22
Gen
2012

Decreto liberalizzazioni: la fragilità del diritto di iniziativa economica

Nel nuovo decreto Monti ci sono due articoli degni di nota che vanno letti in combinato disposto.

Il primo è l’articolo di apertura del decreto stesso, il quale, come varie volte si era tentato invano di codificare, rende più cogente il diritto all’iniziativa economica privata sancito dall’art. 41 Cost. L’articolo abroga infatti le norme che pongono limiti, programmi e controlli all’iniziativa economica privata incompatibili o irragionevoli o non proporzionati rispetto alle esigenze di tutela dei valori costituzionali, incidendo sulla libertà e sulla parità di trattamento tra operatori presenti e futuri. Ciò non si tradurrà in una totale libertà di attività economica, ma conferirà ad essa – se l’articolo sarà correttamente rispettato – un senso più pieno e coerente con l’art. 41 Cost., rendendo possibili i soli limiti compatibili e proporzionali alle esigenze di tutela di altri valori costituzionali, come, ad esempio, salute e sicurezza. Via, dunque, autorizzazioni, licenze o nulla osta all’avvio di un’attività che non superino il test di proporzionalità e ragionevolezza, così come divieti e restrizioni ad attività già iniziate che impongono la programmazione o la pianificazione territoriale o temporale di determinate categorie di attività economica, o ancora le norme che impediscono, condizionano o ritardano l’ingresso di nuovi operatori economici.

Laddove rimarranno i limiti, l’articolo dispone che essi siano interpretati restrittivamente, presupponendo che le attività economiche debbano essere libere “secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunità tra tutti i soggetti, presenti e futuri”.

Infine, si prevede che tanto più gli ordinamenti territoriali si adegueranno a queste nuove regole tanto più saranno considerate “virtuosi” ai fini del rispetto del patto di stabilità interno.

Pochi articoli sotto, al fine di arginare la tendenza delle autonomie territoriali ad irrigidire l’iniziativa economica privata, il decreto prevede che lo Stato debba verificare che le regioni e le amministrazioni locali svolgano un’operazione di ricognizione della loro normativa contrastante con la tutela della concorrenza, e – secondo il meccanismo del potere sostitutivo – precetti le amministrazioni territoriali nelle quali vigono ancora limiti illegittimi e irragionevoli a rimuoverli entro un termine espresso.

Questa specificazione della facoltà governativa di sostituirsi agli enti territoriali inadempienti è particolarmente significativa se si pensa che, in effetti, l’impulso alla liberalizzazione in alcuni settori di competenza regionale, come il commercio, è stato ostacolato proprio dalla periferia, attraverso il ripristino di limiti o l’interpretazione restrittiva degli ambiti concorrenziali stabiliti dalla normativa nazionale.

Di entrambi gli articoli non può non apprezzarsi uno sforzo duplice e complementare: segnare dapprima un globale e significativo cambiamento di prospettiva del diritto alla libertà di impresa, e affiancare in un secondo momento due strumenti operativi che immunizzino da un possibile (anzi talora probabile, data l’esperienza pregressa) riflusso programmatorio a livello territoriale.

Tuttavia, e per certi versi inevitabilmente, tali articoli recano con sé elementi di debolezza.

Innanzitutto, quella che viene definita dal testo come liberalizzazione e semplificazione delle attività economiche non si applica ad alcuni settori cruciali: trasporto di persone e cose su autoveicoli non di linea, servizi finanziari e di comunicazione e attività sottoposte alla regolazione delle autorità indipendenti.

Al di là di queste esclusioni, in buona parte prevedibili, sono due i segni di fragilità del combinato disposto.

L’esercizio del potere sostitutivo dello Stato è una facoltà riconosciuta dalla Costituzione, dopo la riforma del 2001. L’uso di tale facoltà, ancora incerto ed esitante, è rimesso sostanzialmente ad una scelta di discrezionalità politica del governo. Nel presente caso, ad esempio, la legge prevede che presso la presidenza del consiglio dei ministri sia istituito, senza costi ulteriori, un apposito ufficio che, naturalmente, ha solo la facoltà e non anche un obbligo di sollecitare l’adozione del potere sostitutivo del governo. Si tratta quindi di una soluzione cogente sulla carta, ma tutta da costruire e di cui verificare l’efficacia. Probabilmente, meglio di così la norma non poteva essere scritta, e anzi una riflessione su di essa porta a riconsiderare criticamente la positività di un assetto decentrato, in mancanza di una chiara allocazione delle responsabilità.

In secondo luogo, il tentativo di ribaltare il senso della libertà di iniziativa economica privata, rendendo illegittime le norme che contraddicono lo spirito di fondo secondo cui è consentito tutto ciò che agevolmente può svolgersi senza recare danno a interessi unitari della convivenza sociale o a legittime pretese altrui, rischierà di essere annacquato dalla possibilità per il governo di approvare, entro la fine di quest’anno, dei regolamenti con cui esplicitare le attività per le quali permarrà l’atto preventivo di assenso dell’amministrazione o comunque non si applicherà, in tutto o in parte, la nova norma. Di fronte a una simile prospettiva di arretramento, il parere che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato deve rendere sugli schemi del regolamento appare, per la natura stessa dell’atto, poco incisivo e deterrente.

La lettura combinata di questi due articoli, in conclusione, apre di certo uno spiraglio per una nuova nozione giuridica della libertà di intrapresa economica, ma sopporta il rischio che esso venga agevolmente e rapidamente chiuso.

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2 Responses

  1. Diana

    Wow! Che risultato: “liberalizziamo” a parole l’iniziativa economica privata quando non sia nociva alla convivenza sociale ecc. ecc… e alleluja, hanno scoperto l’acqua calda! Non dovrebbe essere una cosa da poter dare per scontata ?!?! Quindi, con un ritardo di anni rispetto al resto del mondo, siamo “finalmente liberi” di aprirci la nostra aziendina, – perderemo comunque ore e ore a riempire moduli e fare code ai più disparati sportelli perchè l’assetto della P.A. non è stato semplificato nè snellito… – ma va bene, “lo possiamo fare”. Problema: dove troviamo una banca disposta a farci credito?!?! Per esperienza personale posso dire che mi è stato concesso il mutuo per la prima casa nel momento in cui, tra garanzie varie e montagne di scartoffie, ho dimostrato che in effetti avrei potuto farne a meno…. Scriviamoli i sacrosanti decreti, poi però mettiamo mano alla REALTA’ perchè quanto scritto non resti lettera morta… Parole, parole, parole….

  2. Uniti!

    Fragilità! Credo che sia il termine che si avvicina piu di tutti a definire l’Italia. Non c’e governo che tenga, se l’Italia (sopratutto gli imprenditori) non si rendono conto che siamo un paese di 60 milioni di abitanti chiamati a confrontarci con un economia ed imprese globali/e. Non abbiamo grandi imprese che sono da traino alle pmi. Facciamo gli spezzattini (vedi: Tremonti) mentre gli altri paesi formano grande imprese e dopo fanno shopping in Italia. Le aziende ital­iane – buone pro­tag­o­niste di nic­chie di mer­cato in vari set­tori, hanno davanti a se, secondo me, solo la fusione o l’incorporazione tra loro, ovvero, aumento delle dimen­sioni, delle masse, taglio dei costi, con­seguente aumento della pro­dut­tiv­ità per dipen­dente. Purtroppo ciò non avviene, per quando ne leggo ho la percezione che per la stra­grande mag­gio­ranza degli impren­di­tori ital­iani è molto meglio arare il pro­prio orto e vendere le carote in con­cor­renza con i pomodori che nascono nell’orto del vicino, piut­tosto che pro­durre in forma comune insalate di pomodori e carote da vendere sul mer­cato mon­di­ale. Secondo la stampa Safran (colosso pubblico francese) sta per acquistare AVIO! Ma voi pensate se fosse l’inverso; la reazione del governo francese?

    Ci sono aziende come Ansaldo Breda, Ansaldo Sts, Avio, Breda Menarini, Fincantieri, Firema, Fiat Industrial, Elettronica, Magnaghi Aeoronautica, Engineering che con il supporto della Cassa Depositi e Risparmi, potrebbero ricostruire 2 filiere industriali e colossi nei trasporti capaci di competere con i colossi stranieri. Stesso discorso in altri settori, Farmaceutica, Chimica (Polimeri Europa come polo aggregante deconsolidato dal gruppo ENI, p.e. con Novamont, Mossi&Ghisolfi, Mappei, Radici ed altre). Fusione tra Telecom Italia e Poste con lo stato che diventerebbe azionista di maggioranza relativa, e soprattuto, si creerebbero gruppi in grado di investire in ricerca e innovazione su larga scala (anche in Italia). Mi rendo conto che il mix tra aziende a conduzione familiare, tra l’altro di prima generazione (Menarini, Chiesi, Sigma-tau, Ferrero, Barilla ecc) e aziende a capitale in prevalenza pubblico sia difficile da combinare. L’alternativa?; é già in atto, cioè L’Italia é terra di conquista per i colossi esteri.

    Mi piacerebbe fare queste domande a tutti gli impreditori/manageri/governo: perchè non si capisce che una questione di sopravivenza trovare una sintesi tra aziende a capitale italiano? Non mi fraindenta, non è una questione, prettamente di dimensione/testosterone, ma bensi, la consapevolezza che l’Italia, anche a 150 anni dalla sua unità, non è una, ma ha cento volti diversi, ognuno dei quali con diritto di cittadinanza, sia negli aspetti sociali e culturali (e questa molte volte rappresenta la straordinaria ricchezza dell’Italia), che negli aspetti industriali e commerciali e questo invece è il grande limite di una nazione con sessanta milioni di abitanti, chiamati a confrontarsi con una economia globale e prodotti internazionali. Solo Uniti vinceremo le sfide di creare posti di lavoro in Italia ed essere vincenti sui mercati internazionali.

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