi extraeuro oltre ad essere più efficenti lasciano deprezzare la loro moneta aggravando ancora di più il problema! Se la Grecia avesse una sua moneta sarebbe il mercato stesso a venderla a questi prezzi! Svalutare non è una operazione furba contro il mercato, ma esattamente il contrario ossia una ritorno ai fondamentali economici! Nel breve termine qualcuno darà i soldi alla Grecia: o il mercato a tassi sempre più alti, o la Germania in cambio di una cessione di sovranità, o la Cina in cambio dei porti….fatto sta che tutte queste soluzioni non incidono affatto sulla capacità della Grecia di generare reddito sufficiente a ripagarli ed è illusorio credere che un differenziale di competitività cosi elevato possa essere riassorbito con delle riforme, ammesso che i politici abbiano effettivamente la forza di farle, cosa di cui dubito! Ecco perchè nel lungo periodo la svalutazione è l’unica soluzione possibile per la Grecia, e Giannino stesso ne ha parlato in un suo video recentemente commentando la proposta di uscita temporanea dall’euro per i paesi del PIGS. Questo a mio modesto parere! Correggetemi se ho sbagliato qualcosa.
Luca Salvarani.
Se posso, timidamente dato l’alto consesso, esprimere il mio modesto parere, tutte le problematiche nazionali vanno inserite, e valutate, nell’ottica più generale di cosa vorranno fare i vari governi della moneta unica. Se è un esperimento fallito che alla prima forte crisi viene abbandonato, oppure se questa importante bandiera nel lungo percorso di unificazione politica dell’Europa verrà sostenuta con lungimirante applicazione.
Il termine lungimirante è una mia aggiunta interpretativa, da europeista convinto secondo, come ritengo, il dovere liberale all’ottimismo.
Quindi, in parole povere, il salvataggio in qualunque modo dei Paesi deboli – da sottolineare che anche quelli forti attualmente non ridono – configureranno pur sempre una decisione politica che ci dirà se questa benedetta Europa potrà o meno continuare il cammino comune. Il come viene dopo, in secondo piano.