Decreto liberalizzazioni: Il giusconsumerismo alla riscossa: le norme del decreto Monti a “favore” dei consumatori
La parte del decreto sulle liberalizzazioni dedicate alle norme di diritto del consumo non è stata posta eccessivamente in evidenza, eppure ricopre una certa importanza nell’economia complessiva del provvedimento in oggetto.
Spicca, in particolare, l’articolo 5, dedicato alla “tutela amministrativa contro le clausole vessatorie”. Non è questo il luogo per illustrare dettagliatamente cosa sia una clausola vessatoria, basti ricordare che essa è una clausola inserita in contratti stipulati tra operatori professionali (impresa o professionista) e consumatori la quale comporta un certo squilibrio delle prestazioni e che, per ciò solo (cioè anche se pienamente accetta dal consumatore all’atto della stipula del contratto stesso) è nulla. E’ evidente che l’esistenza di una simile nozione giuridica presume che in un rapporto contrattuale vi sia una parte “forte” (l’avido operatore professionale) che cerca di ottenere indebiti vantaggi a carico di una parte debole (il povero, piccolo consumatore). E’ una visione dirigista del contratto, qualcosa che postula la profonda, atavica e sostanziale ingiustizia del libero mercato.
L’accertamento e la dichiarazione della vessatorietà di una clausola contrattuale, come di ogni altro vizio contrattuale, è compito della magistratura ordinaria.
Ebbene, l’articolo 5 del decreto sulle liberalizzazioni attribuisce all’Antitrust il potere di dichiarare (anche d’ufficio!) la vessatorietà di una clausola contrattuale e di pubblicare tale accertamento sul proprio sito internet.
Alle imprese, poi, viene attribuita una sorta di “diritto d’interpello”: tali operatori possono richiedere preventivamente all’Antitrust se una clausola che intendono inserire in un contratto abbia una natura vessatoria o meno.
Questo articolo è pericoloso ed inutile. Pericoloso perché rafforza sempre più la sensazione che sia vietato tutto ciò che non è espressamente consentito e che lo Stato abbia il potere di intromettersi (d’ufficio!) nel campo della libertà contrattuale; inutile perché si tratta comunque di un accertamento amministrativo della vessatorietà di una clausola, che fa salvi (a pena di palese incostituzionalità) i compiti dell’autorità giudiziaria nell’accertare e dichiarare la nullità della clausola stessa. In altri termini: la decisione dell’Antitrust può benissimo divergere completamente da quella del giudice chiamato a decidere della specifica controversia, e il consumatore potrà vedersi dichiarare la nullità della clausola inserita nel suo contratto sempre e solo facendo ricorso alla magistratura. Sembra un aumento di carico di lavoro dell’Antitrust privo di un reale significato, a meno non si voglia creare uno strumento di pressione nei confronti della libertà interpretativa dei giudici: in questo caso saremmo davanti ad una norma inquietante.
La seconda norma “giusconsumerista” fondamentale presente nella bozza di decreto in esame è contenuta nell’articolo 6 ed è una minima modifica nelle azioni di classe (le cosiddette “class actions”): i diritti tutelabili attraverso questo strumento giuridico (che finora ha dato risultati letteralmente ridicoli) non sono più solo i diritti “identici” di più consumatori o utenti, com’è stato dal 2010 ad oggi, ma divengono i “diritti del tutto omogenei” di tali soggetti. E’ evidente la volontà di estendere l’ambito di applicabilità dell’azione di classe, con tutti i rischi che ciò comporta: processi ingestibili, istruttorie diverse per centinaia di soggetti, criteri di risarcimento sempre più articolati. Sarà poi compito dell’interpretazione giudiziale delineare e chiarire quale diversità vi sia tra diritti “identici” e diritti “del tutto omogenei”: non sarà un compito facile, ma sarebbe stato un compito agevolmente evitabile al nostro già ingolfato sistema giudiziario.
Mi pare che non si tratti di disposizioni così gravi come si vuole mostrarle.
Attribuire all’Antitrust il compito di accertare la vessatorietà delle clausole contrattuali in via preventiva e generale non è un’innovazione sconvolgente, ma solo una scelta organizzativa-procedurale diversa da quanto già avviene: sinora, la prevenzione delle clausole vessatorie era affidata alle associazioni dei consumatori, che avrebbero dovuto chiederla in sede giudiziaria e, qualche volta, lo hanno fatto, anche con effetti di vasta portata (basta pensare alla giurisprudenza romana sui contratti bancari dei primi anni 2000). Ma il “private enforcement” sembra non avere dato esiti soddisfacenti, e la scelta di introdurre un “public enforcement” è coerente con la riflessione in corso in Europa sul sistema preferibile.
In ogni caso, stiamo parlando di una normativa di origine comunitaria che risale al 1993 e che trova la sua giustificazione ufficiale nel superamento di asimmetrie informative che precluderebbero il funzionamento del mercato concorrenziale.
La modificazione della legge sull’azione di classe sembra accogliere le critiche della dottrina circa la possibilità di ravvisare situazioni identiche e l’imprecisione terminologica della norma in vigore. Che ne venga uno stimolo alla maggiore diffusione dell’azione di classe non è sicuro, posto che il vero ostacolo sembra essere il costo.