14
Mar
2010

Crescita cinese

Negli ultimi due anni la crescita cinese sembrava aver rallentato un po’, passando dal 10% al 6%. I governanti cinesi si sono spaventati, anche per via di un notevole numero di agitazioni nelle campagne, e hanno optato per un piano di stimolo di vaste proporzioni. Di recente il premier cinese ha detto di voler modificare il modello di sviluppo cinese, rendendolo meno dipendente dalle esportazioni. La cosa ha senso?

Alcuni commentatori di questo sito hanno recentemente fatto notare come in Cina ci sia in alcuni settori, come il siderurgico e l’immobiliare, una notevole capacità produttiva in eccesso: tali eccessi sono la norma in un sistema basato sull’espansione del credito, dove l’allocazione delle risorse non dipende, almeno nel breve-medio termine, dai risparmi, ma dall’espansione monetaria. Questi problemi sono strutturali e non hanno nulla a che fare con stimoli, monetari e fiscali, che per loro natura non possono influenzare (se non negativamente, creando distorsioni) fenomeni che non riguardano la domanda aggregata ma la struttura produttiva e finanziaria.

Per capire cosa succederà alla Cina bisognerebbe capire quali sono i fattori che ne hanno determinato la crescita finora. Venti anni di crescita a ritmi così sostenuti non sono una novità: il Giappone crebbe agli stessi ritmi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino agli anni ’70s (più di venti anni, quindi), ad esempio, e la Cina, come il Giappone e molti altri paesi (e.g., la Germania) ha un modello di crescita basato sulle esportazioni. Questo implica che un calo della domanda mondiale è in grado di influenzare la crescita cinese, italiana o tedesca anche indipendentemente da problemi strutturali interni.

Alcuni fattori, come l’apertura economica al commercio internazionale e il tasso di risparmio, sicuramente hanno influito notevolmente, e ovviamente positivamente, sulla crescita cinese. Altri fattori sono invece critici: la crescita basata sull’espansione creditizia, che serva a finanziare (esempi tratti dalla storia degli USA) lo sviluppo ferroviario come nell’Ottocento, l’elettrificazione come negli anni ’20, lo sviluppo di internet come negli anni ’90, o l’edilizia sociale come negli ultimi anni, è in genere una forma di crescita instabile, che lascia protratte ferite nel lungo termine, ferite di cui il Giappone è probabilmente l’esempio più puro.

Alcuni danno molta importanza all’esistenza di forza-lavoro a basso costo. Che questo fattore non basti è ovviamente dimostrato dall’Africa, ma è indubbio che paesi poveri possano, sotto opportune condizioni, crescere più rapidamente di quelli ricchi. Non credo però c’entri molto il costo del lavoro (anche perché la competitività è legata al rapporto tra produttività e costo del lavoro, e non al livello assoluto dei salari: altrimenti l’Italia sarebbe un paese molto competitivo rispetto alla Germania), visto che è ovvio che un paese privo di tutto abbia maggiori margini di miglioramento di un paese dove questi margini sono già stati sfruttati.

Un fattore che considero rilevante, e che nessuno però mi pare ha mai considerato con attenzione, né tantomeno valutato quantitativamente, è il ruolo della domanda USA. Il consumatore USA è un bamboccione abituato a comprare tutto a credito, che non risparmia nulla sperando che la crescita si possa avere a costo zero, senza risparmi, e che azioni e immobili continuino a rivalutarsi in eterno. Questo bamboccione da oltre dieci anni ha preso anche l’abitudine di contrarre debiti con i cinesi (i cui tassi di risparmio sono notevoli), e questo ha indubbiamente creato una domanda di merci prodotte in Cina. Questo ha contribuito ad accelerare la crescita cinese, anche se non so di quanto, e ha contribuito ad esportare le distorsioni produttive che negli USA sono state create dalla Fed negli ultimi venti anni e passa verso la Cina.

Finita la carrellata, incompleta, di fattori di crescita potenzialmente rilevanti, e analizzati quali possono contribuire alla crescita nel lungo termine e quali invece potrebbero rivelarsi ingannevoli, torniamo all’idea di Hu Jintao: che significa smettere di avere un modello di crescita basato sulle esportazioni? Probabilmente nulla.

Una nota identità contabile afferma che le esportazioni nette di un paese devono essere pari al risparmio netto dello stesso paese, sia pubblico che privato. Le esportazioni nette sono la differenza tra esportazioni e importazioni, il risparmio netto privato è la differenza tra risparmi e investimenti domestici, e il risparmio pubblico la differenza tra spesa pubblica e tasse.

Aggregando, per semplicità anche se con poco realismo, risparmi pubblici e privati, questa identità contabile dimostra che per ridurre le esportazioni nette occorre diminuire i risparmi, o aumentare gli investimenti. Il primo fattore farebbe rallentare la crescita cinese, visto che verrebbero a mancare i fondi per finanziarla. Rimane quindi l’aumentare gli investimenti interni, ma come? I fattori che influenzano gli investimenti non sono sotto il controllo dei decisori politici, che al più possono eliminare regolamentazioni, facilitare l’imprenditorialità e ridurre le tasse sugli investimenti e i profitti… fattori che non so quanto possano essere rilevanti per la Cina. I risparmi sono il motore della crescita: non l’unico fattore rilevante, ma un fattore fondamentale. L’identità di cui sopra dimostra che sono anche un fattore che tende a generare esportazioni nette, e non vedo come il governo cinese possa influenzare la seconda cosa senza rovinare la prima.

Poi ci saranno quelli che vedono nei tassi di cambio la causa degli squilibri della bilancia commerciale, ma credo che la cosa ha relativamente poco senso, almeno nel medio-lungo termine…

6 Responses

  1. Franco Marinelli

    E investimenti pubblici in istruzione, energie pulite ed infrastrutture non li consideriamo affatto?!

    Cosa significherebbe l’ultima frase che mi risulta un pò sibilina?

  2. Pietro M.

    Penso che le energie pulite con la Cina c’entrino ben poco… non credo che il livello di istruzione del cinese medio sia alto, e immagino che le infrastrutture siano eccezionali nelle zone industriali e penose nella campagna, però boh, in Cina non ci sono mai stato. 🙂

    L’ultima frase è legata al fatto che molti vedono la bilancia commerciale (export – import) come il risultato del tasso di cambio. Questo è probabilmente in parte vero nel breve termine, perché la svalutazione aumenta l’export e riduce l’import, ma nel medio termine un paese che risparmia relativamente tanto, o con un governo relativamente virtuoso, o con opportunità di investimento relativamente scarse starà in avanzo commerciale.

  3. Franco Marinelli

    + Lei parla di come potere ridurre la dipendenza dalle esportazioni o no? Se sì, aumentare gli investimenti in quei campi mi pare una soluzione.
    +Sembra mettere il tasso di cambio e la svalutazione sullo stesso piano…?
    +E come definisce l’eccesso di capacità produttiva? Siamo sicuri si tratta dello stesso fenomeno sia nel siderurgico che nell’immobiliare?

  4. Pietro M.

    Gli investimenti interni come li aumentano? Non è una variabile di scelta politica, a meno che non si vogliano buttare soldi in cose come l’IRI… in parte li si può incentivare, ma è probabile che finché i cinesi risparmieranno a questi ritmi saranno in avanzo commerciale…

    La svalutazione è una riduzione del cambio. Si può discutere sulla distinzione tra svalutazione e deprezzamento, ma in entrambe i casi è una riduzione del tasso di cambio (numero di remnibi per unità di valuta estera).

    L’eccesso di capacità produttiva è quando si hanno risorse investite in un mercato in cui non c’è sufficiente domanda e non si possono spostare tali risorse in un altro perché sono specifiche. Gran parte delle risorse produttive impiegate nell’industria pesante e nell’immobiliare sono specifiche, e quindi l’eccesso di capacità produttiva non rientrerà in un paio di mesi, ma in diversi anni.

  5. ho appena creato un blog dove inserire post “di servizio” sulla vita del quartiere Milano città studi. Tutto è ancora in nuce, l’intenzione è quella di raccontare in modo critico e informativo la quotidianità del proprio quartiere (scuola, tempo libero, impegno sociale…). Sono madre di due maschi di 8 e 6 anni, giornalista professionista che ha scelto di investire sulla famiglia più che sulla carriera in redazione.

  6. “alcuni danno molta importanza all’esistenza di forza-lavoro …. questi margini sono già sfruttati”
    Questo paragrafo è riferibile al fenomeno di Catching Up with the Joneses ben noto.

    “un fattore che considero rilevante…. e passa verso la Cina”
    In realtà questo aspetto è stato molto studiato parlando dei “Twin Deficit” americani almeno dal 2003; il dubbio in generale era se fosse venuto prima il risparmio cinese o l’extra consumo americano. Austriacamente si potrebbe dire che sono la stessa faccia di una sola medaglia, magari.

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