Detassazione utili reinvestiti – Quando perserverare è diabolico
E tre. Se non erro è la terza volta che il nostro ministro dell’Economia ci propina la superba idea della detassazione degli utili reinvestiti. La prima fu nel 1984, la seconda nel 2001 (ma accetto volentieri correzioni a riguardo).
E giù un coro di applausi. Non ho letto molto i giornali in questi giorni ma non mi sembra di aver trovato grosse critiche a questo provvedimento. Anzi.
Ma che bravo il nostro ministro che ancora una volta viene in soccorso delle boccheggianti aziende nostrane.
In effetti detassare gli utili, come ci hanno ricordato anche gli Industriali, sembra davvero un’idea nobile, difficile da sottoporre a vagli severi. Tutti d’accordo sul fatto che le aziende hanno difficoltà a reperire finanziamenti, soprattutto di natura bancaria. Ne consegue che questa tolleranza nel ticket fiscale delle imprese giunge come una boccata d’ossigeno nel mefitico cielo che ci circonda.
Peccato che ancora una volta, sulle orme del beneamato Bastiat, occorra ricordare che le conseguenze delle scelte politiche sulla vita aziendale andrebbero esaminate nel breve e nel lungo periodo, vicino al naso ma anche oltre il naso.
La detassazione degli utili in tal senso è un caso da manuale.
Chi si intende anche un pò di finanza aziendale sa benissimo che esiste una “gerarchia delle fonti di finanziamento” che gli imprenditori sempre seguono nella copertura dei loro investimenti. Si tratta di una bella teoria – formalizzata da Stewart Myers nel 1977 ma in realtà risalente agli anni ’60 e agli studi Gordon Donaldson – secondo la quale, quando si tratta di effettuare nuovi investimenti, gli imprenditori coprono tale fabbisogno secondo la seguente ‘classifica’:
1) innanzututto, utilizzano il denaro in cassa (autofinanziamento);
2) se ciò non basta, bussano alla porta delle banche (capitale di debito);
3) se il denaro complessivamente raccolto ancora non è sufficiente, mettono mano al proprio portafoglio oppure aprono il capitale a nuovi soci (aumento di capitale).
Naturalmente, tra i vari passaggi, si lasciano sempre aperta la porta dell’abbandono dell’investimento.
La detassazione degli utili equivale di fatto a favorire l’autofinanziamento delle aziende. Cioè a dire che si incentiva qualcosa che non ha bisogno di essere incentivato, in quanto già si classifica primo nel “cuore” degli imprenditori.
Morale della favola: ‘drogare’ l’autofinanziamento vuol dire spingere spesso le aziende a fare investimenti che altrimenti non farebbero, pur di sfruttare il beneficio fiscale. Ancora si ricordano i capannoni sfitti du cui pullulava il Nordo Italia nell’84.
La finanza non deve agevolare gli investimenti, deve disciplinare il comportamento delle aziende. E’ uno scudiscio, non un cuscino.
Intendere invece la finanza in senso buonistico vuol dire spingere le aziende a sovrainvestire e ad effettuare investimenti spesso non strettamente necessari.
Cosa possiamo attenderci nel giro di pochi anni? Una presumibile diminuzione della redditività delle imprese (per intenderci i vari indici ROI, ROCE, ROA, e così via). Ricordiamo al nostro ministro e ai tecnici del suo ministero, che da tempo il problema delle nostre aziende è la loro insufficiente redditività media. E che incentivarle ad aumentare il capitale investito diminuisce ulteriormente la redditività (se i nuovi investimenti non generano sufficiente reddito).
Corriamo insomma il rischio che imprese già appesantite e in debito d’ossigeno diventino definitivamente obese.
Errare (due volte) è (forse) umano, perservare è diabolico.
Ottimo post. Un’unica piccola correzione: non era il 1984, ma il 1994. Lapsus freudiano od orwelliano?
Hai perfettamente ragione caro Massimiliano. Secondo me è un laspus sia freudiano sia orwelliano. E un pizzico di semplice senilità….
Scusate, ma non sono d’accordo. Da imprenditore, che vive di mercato tutti i giorni e deve sempre fare i conti con la realtà più che con le teorie, non posso che vedere favorevolmente questo provvedimento, non a caso tanto sollecitato, a tutti i governi, da parte di Confindustria e di altre organizzazioni. Si può dire, piuttosto, che sia tardivo e limitato, in quanto la situazione reddituale media delle imprese sta precipitando – con l’ovvia conseguenza di ridurre la platea dei possibili fruitori – ma non credo sia da considerare in ottica emergenziale, quanto piuttosto di futura ripresa del ciclo economico positivo. Il problema da porsi, infatti, non può essere solo il modo di “passare la nottata”, ma anche – e forse soprattutto – le condizioni nelle quali si affronterà il dopo-crisi: tentare di supportare la competitività delle aziende manifatturiere – non tutte presentano risultati negativi e bisogna evitare che, un domani, la crisi colpisca anche queste – è operazione assolutamente fondamentale per ridurre gli effetti di altri futuri momenti di difficoltà.
Dovrò naturalmente leggere il testo del provvedimento, prima di dare un giudizio definitivo, ma dalle notizie di stampa attuali pare si tratti di agevolare l’investimento in attrezzature produttive, evitando l’errore del 1994 che – come correttamente ricordi – portò all’edificazione incontrollata di capannoni, puramente speculativa.
Tale impostazione, se confermata, potrebbe contribuire a superare molte incertezze in merito alla sostenibilità di investimenti, opportuni ma costosi, volti a migliorare significativamente quel parametro che tutti gli osservatori notano essere deficitario nel sistema produttivo italiano: la produttività, cresciuta poco o nulla negli ultimi 15 anni mentre altrove, ovunque, la situazione progrediva rapidamente.
Occorre tener presente, infatti, che gli investimenti in tecnologia ed organizzazione costituiscono la via maestra per raggiungere lo scopo e che, d’altra parte, l’ossessivo assorbimento di risorse, generate dalle imprese, da parte della mano pubblica ostacola non poco tale azione.
Non ha alcuna importanza, dunque, il fatto che così s’incentivi il ricorso all’autofinanziamento, perché non è detto che diversamente gli investimenti avrebbero luogo, almeno nella stessa misura. Inoltre, in un momento nel quale l’accesso al credito bancario risulta difficile e lento – qualunque patetica difesa d’ufficio si tenti da parte dei vari Mr. Profumo, Passera & Co. – la possibilità di operare in altro modo non può che essere giudicata positivamente. Nemmeno è detto, peraltro, che le operazioni che si andranno ad effettuare porteranno alla riduzione della redditività, proprio perché l’unico realistico modo di competere e produrre margini – senza indulgere in anacronistiche visioni di costi paragonabili a quelli cino-indiani et similia – rimane il progresso teconologico che, però, è tutt’altro che gratuito. Diversamente, il rischio è l’obsolescenza e la lenta morte dell’impresa che non investe, magari solo perché non se lo può permettere – o teme di non averne la forza – guardando a quale enorme fetta dei suoi introiti le viene sottratta dall’idrovora pubblica.
Un appunto finale. Questa non è la panacea, of course. Il problema di base, in questo Paese, è relativo alla scarsa presenza di mercato in tanti, troppi settori. Direbbe Monsieur de La Palisse, allora, che là sia necessario intervenire primariamente – e, purtroppo, i segnali sembrano quasi andare in senso opposto – ma non per questo il provvedimento di detassazione degli utili reinvestiti – se ben congegnato – deve essere giudicato negativamente.
Quoto Franco, anch’io da imprenditore, valuto positivamente questa misura. Prima di tutto perchè è logica, se gli utili rimangono in azienda per favorirne la crescita è giusto che siano de-tassati, il ricorso al capitale proprio per coprire (parte degli) investimenti, lo vedo positivamente, ridurre l’utilizzo della leva debitoria è segno di forza dell’azienda e scopo dell’azienda deve essere la sua stessa crescita, prima dell’arricchimento dell’imprenditore.
Perchè poi questo dovrebbe portare ad investimenti sbagliati ed infruttuosi? dobbiamo partire dal presupposto che l’imprenditore sa quello che fa, quindi investirà per il bene della propria azienda, per aumentarne la redditività (in tutti i suoi indici), non per diminuirla. Si parla tanto della difficoltà di accesso al credito (problema in fondo poco reale!), ma quale sarebbe l’esigenza di credito se non per nuovi investimenti? per dare liquidità (o come si dice “respiro”) ad aziende ultra-indebitate, che stanno in piedi solo grazie al capitale di debito? Queste sono spesso le grandi aziende, quelle sponsorizz..ehm, rappresentate da Confindustria. Ma l’economia reale, l’imprenditoria reale, è tutt’altro, è quella delle piccole imprese, di quelle che con i loro soldi e con i finanziamenti in leasing comprano un nuovo tornio, un nuovo furgone ecc. E per fare questo utilizzano volentieri i propri guadagni, anziche ricorrere in toto a del denaro che costa il 6% all’anno mentre vede i propri utili tassati oltre il 40%.
Certo poi l’enfasi data a questo provvedimento è esagerata, si tratta di una misura doverosa che quest’anno darà pochi benefici, perchè non saranno in molti ad avere grandi utili da reinvestire, quindi in attesa di leggere per intero il testo della Tremonti-ter, il giudizio è comunque di un palliativo scarso e certamente non coraggioso come si vorrebbe.
Carissimi,
Le formule magiche e le pozioni miracolose del Governo Italiano mi lasciano indifferente…cosa possiamo aspettarci? nulla!
Aforisma del giorno
Karl Kraus :
“Se ci fosse una stampa che invece di raccogliere i rifiuti come fosse una sputacchiera, tastasse il polso del tempo ammalato come fa il medico con il paziente, oggi dovrebbe avere un viso preoccupato. Nelle rubriche giornalistiche non si dovrebbe parlare d’altro che del sintomo locale di una malattia mortale.
Distinti Saluti
Alessio
Potrei essere scettico sull’utilità del provvedimento, ma non riesco a resistere al fascino discreto di una riduzione fiscale. Milton Freidman docet
Potrei essere scettico sull’utilità del provvedimento, ma non riesco a resistere al fascino discreto di una riduzione della pressione fiscale. Milton Friedman docet.
Non sono d’accordo sull’inutilità o negatività del provvedimento. Trovo questa tesi viziata da un “sospetto” errore di fondo. Non si può infatti incolpare il ministro qualora l’imprenditore, a fronte di un’opportunità , ecceda in investimenti di attrezzature non necessarie. E’ come se un dottore prescrivesse un farmaco e il paziente ne abusasse raddoppiando le dosi. In ogni caso tutta la filiera produttiva coinvolta nella fornitura ne ricaverebbe un beneficio aumentando il proprio utile e contribuendo ai conti dello stato con le relative imposte. Ciò riguarda anche fornitori di servizi coinvolti a vario titolo (es società leasing, trasporti , fornitori materie prime, energia etc.)
Molte Aziende italiane si confrontano quotidianamente con i mercati internazionali dove quasi sempre il carico fiscale ed il costo del lavoro e del denaro sono inferiore al nostro il che, rende molto difficile la competizione; una delle poche armi efficaci possibili è proprio il miglioramento della organizzazione e della qualità dei prodotti attraverso l’acquisizione di nuova tecnologia che permetterà anche di formare personale altamente qualificato.
E’ effettivamente da valutare la portata del provvedimento perchè se crisi vera c’è , gli utili saranno pochi e quindi pochi gli investimenti. O magari il conto economico dell’esercizio preso in considerazione x il calcolo dell’utile presenterà piacevoli sorprese .
La maggior parte di chi lavora in aziende produttive private di questi tempi penso che valuti positivamente il provvedimento.I discorsi teorici sono sempre interessanti ma i problemi pratici soprattutto quelli finanziari che nelle aziende devono essere affrontati ogni giorno sono un’altra cosa. Questo provvedimento sarà un piccolo aiuto per le aziende e in quanto aiuto è da valutare positivamente, sia per gli imprenditori che per i dipendenti (io sono dipendente).
Concordo anch’io sulla validità, almeno teorica, del provvedimento. In questo momento servono proprio investimenti ( cosi’ come allo Stato servono le Riforme), e ben venga una manovra che li incoraggi. Una riserva la nutro sulla disponibilità del sistema creditizio a concedere finanziamenti. Con i parametri di Basilea2 molte aziende medio piccole ( il tessuto produttivo italiano) sono tagliate fuori, e inoltre tante aziende NON HANNO UTILI. Comunque era necessaria una manovra del genere, indispensabile direi. Ora veramente tocca alle imprese fare la loro parte, perchè se per investimenti intendono acquistare le SUV o i capannoni sfitti allora proprio non ci siamo.
Gli effetti reali sulle imprese a seguito della detassazione degli utili, in base alla norma recentemente approvata dal Governo, quando si avranno?