19
Mag
2011

Dare valore all’acqua, senza scegliere tra diritti e mercato

Si sta combattendo, sulle pagine di questo blog, una campagna sul referendum sull’acqua: non è contro il referendum in sè, né a favore della privatizzazione dell’acqua. Piuttosto, è una battaglia contro la mistificazione che ne è stata fatta con slogan certamente accattivanti, ma basati su falsità.

In questo articolo dove si presentano due libri sul tema (La grande sete di Charles Fishman e Privati dell’acqua? di A. Massarutto) – emergono due punti fondamentali, che stimolano alcune profonde riflessioni e potrebbero indurre quanti voteranno al prossimo referendum a informarsi in modo più completo.

Il primo riguarda la frase iniziale dell’articolo: “Free is the wrong price for water” – “gratis è il peggior prezzo per l’acqua”. Coloro che desiderano che l’acqua sia fornita gratuitamente o con tariffe inadeguate non ne riconoscono il giusto valore sociale, ambientale ed economico. In Italia oggi le tariffe del servizio idrico integrato sono già tra le più basse in Europa, benchè sia noto che la necessità di investimenti nel settore nel nostro Paese è molto rilevante. La conseguenza – inevitabile – di tariffe non adeguate alla copertura di tutti i costi del servizio è il peggioramento della qualità e continuità dello stesso. È molto più probabile che un sistema di prezzi ben regolato (basato sul principio “chi spreca paga”), piuttosto che una pianificazione centralizzata della spesa (ossia tramite la tassazione), faccia emergere “il giusto valore”.

Il secondo punto: “Non si tratta di decidere se schierarci col pubblico o col privato, se ci piacciono di più i diritti per tutti o il libero mercato” scrive Massarutto, che ha sempre illustrato in modo molto chiaro ed obiettivo il contenuto della legge Ronchi, i problemi – e le possibili soluzioni – del servizio idrico integrato nel nostro Paese. I recenti articoli dell’economista sono molto utili per chiunque voglia farsi un’opinione in modo obiettivo e completo (ad esempio qui e qui). È evidente che tale legge non implica di fare una scelta tra la gestione pubblica e quella privata, ma cerca di favorire il confronto per far emergere le imprese che offrono un servizio migliore e, quindi, tutelano meglio l’interesse pubblico in senso lato. Come già accennato è necessario attivare investimenti importanti per le infrastrutture e la precedente gestione non li ha garantiti in modo adeguato. Occorre quindi una riforma che consenta di verificare l’efficienza delle aziende pubbliche e di mettere in discussione gli affidamenti di quante non sono in grado di garantire un servizio che rispetti determinati standard. La legge Ronchi, pur certamente migliorabile, è il primo passo in questa direzione e l’istituzione di un’autorità di regolazione effettivamente indipendente e dotata dei necessari poteri (di controllo ed enforcement) è il prossimo.

Non bisogna dimenticare che il mercato resta sempre un mezzo, non il fine. Finora il mezzo scelto (l’affidamento diretto a società pubbliche) ha portato, almeno in Italia, a gestioni largamente perfettibili: la cattiva gestione è la vera minaccia, non la concorrenza (non solo tra imprese, ma anche tra modelli pubblici e privati) che, invece, può garantire la trasparenza necessaria al settore nel suo complesso.

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5 Responses

  1. Roberto 51

    Non ho capito come possa esserci concorrenza sull’acqua.
    Concorrenza significa che il cliente può scegliere quello che ritiene essere il prodotto o il servizio per lui ottimale, tra una rosa di diverse possibilità.
    Quando apro il rubinetto dell’acqua, come quando prendo l’autostrada, non ho scelta. Dove sta la concorrenza?
    Film già visto: concessione a lungo termine, prezzi alti, servizio pessimo e se hai un problema c’è un numero verde con uno che risponde dall’India.
    Almeno adesso posso andare sotto la finestra del sindaco a protestare.
    I monopoli naturali non possono essere gestiti da privati.
    Piccola osservazione “wrong” non vuol dire “il peggiore”, cambia il senso della frase, e comunque sono passati i tempi dell'”ipse dixit”.

  2. Lucia Quaglino

    Lasciar entrare i privati, o perlomeno gestire il settore secondo i principi del mercato, non implica nè che aumenteranno le tariffe nè che peggiorerà la qualità del servizio. Nel libro “Acqua in vendita” sono riportati casi in cui il privato ha garantito una migliore gestione del settore persino nei paesi in via di sviluppo. D’altra parte, è certamente indiscutibile che esistano anche gestioni pubbliche efficienti: tra queste, la Germania. Dove però coprono i costi con le tariffe e, infatti, i prezzi sono molto più alti che in Italia. Dal momento che – come giustamente scrive – il servizio idrico è un monopolio naturale e, in quanto tale, la possibilità di concorrenza è ridotta, è opportuno lasciare almeno che i diversi modelli gestionali siano in concorrenza tra loro. Lasciare spazio ai privati non significa escludere il pubblico. Vale lo stesso il contrario. Tutte le questioni da lei sollevate sono molto ben spiegate nel libro di Massarutto (il quale non si schiera nè con i referendari, nè sostiene la privatizzazione del settore): le consiglio di leggere il libro per maggiori chiarimenti.
    Sulla traduzione letterale ha ragione, ma di fatto stavo facendo riferimento a una frase successiva dell’articolo linkato, non stavo traducendo. Comunque il passaggio non è chiaro, quindi la ringrazio per l’osservazione.

  3. riccardo

    Purtroppo la storia di questo paese ci ha insegnato che quando il privato mette le mani sui monopoli naturali non vi sono sostanziali benefici per il consumatore visto che gli eventuali incrementi di produttività vengono trasformati in profitti e mai in riduzione di prezzi e tariffe.
    Basta guardare quello che sta succedendo con i traghetti.

  4. Lucia Quaglino

    Direi che la storia di questo paese mostra anche che le gestioni monopolistiche pubbliche non sono all’altezza di fornire un servizio efficiente (pensiamo alle alte perdite di rete, al livello di indebitamento delle società, all’incapacità di rispettare gli impegni e investimenti programmati eccc…basta leggere le relazioni conviri e blue book ad esempio). Non ci si aspetta certo che l’ingresso dei privati possa risolvere tutti i mali del settore ma, se accompagnati da una buona regolazione, i privati hanno gli incentivi per migliorare la situazione esistente. Poi non crede che anche solo la minaccia di “privatizzare” (nel senso di fare entrare anche i privati nella gestione) possa indurre le imprese pubbliche ad essere più efficienti?

  5. taraparso

    Sui servizi idrici non può esistere concorrenza in quanto si tratta praticamente di un monopolio: una delle regole della libera concorrenza, cioè la pluralità di offerenti, nella distribuzione dell’acqua, non esiste. Condivido che le gestione dell’acqua, come di tutti i servizi, deve essere basata sull’efficienza che prescinde dal management, pubblico o privato che sia. Come si ricorda che ci siano efficienze sia pubbliche che private dimostra che non esiste stretta correlazione con gli effetti. Per quanto riguarda il concetto chi spreca paga vorrei ricordare che il metodo normalizzato previsto dalla leggi Galli, che stabilisce la tariffa media ammessa per il concessionario, prevede aumenti di tariffe alla diminuzione dei consumi, cioè se spreco di meno pago di più l’unità d’acqua, quindi, nella logica dell’acqua bene economico e non bene comune, per pagare di meno sono stimolato a sprecare un bene per definizione scarso. Mi pare anche che gli studi attuali per apportare modifiche al metodo normalizzato si siano più concentrate sulla modifica della remunerazione certa del capitale (il 7% oggetto del secondo requisito referendario) che non sul resto della formula. Infine, con il primo quesito, si abolisce l’obbligatorietà della privatizzazione e non si introduce l’obbligatorietà della pubblicizzazione: ogni amministrazione poi farà le sue scelte politiche, anche se i liberisti del centro destra italiana sono più propensi per l’ipotesi pubblica (vedi Milano).

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