Davvero è stata abolita la censura cinematografica?
Dalla censura al “sistema di classificazione”: si tratta solamente di novità lessicali o c’è qualcosa di sostanziale? In questi giorni si è parlato diffusamente dell’abolizione della censura cinematografica. “Definitivamente superato quel sistema di controlli e interventi che consentiva ancora allo Stato di intervenire sulla libertà degli artisti”, ha dichiarato il ministro Franceschini.
Nel corso del Novecento il cinema è stato la forma d’arte più popolare, quella in grado di incidere maggiormente sull’immaginario collettivo. Per questo, un occhio di riguardo per il cinema è stato riservato dal potere, che fosse quello dittatoriale o quello repubblicano: in Italia la censura si è indirizzata su aspetti legati alla moralità e al buoncostume, ma anche – se non soprattutto – a questioni di natura politica. Due siti rappresentano una miniera di informazioni per farsi un’idea del fenomeno: la banca dati “Italia Taglia” e la mostra online permanente “Cinecensura”.
Nel 1948 veniva fatto notare al sottosegretario Andreotti che “Noi vivi” e “Addio Kira!”, i due film di Goffredo Alessandrini tratti dal romanzo “We the Living” di Ayn Rand, “furono realizzati in regime fascista con preciso scopo propagandistico anti-bolscevico” e che gli autori della sceneggiatura e qualcuno degli attori principali “oggi militano nel P.C.I.”. Al netto dell’apparente illogicità delle due affermazioni, è da notare proprio l’attenzione per gli aspetti ideologici imperanti in quel periodo. Il sottosegretario Andreotti, nonostante tali preoccupazioni, concesse comunque il nulla osta alle pellicole.
Come riporta l’ANSA, il mancato “nulla osta” venne invece “dato a 274 film italiani, 130 americani e 321 da altri paesi su 34.433 lungometraggi sottoposti a censura dal ’44 a oggi” e 10.092 film, ben un terzo del totale, vennero ammessi dopo modifiche. Per rendersi conto delle modifiche più recenti, quando l’ideologia ha lasciato il campo ad aspetti legati alla “tutela dei minori” – e quindi alle scene riguardanti sesso, violenza e turpiloquio -, si possono confrontare le edizioni vietate e non di alcuni film di Martin Scorsese: ad esempio, “Taxi Driver” e “The Wolf of Wall Street”. Usciti prima in edizione originale vietata ai minori di 14 anni e poi dopo alcuni tagli con una seconda edizione senza limiti d’età.
Rispetto a tutto questo, cosa cambierà ora? È nata infatti la Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche, che ha il compito di verificare la “corretta” classificazione delle opere cinematografiche da parte di produttori o distributori. Saranno infatti tali soggetti che avranno il compito, in prima battuta, di autoclassificare le opere cinematografiche.
I film potranno così essere etichettati come: opere per tutti; opere non adatte ai minori di anni 6; opere vietate ai minori di anni 14 (ma a 12 anni compiuti e con un genitore può vederle) e opere vietate ai minori di anni 18 (ma a 16 anni compiuti e con un genitore può vederle). Alla Commissione viene affidato il compito di validare o meno le indicazioni date da produttori e distributori.
Pur essendo vero che non è più previsto il divieto assoluto di uscita in sala né di uscita condizionata a tagli o modifiche, situazioni come quelle riportate, relative ai due film di Scorsese, non è escluso che potranno ancora verificarsi.
E se è giusto dare qualche indicazione, chiara ed evidente, agli spettatori sui contenuti dei film, forse è un po’ eccessivo affermare che lo Stato non interverrà sulla libertà degli artisti, così come pare improprio affermare, come ha fatto Nicola Borrelli, direttore della Direzione generale Cinema e audiovisivo, che il nuovo sistema pone una sorta di autoregolamentazione.
Perché entrambe le cose si realizzino ci sarebbe da levare l’ennesima Commissione di troppo.