Il decreto del Fare, Art. 10 – Telecomunicazioni
Il decimo articolo del decreto del Fare non sarà ricordato come un esempio di luminosa tecnica legislativa. In particolare, destano notevoli perplessità i primi due commi, che si preoccupano di disciplinare la fornitura al pubblico di connettività su reti wi-fi, ma si dimenticano di precisarlo: il generico riferimento «all’offerta di accesso ad internet al pubblico» impone, com’è stato opportunamente rilevato, un intervento correttivo in sede di conversione.
Il primo comma mira a liberalizzare l’apertura delle reti wi-fi di soggetti pubblici (come gli enti locali) o privati (come bar e alberghi): un intento di per sé lodevole, sebbene forse superato dalla rimozione degli obblighi di richiedere autorizzazione alla questura e d’identificare gli utenti – già disposta con il decreto Milleproroghe del 2010. In ossequio a residue domande di sicurezza, si «fa salvo» – invero, s’introduce ex novo – l’obbligo di garantire la tracciabilità del collegamento attraverso il MAC address: parametro, peraltro, non univocamente riconducibile all’identità dell’utente e agevolmente manipolazione.
Siamo di fronte a una lettura ambigua: tracciabilità e tracciatura sono due concetti diversi; e si potrebbe forse discutere se il «gestore» onerato sia – come sembra – l’esercente o l’amministrazione a valle, il che tradirebbe l’intento semplificatorio della misura, o piuttosto l’operatore a monte. Il secondo comma esenta tale tracciatura – «ove non associata all’identità dell’utilizzatore» – dall’applicazione della disciplina sul trattamento dei dati personali: ma che ne penserà il Garante? Infine, si chiarisce ulteriormente che i soggetti per i quali la fornitura d’accesso internet non costituisca l’attività commerciale prevalente non sono tenuti a munirsi della licenza ministeriale né dell’autorizzazione generale: non sono, cioè, operatori di telecomunicazioni.
La ratio delle disposizioni qui esaminate potrebbe essere recuperata proprio facendo riferimento – ovviamente in negativo – all’area dell’attività commerciale prevalente (com’era, del resto, previsto dalla bozza del decreto): da un lato, salvaguardando il principio della neutralità tecnologica; dall’altro, evitando gli equivoci connessi alla formulazione indiscriminata del primo comma, che appare di dubbia compatibilità con il quadro regolamentare comunitario. Tuttavia, sarebbe miope limitare all’ambito dei fornitori “occasionali” le possibilità di liberalizzazione dell’accesso a internet, specie alla luce degli sconfortanti dati italiani sulla penetrazione della banda larga. La semplificazione dovrà, invece, proseguire anche nei confronti degli operatori di telecomunicazioni: per esempio, attraverso lo snellimento delle procedure burocratiche o la rimodulazione dei contributi dovuti per diritti amministrativi.
Tra tante ombre, è doveroso citare la luce del terzo comma, che abolisce l’obbligo per le aziende di affidarsi a imprese abilitate anche per le più banali operazioni connesse all’installazione e alla manutenzione di reti. Si trattava di un’assurda misura protezionistica, peraltro assistita da sanzioni ingentissime che potevano arrivare a 150.000 euro. Non sarebbe, anzi, inopportuno ipotizzare una disciplina transitoria per le eventuali sanzioni già comminate ma non ancora saldate.
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