24
Feb
2015

DDl Concorrenza: Servizi sanitari

E’ sparita dal disegno di legge sulla concorrenza la questione delle procedure di accreditamento delle strutture private sanitarie, che sembrava invece potesse essere inclusa.

Un intervento legislativo in tal senso avrebbe potuto consegnare agli investitori un sistema più affidabile e meno incerto, ma tant’è. Il tema è stato del tutto rimosso dal disegno di legge approvato, ed è un peccato. La spesa privata accreditata rappresenta circa il 22% della spesa complessiva del SSN (in Lombardia, dove si trova uno dei migliori sistemi sanitari italiani, siamo intorno al 30%), che diventa il 37% del totale se si guarda alla sola spesa ospedaliera.

Se si aggiunge che queste percentuali sono in costante aumento (solo nel periodo 2005-2011 si è registrato un aumento medio annuo del 3,2% della spesa privata accreditata), risulta evidente il motivo per cui sarebbe stato davvero opportuno migliorare la cornice di regole all’interno della quale operano le strutture sanitarie private accreditate: queste contribuiscono infatti in maniera determinante al Sistema Sanitario Nazionale e sarebbe stato appropriato concedere loro almeno quel poco di chiarezza che oggi manca.

La norma, saltata all’ultimo momento, riconosceva l’importanza del ruolo delle strutture accreditate e andava nella direzione di affidarsi a esse in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi da parte delle regioni. Si diceva infatti che, in caso di mancato o parziale raggiungimento dei livelli essenziali di assistenza, ciascuna Regione avrebbe dovuto indire, almeno ogni due anni, una selezione per l’accreditamento istituzionale di operatori privati operanti da almeno due anni. Ma purtroppo, ripeto, di questa norma non c’è più traccia ed è sicuramente un male per il nostro Sistema Sanitario Nazionale.

Allo stesso modo, è sparita anche la norma sugli open data, che avrebbe garantito più trasparenza nel settore sanitario. Sarebbe stata, questa sì, una mezza rivoluzione, dal momento che tutte le strutture sanitarie, pubbliche e private, sarebbero state obbligate a pubblicare sul proprio sito internet i dati di bilancio e di performance standardizzati. Questo avrebbe comportato una forte pressione su chi ha la responsabilità di gestire queste strutture e soprattutto avrebbe offerto un supporto concreto alla libertà di scelta dei pazienti, dei quali si dice sempre che non hanno competenze necessarie per decidere in ambito sanitario a causa delle asimmetrie informative. Che tra medici e pazienti ci siano asimmetrie informative è inevitabile, almeno per il momento, ma questa norma avrebbe limitato le asimmetrie informative che ci sono tra pazienti e dirigenti, dovute all’opacità della gestione di molte strutture, soprattutto pubbliche.

Le norme per l’accreditamento delle strutture sanitarie risalgono a inizio anni ’90. Sarebbe stato opportuno aggiornarle, come sarebbe stato opportuno andare avanti sugli open data, in un momento in cui la sanità italiana si appresta ad affrontare una fase delicata e ricca di sfide, la principale delle quali sta nell’invecchiamento della popolazione (si stima che nel 2050 un terzo della popolazione avrà più di sessantacinque anni). Il contributo delle strutture accreditate in sanità è già oggi fondamentale. Dal momento che non sembra probabile un aumento della spesa pubblica, almeno nel breve termine, per far fronte alle cure necessarie a una popolazione più anziana, si può presumere che il privato accreditato sarà ancor più determinante in futuro. Il Governo sembrava aver intuito questo processo, peccato non abbia agito di conseguenza.

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