3
Dic
2010

Cosa imparare davvero dalla Norvegia

Come ho scritto altrove a fine 2009, la Banca Centrale Norvegese, Norges Bank, può essere vista come una sorta di “esperimento” sulla possibile evoluzione del Central Banking. Così come, con l’omologa Riskbank, è stata ispirazione e test per la letteratura sull’Inflation Targeting, la Norges Bank può essere considerata anche ispirazione e test di politiche monetarie equilibriste tra stimolo monetario e anti-bubbling (mio termine per le politiche di controllo delle bolle finanziare). In effetti la Norges Bank è stata una delle prime Banche Centrali ad alzare i tassi; un tasso ufficiale al 2% dall’1,25% di fine 2009 ha permesso il rallentamento del tasso di crescita dei prezzi degli immobili dal 15% al 6,3%, sedando una montante “bolla immobiliare” il cui scoppio è giudicato più deleterio del suo (temporaneo) effetto ricchezza.

A parte che questo comportamento costituisce già di per sé un nuovo paradigma (sicuramente rispetto alla politica USA che sostanzialmente ha cavalcato la bolla immobiliare), e a parte tutte le critiche già avanzate alla supponenza di saper distinguere una bolla da un normale riposizionamento dei portafogli, l’esperimento norvegese è tutto qui?

 

Il Central Banking sta cercando una nuova via, dato che la vecchia e sostanzialmente meccanica politica del “spingi sulla disoccupazione, ritira sull’inflazione” non è stata così efficiente e tanto meno efficace. Le Banche Centrali operano in accordo con la Taylor Rule, che è semplicemente un modo di legare l’interventismo monetario agli obiettivi, dovutamente “pesati”, di crescita e di controllo monetario (la Federal Reserve si comportava secondo questa regola già prima che Taylor definisse la regola, perché è in realtà la formalizzazione di una regola “empirica” già esistente); questa attenzione congiunta non ha salvato gli USA (e neppure la UE) dalla recessione. Tanto per far capire che il vecchio paradigma ha dei grossi problemi, secondo la Taylor Rule negli USA i tassi reali dovrebbero scendere al -4%, realizzabile solo con tassi ufficiali allo 0,25% e tasso di crescita dei prezzi al 4,25%, e questo spinge la Federal Reserve a sostenere ulteriori giri di Quantitative Easing, la cui efficacia pure inflazionistica è per lo meno dubbia.

L’attuale ripresa appare troppo legata agli stimoli fiscali e monetari, di cui i primi dovranno per forza di cose rientrare abbastanza presto e i secondi, quindi, non potranno venir velocemente ritirati. In generale vari Paesi stanno optando, o chiedendo, controlli sui movimenti dei capitali, il che è una conferma alla supposizione che si sarebbero cercati “altri” strumenti per controllare gli effetti di un inflazionismo lungi dal venir fermato; non siamo ancora ad un calmiere dei prezzi, in particolare per le materie prime, ma se non avremo rapidamente una vera ripresa (e non la avremo), quello sarà il passo definitivo per permettere di continuare a dilazionare i costi di una crisi che non è stata profonda come avrebbe dovuto. Il passo intermedio sarà, appunto, mettere di fatto dei target anche all’evoluzione dei prezzi di alcuni asset per sedare bolle che dovrebbero inevitabilmente formarsi con il perseverare dell’espansione monetaria che mi attendo sempre più direttamente veicolata al finanziamento del debito pubblico. La politica norvegese può per questo costituire il nuovo paradigma.

 

Ma la forza di una Norvegia che è tra i primissimi Paesi occidentali ad esser usciti dall’ultima recessione non credo sia da ascrivere solo ad un nuovo Central Banking fatto di “moderazione” degli andamenti finanziari.

La Norvegia anzitutto produce petrolio, quindi non deve temere l’entrata (a breve almeno) di nuovi concorrenti oltre quelli già presenti, il che non è un vantaggio da poco. Vero che alzare i tassi come prescritto dal “paradigma norvegese” nell’ultimo anno potrebbe portare, nel veloce mondo attuale della finanza, l’apprezzamento della Corona e quindi problemi di cosiddetta “inflazione importata”, ma allo stesso tempo è abbastanza facile “scaricare” il cambio nel prezzo del petrolio (se in una situazione simile si trovasse la UE, Trichet potrebbe costruirci un primato di forza dell’euro spodestando il dollaro).

Soprattutto però la Norvegia ha il Government Pension Fund, in sostanza un Fondo Sovrano che raccoglie i diritti di sfruttamento pagati dalle società petrolifere e li vincola in investimenti (azionari e obbligazionari) a lungo termine in Norvegia. Ritengo questo punto fondamentale, perché se si guarda l’insieme dei soggetti economici che operano nel Paese questo è costituito da tutte gli abitanti, tutte le società norvegesi, e lo Stato (Stato-apparato); lo Stato norvegese, attraverso il Fondo Sovrano, si pone nell’economia come un “risparmiatore di lungo termine” alzando così il tasso medio di risparmio a livello di sistema (al contrario, ad esempio, dell’Italia dove lo Stato è il primo spenditore in consumi). In questo modo si fornisce una base stabile e domestica (quindi senza rischio di “fuga”) per gli investimenti norvegesi di durata più lunga (a maggior roundabout ed essenzialmente più capital-intensive, in termini “austriaci”). In questo contesto, la Norvegia può contare su una discreta fonte internazionale di reddito che finanzi il suo sviluppo a lungo termine, e un possibile apprezzamento della Corona (scontato in qualche modo per un Paese economicamente forte che si permette, o necessita di, tassi relativamente alti) può diventare una ulteriore spinta ad una ricerca di efficienza a livello internazionale su produzioni che potrebbero essere utili nel futuro (questo legame tra moneta forte e stimolo all’efficienza è stato studiato anche da Arndt, come richiamato qui).

 

In altre parole: un nuovo paradigma del Central Banking, questo anti-bubbling à la norvegese, è solo una parte della verità, quella più esportabile e spendibile politicamente (si veda il beota consenso agli attacchi ad una indefinita “speculazione” finanziaria), che però fa necessaria sponda sì su una onniscienza finanziaria non dimostrabile ma soprattutto su una certa posizione di privilegio industriale e una lungimiranza economica che ha ben pochi riscontri sul resto d’Europa esclusa (forse) l’area germanica.

Oltre a dover sperare in un colpo di lungimiranza della classe politica, come potrebbe l’Italia alimentare un proprio Government Pension Fund? Trascurato il patrimonio archeologico-culturale, buttate via le competenze chimiche nucleari e tecnologiche, ed essendo le braccia dell’est più appetibili di quelle italiane, cosa resta oltre le royalties sulle femmine da esportazione (come dissi qui)?

La politica monetaria non può nulla se non c’è dietro una economia funzionante e una storia di Politica lungimirante: questa è la lezione completa della Norvegia.

 

 

3 Responses

  1. Vittorio Silva

    Premesso che non mi fiderei di un Fondo gestito dalle rapaci mani dei politici nostrani, una possibilità ce l’avevamo (e ce l’avremmo) con la Cassa Depositi e Prestiti: noi non abbiamo le royalties petrolifere, però abbiamo un elevatissimo tasso di risparmio (spesso non allocato) e questo potrebbe essere l’alimentatore di questo ipotetico Fondo, che potrebbe essere gestito dalla CDP, semplicemente cambiando la destinazione d’uso degli introiti da sottoscrizioni di Buoni fruttiferi postali.

    Ma in generale, ripeto, non mi fiderei: lo Stato non è un soggetto affidabile!

  2. Tasso di risparmio non allocato? Perché, qualcuno lo tiene in banconote sotto il materasso?
    Tutto ciò che viene messo ad esempio su un conto corrente viene poi prestato, così come un qualsiasi acquisto di titoli rappresenta un prestito.

    Che non ci sia da fidarsi dello Stato in generale… come non essere d’accordo?

  3. Fabio

    Concordo con Vittorio. L’Italia non ha royalties da investire ed i nostri politici hanno gestito troppo male le opportunità fornite dal risparmi privato, sia volontario, sia forzoso.
    Il discorso sarebbe stato ottimo se L’Inps avesse investito nel tempo i flussi incassati, garantendo così investimenti, rendite e pensioni. Del resto la ricetta non è nuova: anche negli spendaccioni USA alcuni stati previdenti come il Nord Dakota lo hanno applicato, trovandosi ora in una posizione privilegiata dal punti di vista sia economico sia dei servizi. Però questo non può, funzionare nell’Italia dei Fini, Veltroni, Vendola, e funziona poco anche in quella di Berlusconi o Bossi.
    Chissà, magari dopo una rivoluzione potrebbe essere applicabile.

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