Curzon-Price: meno tasse e niente progressività
Se fosse federalismo davvero, non ci sarebbero problemi. Ma siccome c’è da dubitare che sarà così (basti pensare alla questione dei “costi standard”), è normale che il ministro Renato Brunetta – nel corso di una recentissima intervista – rivendichi il merito di aver fatto “mettere due clausole nella legge per il federalismo: l’invarianza della pressione fiscale, che può solo diminuire, e quella per cui non può aumentare il personale. Il federalismo si deve compiere con lo stesso personale o con una sua riduzione. Il governo sarà molto vigile”.
Speriamo davvero, perché non solo è indispensabile che il prelievo non aumenti, ma pure è necessario che diminuisca. Lo sottolinea anche Victoria Curzon-Price in un IBL Occasional Paper (“Contro la tassazione progressiva e per una riduzione delle imposte”) pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni, nel quale si richiama l’urgenza di decise sforbiciate alla spesa pubblica e all’imposizione fiscale.
L’economista ginevrina (ma di origine inglese) sottolinea la necessità di distinguere tra una ridistribuzione “debole”, volta ad aiutare i bisognosi, e una “forte”, che invece si preoccupa di livellare di differenze e finisce per intervenire in ogni ambito, con il pretesto che ciò sarebbe necessario ad assicurare a tutti eguali opportunità. Il guaio è che lo statalismo pervasivo a cui conduce la logica egualitaria finisce per distruggere l’economia nel suo insieme, con il risultato di compromettere ogni possibilità di un’esistenza dignitosa proprio ai ceti più deboli.
A lungo è stato insegnato, sulla base di premesse teoriche assai fragili, che un dollaro tolto a un ricco e regalato a un povero rappresenterebbe un avanzamento complessivo, dato che il ricco può essere solo minimamente danneggiato dalla perdita, mentre il povero trarrà un beneficio rilevante. Non è così: non solo perché ogni giudizio di questo genere è altamente soggettivo, ma anche perché una simile logica mina l’accumulazione del capitale e distrugge la struttura degli incentivi, al punto da favorire quella depressione economica da cui i più poveri hanno solo da perdere.
Egualitarismo e invidia, in altri termini, non sono in alcun senso programmi che possano favorire e/o aiutare i ceti più bisognosi.
Come ricorda la professoressa Curzon-Price, le logiche redistributive degli Stati ad alta tassazione e redistribuzione finiscono in definitiva per minare le basi giuridiche della società. Dove i diritti di proprietà sono costantemente esposti alle conseguenze della “rapina legalizzata” operata dai gruppi di pressione più organizzati e influenti, e dove ogni diritto non è altro che il frutto di una volontà politica che non trova di fronte a sé alcun limite e tende a farsi onnipotente, non è soltanto l’economia a declinare. A venir meno è la stessa possibilità di una convivenza autenticamente civile.
sono totalmente d’accordo.
Peccato che il Italia il 70% delle tasse siano pagati dal 30% dei contribuenti, cioé i dipendenti, cioé mediamente quelli con minore reddito. Il discorso ci starebbe, se la pressione fiscale attualmente fosse distribuita come dalle tariffe ufficiali. Purtroppo i gioiellieri pagano come i pensionati, e cosi via.
Finché non si fa pagare le tasse a tutti, ogni discorso é del tutto inutile, l’Italia in questo momento é mantenuta dai dipendenti, il resto sono chiacchiere, anche se teoricamente utili.