Corte Costituzionale e pensioni: per equità NON bisogna restituire tutto a tutti
All’indomani della sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato il blocco nel 2012 e 2013 dell’indicizzazione delle pensioni superiori a 3 volte il trattamento minimo, siamo stati i primi a esporre le nostre forti critiche alla sentenza. Nei giorni successivi, non siamo rimasti soli. Diverse voci, commentatori, economisti, giuristi, si sono aggiunte approfondendo le numerose e profonde contraddizione che si leggono nella decisione della Corte. L’indifferenza all’articolo 81 della Costituzione che prevede il bilancio pubblico in equilibrio, rispetto all’attenzione solo data agli articoli 36 e 38 per la natura di “retribuzione differita” della pensione. Il contrasto con sentenze precedenti, nelle quali la Corte aveva giustificato interventi anche retroattivi del legislatore su trattamenti economici. Il difetto in motivazione, poiché la Corte afferma che il motivo dell’intervento sulla perequazione non appariva adeguatamente giustificato da parlamento e governo, mentre a chiunque è chiaro che gli interventi di finanza pubblica dall’estate 2011 alla primavera 2012 avvenivano mentre l’Italia era sul ciglio del baratro e del commissariamento da parte della Trojika.
Ma infine e soprattutto, l’assenza di ogni riferimento all’equità intergenerazionale. Poiché, in un sistema previdenziale a ripartizione, nel quale le pensioni in essere sono pagate dai contributi di chi oggi lavora e non da quelli versati in precedenza da chi oggi è pensionato, tornare a rimborsare quei quasi 5 miliardi bloccati nel 2012 e 2013, e continuare a coprirne gli effetti per il 2014 e 2015 e anni a venire, significa dover reperire 12-13 miliardi di euro a carico di chi le pensioni retributive di cui si parla non le avrà mai, e a stento riuscirà ad averne tra molti anni di contributive, ma molto più basse. E non si ferma a questo, l’aspetto di equità tra generazioni che la Corte ha deciso di ignorare. Perché ha dimenticato che lo stop alle perequazioni a quelle pensioni già erogate si accompagnava non solo al cambio di sistema – da retributivo a contributivo, come detto – per i più giovani, ma anche al brusco innalzamento dell’età pensionabile, per alcuni milioni di italiani che contavano fino al giorno prima di andare in pensione a breve.
Oggi che si tratta di fronteggiare le conseguenze della sentenza, ora che il governo deve decidere a chi e come garantire il rimborso, la strada non è obbligata. Non è affatto vero, che la sentenza obblighi a ripagare tutto a tutti. Le strade possibili dipendono esattamente da quale sia l’opinione politica prevalente sulla decisione della Corte. Per questo abbiamo ripetuto le nostre critiche. Perché ci auguriamo che governo e parlamento ne tangano conto.
La destra, aliena ormai dal ragionare sul merito delle cose e interessata solo a un’opposizione frontale contro il governo, batte la strada del rimborso integrale a tutti. E se non tornassero i conti – visto che nel frattempo siamo già di nuovo sul filo di un possibile 3% di deficit e la UE tra pochi giorni a quanto pare dirà no anche alla reverse charge sull’IVA decisa dal governo (lo avevamo avvisato, non ha ascoltato) con altri 700 milioni di euro da coprire in questo stesso 2015 – tanto peggio per Renzi, pensa l’opposizione. No, tanto peggio per l’Italia e per noi tutti, ci permettiamo di replicare, se cittadini e contribuenti saranno ancora una volta obbligati per cause di forza maggiore a mettere vieppiù mano al loro esangue portafoglio.
La sentenza della Corte è invece l’occasione per riaffermare il principio al quale la Corte è rimasta sorda. Se per rispettare la decisione ha senso provvedere a un rimborso dei trattamenti di poco superiori a 3 volte il minimo INPS, non ha senso farlo per quelli 5,6.7 e 10 o più volte superiori. Lo ha detto fuori dai denti il sottosegretario al MEF Enrico Zanetti. E secondo noi ha fatto bene. Salvini ha replicato che è un furto. Ma al contrario è un furto a chi ha meno, molto meno, chiedere oggi di reintegrare trattamenti previdenziali che sono multipli del reddito medio e mediano degli italiani da una parte. E che, soprattutto, non sono affatto commisurati, in quanto pensioni retributive, ai contributi versati mentre si lavorava. Tranne un 7-8% di trattamenti previdenziali retributivi erogati oggi infatti a chi ha avuto retribuzioni alte e altissime nel più della carriera lavorativa, in tutti gli altri casi la pensione collegata ai soli ultimi anni di stipendio è un premio rispetto ai contributi versati. Senza contare poi le centinaia di migliaia di pensioni incassate oggi da chi apparteneva a fondi come quello dei lavoratori elettrici, o postelegrafonici, o agricoli, i cui trattamenti previdenziali retributivi, maturati grazie alle norme di patronage politico degli “allegri” decenni alle nostre spalle, possono essere pari anche a multipli vertiginosi dei contributi versati.
Oltre a un rimborso parziale rigorosamente a scalare al crescere del multiplo del trattamento minimo, dunque, questa potrebbe essere l’occasione giusta anche per una operazione-giustizia di revisione almeno di quei trattamenti eccessivamente “regalati” a spese, ripetiamolo, di chi oggi ha la certezza di riscuotere nel suo futuro molto meno, sempre che riesca a lavorare.
Non sappiamo se la politica avrà la forza di una simile scelta, visto che in ballo ci sono comunque oltre 5 milioni di pensionati. Ma quand’anche, com’è ovvio, i partiti dovessero guardare innanzitutto ai consensi invece che al merito di una “vera” giustizia tra generazioni, allora dovrebbero bastare due conti per sapere che i milioni di italiani chiamati con altri sacrifici – contributivi o di ulteriore aggravio tributario – a rimpinguare redditi previdenziali superiori alla media, sono più numerosi di coloro il cui solo ed esclusivo diritto è stato affermato dalla Corte. Diceva Lord Bowen che piove sul giusto e sull’ingiusto: ma sul giusto di più, perché l’ingiusto gli ruba l’ombrello. Ecco, aggravare ancora gli oneri a chi ha meno è proprio come levar loro anche l’ombrello, dopo che già offriamo loro un futuro italiano di pioggia fitta senza facili schiarite.
inserire subito il principio di equità intergenerazionale in Costituzione ! dovrebbe essere implicito, questi giudici sembrano non capire e il rischio di altre sentenze di questo tipo è troppo alto
Proprio per equità bisognerebbe restituire tutto a tutti e, se si ritiene che non sia giusto che ci sia un eccessivo divario fra versato e percepito, si prenda la strada indicata del Presidente Boeri e si agisca con un quadro il più chiaro e preciso possibile dell’esistente guardando anche gli altri paesi europei.
Credo che il provvedimento cassato calla Corte oltre a non essere “equo” perché a parità di pensione sono stati versati contributi diversi, abbia creato una notevole incertezza nel presente e nel futuro principalmente nella classe media con conseguente contrazione nei consumi superiore al taglio ricevuto.
Secondo me non si vuole impostare bene il problema dal punto di vista legale e logico.
E non mi sembra fosse questa l’intenzione del governo Monti.
Bisognerebbe partire dal fatto che gran parte di quelle pensioni sono, a volte, molto alte non perché sono il risultato di somme versate ma perché si è deciso ( con un accordo politico) che era possibile fare questo regalo facendo pagare il conto alle generazioni future.
Se si imposta il problema sul fatto che quindi non derivano da un vero diritto ma solo da una “graziosa” concessione politica è possibile allorarivedere la concessione, e riportare quelle pensioni al loro reale valore. Attenzione che non si tratterebbe di una interpretazione retroattiva, in questo caso si dovrebbe addirittura chiedere il rimborso di quando ingiustamente ricevuto, si tratta solo di non ritenere più valida quella concessione che non era un diritto.
Ovviamente alcuni possono sostenere che è un diritto “acquisito” ma in realtà non è un diritto è una concessione e penso che se si vuole affrontare seriamente la questione lo si può fare.
Ma chi decide come discutere con la corte costituzionale? Non i politici ma i quadri amministrativi che sono ben legati , per amicizia e per solidarietà di casta, a quei “quadri” a cui si dovrebbe ora diminuire la pensione
Se invece la pensione alta è il risultato di un vero versamento, ci sono pochi casi ( non nel settore pubblico ovviamente) ma ci sono, allora è legalmente impossibile toccarla e se lo hanno fatto hanno sbagliato.
L
Vorrei sapere dal sig. Giannino quale articolo della Costituzione invocherebbe per difendersi da un DL che, a salvaguardia dell’equilibrio del bilancio pubblico, prevede il raddoppio dell?IRPEF, vita natural durante, a tutti i contribuenti il cui cognome inizia per G, L, M, N, O, P, Q, R, S, T, U, V, Z.
Non posso non essere d’accordo con quanto scritto e sarei favorevole a un ricalcolo di QUASI tutte le pensioni secondo il metodo contributivo. Scrivo “QUASI”, perché ci sono alcuni casi in cui non è sinceramente attuabile, purtroppo. Il primo sono le prestazioni minime assistenziali erogate a chi non ha mai contribuito in vita sua. Non si può togliergli l’unica fonte di sostentamento ma andrebbe messa a carico della fiscalità generale e non dell’INPS. L’altro caso sono proprio le pensioni citate da Giannino: ” pensioni incassate oggi da chi apparteneva a fondi come quello dei lavoratori elettrici, o postelegrafonici, o agricoli, i cui trattamenti previdenziali retributivi sono maturati grazie alle norme di patronage politico degli “allegri” decenni alle nostre spalle”. Purtroppo qui il dolo è dello stato stesso: non aveva previsto versamenti di contributi adeguati all’epoca. Non si può addossare questa colpa a quei lavoratori. in questo caso andrebbe fatto un ricalcolo secondo il metodo contributivo delle categorie che avevano stipendi simili al loro.
Questa è la prima grande vera occasione per rimettere in ordine le pensioni RIALLINEANDOLE TUTTE O QUASI ( non certo le minime) in base ai CONTRIBUTI VERSATI. E sarebbe veramente il primo vero atto di giustizia che si potrebbe fare nei riguardi di coloro che hanno VERSATO TUTTI I CONTRIBUTI e viceversa regolarizzare tutte le pensioni allegre, sindacali, clientelari, truffaldine, elettorali eccetera.
Amen. Alla faccia di chi si ostina a negare la realtà, pro domo sua.
Come dice il mio nickname sono tra quelle persone coinvolte. Non accetto le considerazioni esposte, per una serie di motivi.
In questo momento c’è la caccia alle streghe alle pensioni d’oro: quanto poi siano d’oro è del tutto soggettivo (almeno sotto i 10.000 Euro netti che mi sembrano un bel prendere). Inoltre, in Italia abbiamo una parte (gran parte) delle pensioni che eroga l’Inps che non hanno avuto versamenti a fronte (non modalità di calcolo, versamenti!), quindi ritengo poco accettabili lezioni di morale in quanto si tratta di separare l’assistenza dalla previdenza.
Terzo, chi è andato in pensione con un importo pseudo d’oro lo ha fatto spesso sulla base di una valutazione in prospettiva, quindi sarebbe iniquo cambiare le carte in tavola durante il gioco. Ultimo, chi ha una pensione, spesso mantiene i figli e farebbe passare da una situazione di relativo benessere una o due famiglie ad una situazione di semi povertà (sempre per pensioni pseudo d’oro, ovviamente).
E’ questo quello che vuole lo Stato?
Quando si toccano e si ritoccano le cose del passato si rischia di raddoppiare i danni. Prima di tutto non si può criticare la Corte perché non si preoccupa di questioni di bilancio: il suo mestiere non è questo.
Si può anche non dare tutto a tutti, ma bisogna stare attenti a non produrre nuove storture peggiori di quelle già fatte con la legge abrogata. Per esempio, ci sono persone della P.A. che 20 anni fa sono andate in pensione con 19 anni 6 mesi ed un giorno di contributi (pensioni baby): questi riscuotono già la pensione da 20 anni (e più, se andati prima in quiescenza) e hanno avuto rivalutata la pensione perché non superava la quota prevista dal blocco. Poi ci sono quelli che come me hanno versato 42 anni di contributi e hanno riscosso la pensione 20 anni dopo e in più hanno avuto il blocco delle pensioni! Questo come vogliamo chiamarlo? Fregatura, furto o “giustizia perequativa”?
Ci sono poi milioni di pensioni che hanno l’integrazione al minimo: queste che derivano da un numero di contributi irrisorio, sono sul groppone di tutti noi, in particolare dei giovani che lavorano. E’ giusto che abbiano le rivalutazioni, mentre chi si è pagata la pensione non l’abbia?
Su questo tema non si può ragionare per generalizzazioni E medie. In questo modo non si produce equità. Ci sono pensioni medio basse alle quali non corrispondono in tutto o in parte i relativi contributi e ci sono pensioni alte alle quali corrispondono molti contributi tanto che corrispondono a quanto sarebbe maturato col metodo contributivo. Non si può quindi sostenere che operare solo sulle pensioni basse togliendo alle alte corrisponda ad equità. Il sistema più equo sarebbe di ricalcolare tutte le pensioni col metodo contributivo e di tagliare una percentuale (10, 15,x %) della differenza. In caso contrario si andrà sempre alla Corte Costituzionale creando ulteriori problemi.
Allineare tutte le pensioni ai contributi versati non è iimpossibile, anzi la legge 335 (riforma Dini) ha stabilito un meccanismo di calcolo che, già ora applicato per alcuni, può facilmente essere applicato a tutti. Se del caso possono essere applicati dei correttivi come ad es. l’esclusione delle pensioni fino ad un certo importo e un meccanismo progressivo delle riduzioni per quelle più alte. Ciò introdurrebbe principi di equità sia generazionale sia intergenerazionale. Ovviamente alle pensioni così ricalcolate andrebbe applicato in toto il meccanismo di indicizzazione.