Di angeli e amebe
Vado forse un po’ O.T. con un post più teorico che pratico, però i temi in gioco sono fondamentali anche per le potenziali conseguenze pratiche, nella fattispecie di politica economica.
Ad una recente conferenza tenutasi a Munich, l’economista Paul De Grauwe ha presentato un suo lavoro in cui confronta la macroeconomia standard, detta top-down, con un nuovo approccio, da lui chiamato bottom-up, che dovrebbe essere più realistico.
Il contributo di De Grauwe ha due componenti: una pars destruens e una pars costruens.
La pars destruens è secondo me impeccabile. De Grauwe ritiene che i modelli di equilibrio generale alla base delle teorie macroeconomiche moderne (sia new-classiche che new-keynesiane) presuppongono troppo sul piano cognitivo: ritengono cioè che ogni singolo agente economico abbia in testa sufficienti informazioni per capire in ogni dettaglio la struttura del mondo in cui vive, tranne al massimo la realizzazione di un qualche shock stocastico, e sia in grado di risolvere problemi di ottimizzazione mostruosamente complessi per coordinarsi in modo “walrasiano” con miliardi di suoi simili riguardo milioni di merci, semilavorati e fattori di produzione. La migliore analisi economica che evita questo problema è, secondo De Grauwe – e, per quel che conta, secondo chi scrive – è quella di Hayek (si dice sempre Hayek, ma in realtà bisognerebbe dire Mises-Hayek), riguardo l’uso della conoscenza della società e i problemi di coordinazione legati al processo di mercato e al sistema dei prezzi.
Insomma: serve una nuova visione dell’economia che vada oltre l’irrealistico modello walrasiano e tenga debitamente conto della razionalità limitata degli agenti (il sistema dei prezzi effettua “la divisione intellettuale del lavoro”, diceva Mises nel 1920), della complessità e dell’eterogeneità dei processi di mercato, e della limitazione delle nostre informazioni (come sottolineato appunto da Hayek sviluppando la teoria del suo maestro).
Poi si passa alla pars construens, e qui però sorge il dubbio che sarebbe meglio tenersi stretto Walras, Arrow e Debreu e tutta la collezione di modelli più o meno avulsi dalla realtà economica che hanno originato. Infatti, la soluzione di De Grauwe è di modellare la razionalità limitata degli agenti considerandoli quasi completamente idioti: invece che risolvere a costo zero l’irrisolvibile problema di coordinazione walrasiana, gli agenti si limitano a scegliere tra due algoritmi di predizione del futuro (il metodo inerziale di considerare il futuro come il passato e il metodo fondamentale di prendere alla lettera gli obiettivi dei policymaker) in base all’ottimizzazione di una funzione di utilità. Il risultato è che nella pars construens riciccia la parte più post-keynesiana del pensiero keynesiano, cioè la parte che Hicks tralasciò nel modello IS/LM: gli animal spirits.
L’economia teorica rischia di passare dall’irrealistica assunzione aprioristica di onniscienza ad una altrettanto irrealistica assunzione aprioristica di demenza da parte degli agenti economici. Questo perché la via di mezzo, l’imprenditore creativo che vede un problema e cerca, non sempre perfettamente ma raramente per niente, di risolverlo, non è matematicamente modellizzabile, forse per via dell’ignoranza delle moderne scienze riguardo i processi cognitivi del cervello umano.
Passare dall’economia degli angeli all’economia delle amebe potrebbe non essere un vantaggio sul piano teorico. Almeno l’economia degli angeli spiega come si comporterebbe il mercato in condizioni ideali, e almeno tiene in considerazione (esagerando) i tentativi degli imprenditori di raggiungere lo “stato finale” di perfetta coordinazione.
Che da questa crisi si impareranno lezioni di economia teorica è probabile. Che si imparerà la lezione giusta, visto il precedente keynesiano durante la crisi degli anni ’30, non è invece scontato.
Sono molto di corsa, perché tra poco tengo un seminario divertente che considero un piccolo segno dei tempi, nel quale un po’ di dg e manager apicali di banche – a pagamento – si interrogano insieme a me sui temi della compliance bancaria… roba mai vista, per tanti versi, e naturalmente tenterò di stuzzicarli a dovere. concordo con Pietro, il tema è molto importante. non concordo quasi in nulla con la soluzione che offre De Grauwe, di cui qualche mese fa in questo paper – http://www.ceps.be/book/economics-crisis-it-time-profound-revamp – aveva posto le premesse. Non mi meraviglia affatto che si torni al tema dell’incertezza e del rischio – la prima incommensurabile, il secondo no – sul quale va misurato l’apporto originario di keynes, perchè la crisi attuale nasce da una teoria e prassi sbagliata del risk management, per categorie di prodotti e servizi, per emittente e prenditore: ma de Grauwe è un macroeconomista che rifiuta la riduzione dell’economia a livelli micro, come potete leggere nel suo paper estivo, e su questo noi non possiamo e non dobbiamo essere d’accordo, per noi è un punto fondamentale vederla esattamente all’inverso. la “macroizzazione” di incertezza e rischio si risolve infati in ipotesi e algoritmi ancor più cervellotici di ogni ipotesi di coordinamento a fini di equilibrio generale, ed è volta nei lavori di De Grauwe a una neocornice interpretativa dei rapporti internazionali e monetari tra le tre maggiori aree del mondo (il suo contriobuto più originale, è infati l’affinamento delle posizioni di partenza di Mundell sulle aree monetarie ottimali e subottimali). Ma ipotizzare da una parte l’inevitabhilità irrazionale di “grandi paure”, e dall’altra offrirne una soluzione a livello top down non c’entra NULLA con ciò che originato la crisi, tassi d’interesse sbagliati e una teoria del rendimento del capitale finanziario “autoportante”, asintoticamente e stellarmente scissa dal rendimento degli altri fattori produttivi nell’unità di tempo…..